Il delegato di Tuvalu, che sta diventando il simbolo della conferenza Onu, non ha trattenuto le lacrime. Il suo Paese ha scelto una politica a emissioni zero entro il 2020, ma dal punto di vista dell’impatto sulle emissioni di CO2, la scelta dei 10mila isolani del Pacifico non servirà a nulla. Durante il suo intervento all’assemblea plenaria, Ian Fry ha spiegato di essersi svegliato con le lacrime agli occhi «una cosa difficile da dire per un adulto». Il motivo? Basterebbe un piccolo tsunami per cancellare per sempre la sua terra. Ed è per questo che più di tutti e più degli altri, Fry ha chiesto con forza che la conferenza adotti una qualche decisione seria e vincolante. Già, a che punto sono le trattative in sede Onu? I Paesi industrializzati restano divisi dai nuovi inquinatori, che provano a giocare di sponda con i paesi più deboli. Lo schema resta questo. Ieri i Paesi industrializzati hanno criticato pesantemente la bozza di "Patto globalecontro il riscaldamento" per essere troppo blanda nei confronti dei Paesi emergenti (Cina, India, Brasile, Sudafrica, Indonesia). Il delegato Usa ha protestato anche a nome di Europa, Norvegia e Giappone. Non sono gli obiettivi posti all’Occidente sviluppato il problema - o almeno non ancora - ma l’assenza di obblighi per le nuove potenze economiche, che se non avranno limiti, saranno ancora più competitive. Nessun fronte è però particolarmente compatto: gli europei sono critici con gli americani. L’Ue sostiene che se Washington concedesse di più, si impegnasse a ridurre in maniera drastica le proprie emissioni, la palla passerebbe nel campo cinese e indiano. Senza un impegno sostanzioso americano è invece difficile poter premere su Pechino. Come ha spiegato il ministro svedese Calgren, la Cina e gli Usa devono prendere entrambi impegni vincolanti. Che a dire "farò il bravo", come hanno fatto i cinesi presentando i loro impegni, sono capaci tutti. Da ieri sera, decine di ministridell’ambiente si stanno radunando. E’ la prima infornata di figure di primo piano. Poi sarà la volta dei leader. Comunque sia, le bozze proposte fino ad oggi non sono abbastanza per porre rimedio all’incombente catastrofe ambientale. Gli scienziati che hanno fatto i conti sommando le offerte di riduzione dei gas serra di ciascun Paese e ne hanno dedotto che, se tutti rispettassero la parola data, si andrebbe a un taglio che varia - a seconda delle ipotesi e delle fonti - dall’8 al 12%. Nelle bozze di risoluzione finale si chiede al mondo sviluppato di tagliare del 25% le emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990. Ad oggi, l’offerta del mondo sviluppato è pari al 18%. Nei testi preparatori si fa anche riferimento a un limite di riferimento per quanto riguarda l’aumento della temperatura, che non dovrebbe salire ancora più di un grado e mezzo - a dire il vero nella bozza le cifre sono due: 1,5° e 2° centigradi, tra parentesi quadra, segnale che c’è ancora da discutere. Unlimite mpossibile da rispettare, secondo alcune delegazioni. Un problema di quei Paesi che avrebbero dovuto rispettare Kyoto e non lo hanno fatto, secondo altre. Il problema torna ad essere lo stesso: a Kyoto, i Paesi obbligati a tagli alle emissioni erano solo quelli sviluppati, che oggi non vogliono venire travolti dalla potenza economica asiatica. I Paesi sviluppati hanno enormi torti e qualche ragione: dietro gli argomenti contro di loro, c’è anche il tema della competitività. Altra questione complicata è relativa al nucleare. Nel testo vi si fa riferimento come ad una delle soluzioni possibili. Per alcune delegazioni si tratta di un’ovvietà, per altre quel riferimento va assolutamente eliminato. I segnali sono contraddittori e la pressione sulle delegazioni del Bella centre enormi. Non è affatto chiaro se basterà l’arrivo dei leader a trovare una qualche via d’uscita o se, piuttosto, Copenaghen non stia prendendo la strada dell’impasse. Stessa cosa è capitata al Doha round inambito Wto. Ma per quanto sia importante, il commercio mondiale è uno scherzo se paragonato alla catastrofe ambientale.
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