Deportazioni in Libia Ue: -Urge chiarezza-
 







di Angela Mauro




Ci si sono messe anche le cattive condizioni del mare. Pure l’estate - agli sgoccioli ma non ancora finita - è stata impietosa per i 75 profughi di nazionalità somala ed eritrea avvistati a circa 24 miglia a sud di Capo Passero e respinti in Libia. Il mare grosso ha ritardato ieri il loro sbarco al porto libico di Al Zuwahar dove sono stati portati a bordo di un pattugliatore della Guardia di Finanza. "Deportati in massa", sarebbe meglio dire, come già è successo qualche mese fa per i 227 immigrati avvistati nel Canale di Sicilia e respinti immediatamente nel paese di Gheddafi. Quella della deportazione in Libia, senza passare dalle procedure di richiesta di asilo politico, sembra ormai essere pratica avviata alla consuetudine in Italia, dopo la ratifica a gennaio del Trattato di amicizia Italia-Libia, l’approvazione del pacchetto sicurezza, nonchè l’estrema cura dei rapporti con il colonnello di Tripoli da parte del premier italiano SilvioBerlusconi. Ma oltre all’Unhcr, inascoltato Alto commissariato Onu per i diritti dei rifugiati, ora protesta anche l’Unione Europea.
Da Bruxelles il portavoce della Commissione europea Dennis Abbott annuncia che l’esecutivo Ue è «a conoscenza» dell’ultimo caso di deportazione e che «invierà una richiesta di informazione ai due paesi interessati, Italia e Malta, per poter valutare la situazione». E aggiunge che secondo la Commissione «qualunque essere umano ha diritto di sottoporre una domanda che gli riconosca lo statuto di rifugiato o la protezione internazionale». Abbott ricorda poi quanto affermato dal commissario alla Gustizia, Libertà e Sicurezza Jacques Barrot in una lettera del 15 luglio scorso al presidente della Commissione europarlamentare Libertà civili, Lopez Aguilar: «Il principio di non-refoulement (non respingimento, ndr), così come è interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo, significa essenzialmente che gli Stati devono astenersi dal respingere unapersona (direttamente o indirettamente) laddove potrebbe correre un rischio reale di essere sottoposta a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti». Una lettera nella quale Barrot sottolineava pure che «la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo indica che gli atti eseguiti in alto mare da una nave di Stato costituiscono un caso di competenza extraterritoriale e possono impegnare la responsabilità dello Stato interessato». Domani lo stesso Barrot presenterà una proposta della Commissione sulla possibilità che gli Stati membri accolgano volontariamente dei rifugiati temporaneamente residenti in un Paese terzo, diverso da quello di origine da cui sono fuggiti. Un caso simile, insomma, a quello dei somali e degli eritrei provenienti dalla Libia e respinti nel Mediterraneo, che potrebbero - se la proposta venisse applicata - non aver bisogno di affidarsi ai trafficanti e affrontare la rischiosa traversata per mare verso l’Italia.
Il pattugliatore della Finanzaieri non è stato ostacolato solo dal mare grosso. A bordo, al largo delle coste libiche, si sono verificati momenti di tensione tra militari e immigrati, secondo quanto racconta uno dei profughi che sarebbe riuscito a contattare tramite telefono satellitare un giornalista somalo della Bbc. «Siamo stremati, alcuni di noi stanno male. Vediamo da lontano le case di una città e temiamo che ci costringano a sbarcare. Vi prego aiutateci», è l’appello lanciato. «Abbiamo comunicato ai militari italiani l’intenzione di fare richiesta d’asilo e li abbiamo pregati di non consegnarci ai libici perchè temiamo di finire in carcere, ma non hanno voluto sentire ragioni». In Italia il governo non mostra cedimenti. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni annuncia che la politica dei respingimenti continuerà (perchè «funziona e in Libia è presente una sede dell’Unhcr»), precisa che il caso di domenica è avvenuto «in acque internazionali» (e dunque secondo il ministro non ci sarebbe una responsabilitàdiretta italiana, checchè ne pensi l’Ue) e lancia frecciate contro la stampa, perchè prima di affermare che i 75 profughi sono «del Corno d’Africa bisognerebbe accertarlo, sennò finisce come l’altro caso dei 75 immigrati che per la stampa erano tutti curdi-iracheni, ma dopo le verifiche si sono rivelati egiziani e sono stati rispediti a casa». Ma a dar sostanza all’ipotesi che gli immigrati respinti domenica siano somali ed eritrei ci pensa la portavoce dell’Alto commissariato Onu Laura Boldrini che accusa proprio il governo italiano. «Quello che accade è molto grave - spiega - Sono stati respinti donne e bambini somali che hanno chiesto di poter fare domanda d’asilo, implorando di non essere rimandati in Libia. Ma, nonostante fossero ancora a bordo della motovedetta italiana e in acque italiane, non gli è stata data la possibilità di fare richiesta di asilo. E sono stati rimandati indietro a forza. Di fatto gli è stato negato un diritto riconosciuto dalle convenzioni internazionali equesto è molto grave». La replica è di Maurizio Gasparri: «La Boldrini continua a provocare la Repubblica italiana con giudizi politici che non le competono e che si basano su pregiudizi politici. Pensi piuttosto alla latitanza della sua organizzazione in tante parti del mondo dove avvengono massacri e persecuzioni ignorate dalle organizzazioni internazionali. La nostra azione è giusta, unisce solidarietà e legalità».










   
 



 
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