Ma in che mani siamo finiti? Come hanno ridotto l'idea ed il concetto dello star bene, della salute, della sanità? E' forte la sensazione di vivere ormai in un enorme ipermercato, dove l'unica cosa importante è vendere, magari a prezzi di lancio. La questione è globale e va dalla scuola all'aria fresca, dall'integratore al farmaco; tra un po', forse, riguarderà l'analisi delle urine o dell'azotemia, magari una glicemia a prezzi stracciati. Certo che la pensata del novello ministro della salute, Francesco Storace - il suo decreto che liberalizza il prezzo dei farmaci di «fascia C», quelli a totale carico del cittadino e senza l'obbligo della ricetta medica - non aiuta ad invertire la rotta; né contribuirà a ridurre la spesa farmaceutica o a migliorare l'accessibilità alle cure da parte degli anziani. Ma non è soltanto questo il vero problema. Quello che preoccupa, in questa commercializzazione spinta, sono le gravi ripercussioni sulla sanità e sullasalute, che non può essere data a «saldo. La salute è un diritto sancito dalla costituzione e questo diritto rappresenta, per l'intera società, anche un «dovere». Il «diritto a star bene» non può però essere inteso solo come «assistenza» (compreso il diritto al farmaco), ma implica la prevenzione - tramite il miglioramento della qualità (psico-fisica) della vita e gli interventi di tutela, sia ambientale che territoriale. La liberalizzazione dei prezzi, al di là delle questioni e degli interessi economici, va esattamente in senso opposto e assesta un altro colpo al diritto alla salute e alla sanità. Puntualizzo, dunque, alcuni problemi che riguardano il decreto sui farmaci: a) sarebbe opportuno stabilire un'identica diminuzione del prezzo in tutta Italia. Ve lo immaginate un anziano, ad esempio, girare quartiere per quartiere, farmacia per farmacia, alla ricerca del prezzo migliore? b) la priorità sta semmai nel diminuire i prezzi di tutti i farmaci indispensabili, spesso aumentatinegli ultimi tempi. c) occorre insistere sul farmaco generico e la prescrizione medica del solo principio attivo (senza la «marca»). d) occorre impostare e attuare una campagna di informazione indipendente sull'uso dei farmaci (di quelli da banco in particolare), ma anche sulla loro reale utilità, efficacia e sicurezza. Per quanto riguarda i cosiddetti farmaci da banco (OTC, over the counter), e gli antinfiammatori in particolare, segnalo che la Fda americana ha chiesto alle ditte produttrici di rivedere i foglietti illustrativi, i cosiddetti «bugiardini», sollecitando l'inserimento di maggiori informazioni sul potenziale rischio cardiovascolare conseguente all'uso di questi farmaci. Dovranno inoltre contenere un'avvertenza sui possibili effetti avversi a livello cutaneo, già presenti per gli antinfiammatori prescritti dal medico. Sono stati posti sotto stretto controllo, inoltre, tutti quegli antidolorifici contenenti ibuprofene, fortemente sospettato di provocare danniintestinali. Il problema, però, vale per tuti gli antinfiammatori non steroidei (FANS), molto utilizzati per il trattamento delle forme artrosiche, ma anche della cefalea e della febbre. Secondo alcune ricerche i danni intestinali provocati da questi antinfiammatori, alcuni dei quali in libera vendita, sarebbero molto più comuni di quanto non si pensi. Per chiudere, è interessante sapere che l'antitrust effettuerà una indagine nel settore delle prestazioni ospedaliere delle Asl e delle strutture private convenzionate. Antonio Catricalà, presidente dell'authority, ha dichiarato: «Sarà un'indagine difficile, perché dietro la sanità si muovono grandi interessi politici e ideologici».da Il Manifesto
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