Passo in rassegna una serie di priorità ambientali che mi piacerebbe fossero nell’agenda politica e alla fine scelgo l’impegno per la riforma dell’educazione e per la liberazione della mente Nell’epoca dell’inquinamento globale è infatti proprio la mente ad essere la più inquinata. Il modello produttivo che mette a rischio la sopravvivenza della vita e dell’umanità, accanto alla polluzione dell’atmosfera e della biosfera, provoca una progressiva polluzione della semiosfera, dell’universo dei segni. Essa si manifesta innanzitutto, secondo Latouche, nella standardizzazione dell’immaginario, o, meglio, nella "macdonaldizzazione dell’immaginario": una proliferazione incessante di cibi, oggetti, parole linguaggi, trasgressioni, differenze che nasconde però una uniformizzazione a livello planetario sotto il comando imperiale di una monocultura che omologa non solo idee e comportamenti ma desideri e sogni, orientandoli verso le dinamiche del mercato ele sue ingiunzioni al continuo consumo, al frenetico spostamento, alla competizione feroce e selettiva. L’onnipervasività dello spettacolo nei mondi vitali e nelle forme del quotidiano protegge e promuove la standardizzazione, determinando, grazie anche alla telecomunicazione mondiale, un ulteriore fattore di inquinamento della mente. Lo spettacolo , dicevano i situazionisti, è osceno, mette tutto in scena, dando così un’impressione di verità; ma lo spettacolo, dicevano ancora i situazionisti che non a caso erano marxisti, produce miraggi e simulacri, usa le maschere e rende così la finzione più vera e certo più appetibile della realtà. La "società dello spettacolo" si serve di questa finzione tramite cui può agire un rovesciamento che esorcizza la paura, il dolore, la crisi, ed emanare una consolazione che è illusoria, mitica, sostanzialmente religiosa. Essa porta a compimento quel feticismo che è sostanza della merce: morto che si mangia il vivo, idolo che si nutre dell’immaterialità, di una costante migrazione del corpo e del concreto. Lo spettacolo, come al cinema e a teatro, richiede anche nella vita un’attrazione fatale per il buio. Ciò determina una sorta di amore ossessivo per il chiuso che non dispiace al potere biopolitico e al nuovo assetto concentrazionario. Questa claustrofilia di massa, che è il terzo motivo dell’inquinamento della mente, scaturisce, per dirla con Marcuse, da una "costruzione addizionale" della pulsione di morte", pulsione avida, anale, che esaspera il narcisismo aggressivo ed autoaggressivo ed esclude la relazione. Essa si manifesta compiutamente nell’"individualismo proprietario", modo di essere dominante che, mettendo i sacchi di sabbia davanti alla finestra, come nella canzone, si rifugia nel chiuso conforto del "proprio" (il proprio orto, la propria famiglia, la propria corporazione o etnia). Ma si manifesta anche nella discesa quasi mistica di chi indossa lo schermo del computer come uno scafandro protettivo perregredire , in solitudine misterica, verso un grembo fittizio in cui intrecciare relazioni fittizie protetti da una identità spesso fittizia: una discesa che chiede la trascendenza e la conquista di un Eden dove, pur nella virtualità, si può essere belli e forti e aggressivi, dove insomma ognuno, anche il più sfigato, può essere un Dio. Ecco, Dio. L’identità virtuale non sa più reagire di fronte al pericolo di una progressiva sparizione della natura, di una sua completa artificializzazione. L’identità virtuale ha una mente binaria che è "senza natura": procede cioè, come denuncia Bateson , secondo una logica del’identità (A=A,B=B) che esclude il "terzo" e che quindi non può cogliere la profonda complessità della natura. Essa però serve alla tecnoscienza, quell’attività diretta dai laboratori delle multinazionali che sta soppiantando la scienza intesa come spirito critico e libera ricerca, la quale, grazie soprattutto alla chimica e alla genetica, può finalmente - cito Jonas -«camminare nelle scarpe della natura cambiandone i connotati»; può cioè incrociare specie, creare sostanze, inventare organismi, portando appunto l’artificiale nella struttura stessa della materia e della vita: può insomma, "giocare a Dio" e perseguire, onnipotente, la riproducibilità tecnica dello stesso genere umano (come si evince da una serie di esperimenti della "industria del vivente") La scuola, la scuola pubblica, dovrebbe e potrebbe smascherare la standardizzazione, l’artificializzazione, l’illusione. Ma a volte non c’è la fa, indebolita com’è da riforme che ne hanno cambiato la destinazione (un deposito di "risorse" da spendere come forza lavoro in base alla segmentazione delle competenze) senza mai intaccare né la struttura chiusa e autoritaria, funzionale all’apprendistato fascista e fordista, né il modello epistemologico e disciplinare. Eppure la scuola è il luogo di formazione della coscienza, anche di quella antagonista, e perciò la sinistra radicale e marxista hafatto in passato del suo cambiamento un’assoluta priorità. Cosa su cui concorda oggi il pensiero educativo ecologista, a cominciare da Morin, avanzando anche una proposta: la messa al centro del nuovo paradigma dell’educazione ambientale; non l’educazione "trasversale", di nicchia, che insegna tutt’al più a fare la raccolta differenziata, ma l’educazione naturale fondata sul materialismo, parola bellissima che viene da mater e che rimanda alla materia: le piante e gli animali, le montagne e le stelle e le strade all’aria aperta, quelle dove si possono fare, come facevano Socrate e Rousseau, delle vere passeggiate, e dove si può esprimere un "pensiero all’aria aperta", un pensiero non conformista dell’immaginazione e della libertà.
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