Antartide, il ghiacciaio Pine Island si sta sciogliendo: calotta a rischio
 







Francesca Marretta




Sedici anni fa, scenziati britannici calcolarono che il ghiacchiaio di Pine Island, nell’Antartide occidentale, avrebbe impiegato almeno seicento anni prima di sciogliersi. Erano previsioni basate sul livello di assottigliamento del ghiaccio a quel tempo. Gli stessi scienziati hanno effettuato ora uno studio basato su immagini satellitari dello stesso ghiacciaio e pubblicato nella rivista scientifica "Geophysical Research Letters". Dal ‘94 il ghiacciaio si è abbassato di circa 90 metri, e secondo gli ultimi calcoli aggiornati tra 100 anni scomparirà.
Il ghiacciaio di Pine Island è tenuto costantemente sotto controllo dalla comunità scientifica internazionale per il timore e la consapevolezza che un suo collasso potrebbe portare a una rapida degenerazione di tutta la calotta antartica.
Dalle immagini satellitari si vede che il ghiacciaio di Pine Island si scioglie con maggiore celerità al centro, come se si creassero delle falle. Secondo ilProfessor Andrew Shepherd dell’Università di Leeds, che è uno degli autori della ricerca, la conseguenza sarà un amento del livello dei mari di 3centimetri a livello globale.
Con le drammatiche e irreversibili conseguenze del caso per popolazioni, fauna e flora delle regioni costiere.
Secondo l’Esa, l’Agenzia spaziale europea negli ultimi 50 anni la temperatura media in Antartide è salita di 2,5 gradi.
I ghiacciai sono una sorta di termometro del riscaldamento terrestre e sono, come dimostrano i dati scientifici, estremamente sensibili ai cambiamenti climatici.
I campanelli d’allarme sulla stato del pianeta risuonano ai poli con frequenza sempre maggiore.
Un anno fa, il cosiddetto "Asse di Wilkins", un’area della parte occidentale dell’Antartide grande quanto la Giamaica e unita alla calotta da millenni, si è distaccata dal corpo del ghiacciaio. Immagini satellitari hanno mostrato, come conseguenza, la formazione di un iceberg dell’ampiezza di 570 chilometri quadrati.
Il progressivo sfarinamento della calotta polare riguarda anche il polo nord. Una delle sentinelle della situazione nell’artico è il suo più possente inquilino, l’orso polare.
Con l’incremento delle temperature, fino a 5° nell’Artico negli ultimi 100 anni, sta scomparendo l’habitat di questo animale, che trova nella superficie ghiacciata la piattaforma su cui riprodursi, cacciare e riposarsi. Secondo una ricerca della United States Geological Survey, se i ghiacci continueranno a diminure al ritmo attuale, entro la metà del 21 secolo, il 42% dell’ habitat estivo dell’orso polare scomparirà. E con esso tanti orsi e foche. A causa dello scioglimento anticipato dei ghiacci gli orsi cacciano di meno e dunque mangiano meno. Il peso medio di una femmina adulta è sceso da 290 chili nel 1980, a 230 chili nel 2004. Le femmine di Orso non sono in grado di riprodursi se il loro peso scende sotto la soglia dei 189 chili. Fatti due conti, si capisce che se le orse continuano a "stare adieta" prolungata come è accaduto negli ultimi anni, non saranno più in grado di riprodursi entro il 2012.
Quando tutto questo accadrà e di conseguenza le zone costiere saranno sommerse dalle acque man mano che i ghiacciai continueanno a sciogliersi, nessun governo potrà dire "non lo sapevamo".
Mentre si continua con i topolini che partoriscono le montagne ai summit del G20, quando si tocca l’argomento ambiente, in alcune aree del pianeta si pensa a precauzioni. Ma non si tratta di misure che tendono a incidere sulle cause del climate change, piuttosto sulle immediate conseguenze, cercando di tamponarle. Per un motivo, almeno in questo caso, agghiacciante. Sarebbe ormai troppo tardi per fermare il cambiamento climatico. Megli rimboccarsi le maniche e cercare di salvare il salvabile. Queste sono le conclusioni che ha tratto il governo della California, che ha commissionato di recente uno studio sull’innalzamento dei mari.
I governi dei paesi ricchi, continuando con i nulla difatto ai vari vertici sull’ambiente, avrebbero risposto con imperdonabile ritardo alla minaccia climatica e dunque le riduzioni alle emissioni inquinanti daranno i primi effetti troppo tardi. Ai californiani è stato già raccomandato di costruire case a debita distanza dalle coste e di prepararsi a edificare dighe per proteggere le abitazioni già esistenti e il governo dello stato americano affacciato sul pacifico ha già stanziato miliardi di dollari per costruire o riparare dighe.
Ma il povero orso al polo nord o i pinguini al polo sud a quale governo potranno appellarsi?









   
 



 
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