Presidente della Repubblica, tra i militanti del No Ponte
 











Presidente Napolitano

Benvenuto, Presidente della Repubblica, tra i militanti del No Ponte. Ovvero quel manipolo di egoisti, estremisti e retrogradi che da tempo immemorabile ripete «no a opere faraoniche, sì alla messa in sicurezza del territorio».
Esattamente quello che ha dichiarato Napolitano di fronte a oltre 20 cadaveri innocenti, trascinati in mare dai torrenti in piena, sepolti vivi nel fango, portati via dall’acqua o annegati nelle cantine delle loro stesse case.
Fino a qualche settimana fa il governo minacciava l’uso dell’esercito contro le minoranze che si opponevano all’avvio dei cantieri. Il presidente dell’Anas Pietro Ciucci (già presidente della Società Ponte di Messina, ndr) veniva investito della carica surreale di "Commissario alla rimozione degli ostacoli" frapposti alla grande opera. Il tutto nel silenzio delle istituzioni nazionali e locali.
Parlare di "riqualificazione del territorio", evidentemente, colpiva meno l’immaginario rispettoalla retorica dell’isola da unire al "continente". Proposte come le infrastrutture di prossimità, il traghettamento pubblico tra le due sponde, la messa in sicurezza antisismica degli edifici, venivano bollati come risposte insufficienti, soluzioni limitate.
Dopo decine di morti, una quarantina di dispersi, centinaia di sfollati e una tragedia di proporzioni inattese, molti rivedono le proprie posizioni. Non tutti. Chi se la prende col destino: precipitazioni fuori dalla norma; chi con i pochi soldi attribuiti alla prevenzione: non bastano mai; chi si limita a inscenare l’ormai consueto teleshow dei soccorsi a base di politici sorridenti e funzionari decisionisti.
Non avranno senso le solenni prese di posizione, le inchieste della Procura, le richieste di dimissioni e la caccia alle responsabilità se da domani tutto ricomincerà come prima. E tra poche settimane potrebbe riattivarsi lo stesso meccanismo che ha portato alla devastazione, alle morti, alle lacrime. C’è un modosemplice e immediato per onorare i morti di Messina. Impedire che ne arrivino altri.
«Non lo faranno mai»
Non si è mai vista tanta incredulità intorno alle parole di un ministro della Repubblica e dell’amministratore delegato di una delle maggiori società di costruzioni del mondo. «Stiamo per aprire i cantieri», dicono con ammirevole costanza da mesi. «Tanto il Ponte non lo faranno mai», ribatte sia la gente comune sia l’esperto che la sa lunga. Eppure il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli e l’amministratore delegato di Impregilo Alberto Rubegni lo hanno ripetuto più volte, l’ultima il 3 ottobre, a 24 ore dal fango di Giampilieri: «A gennaio partiranno le opere a terra. Forse addirittura a dicembre».
I cantieri sarebbero stati divisi in quattro categorie: opere ferroviarie, stradali, collegamenti marittimi e opere compensative. Le prime due sono connesse al Ponte. La terza sezione sembra addirittura sostitutiva rispetto all’attraversamento stabile. La quarta è ilclassico assegno staccato a un territorio in cambio della devastazione procurata.
Per prima cosa la nuova stazione, ipotizzata prima in pieno centro e poi nella zona semiperiferica di Gazzi. Si parla dell’interramento dei binari e di nuove gallerie da realizzare in area urbana. Poi arrivano le opere stradali: la "variante necessaria a preservare l’integrità della Cittadella universitaria dell’Annunziata", il raccordo Panoramica-Litoranea; il minisvincolo di Ganzirri, in corrispondenza del casello dove si pagherebbe il pedaggio prima di immettersi sul Ponte. In secondo luogo, la strada "Curcuraci- Panoramica dello Stretto-Svincolo di Marotta" e il raddoppio autostradale Giostra-Annunziata.
Un delirio di strade inutili
Poi le "opere stradali connesse", che servono a evitare interferenze tra mezzi di cantiere e traffico ordinario e - ad opera compiuta - a sostenere un aumentato flusso veicolare del tutto ipotetico: la "seconda tangenziale" (Tremestieri-Giostra), il "secondotratto" della via del mare, il bypass Annunziata-Pace, il completamento della copertura del torrente Papardo.
Prevedendo l’intasamento della città a causa del megacantiere, si ipotizzano sei "nodi di approdo" (Torre Faro, Papardo, Annunziata, Messina-porto, Gazzi, Tremestieri-porto) per integrare il sistema di trasporto pubblico e favorire gli spostamenti da una parte all’altra dell’area urbana.
Infine, le opere compensative: interventi di salvaguardia della riserva di Capo Peloro; interventi attuativi del Piano particolareggiato-Porto di Tremestieri; la variante-bypass di Faro Superiore; la rinaturalizzazione e il ripascimento dei litorali; misure per l’area integrata dello Stretto; aree di protezione civile.
Si tratterebbe di una delle più grandi follie mai realizzate in Italia. Per prima cosa, le strade e le ferrovie risulteranno perfettamente inutili fino al completamento finale del Ponte, e probabilmente anche dopo. Nello stand allestito lo scorso agosto alla fieracittadina, la società "Stretto di Messina" mostrava senza pudore i plastici del "progetto preliminare 2002". Da allora non è stata fatta molta strada: la successiva ipotesi, quella contestata dall’allora capo dei progettisti Remo Calzona, è del 2004.
C’è la scala ma non la casa
«E se dovesse essere valutato come inattuabile, a cosa saranno servite opere che si giustificano solo ed esclusivamente in funzione del Ponte?», si chiede Guido Signorino, docente di Economia, uno dei massimi esperti dei conti della megainfrastruttura. «Cosa ne sarebbe di lavori frettolosamente realizzati con un anticipo di 6-7 anni? È come realizzare una scala esterna per una casa che non c’è. Potremmo costituire un danno erariale di proporzioni gigantesche».
In terzo luogo, si procederebbe al dissesto ulteriore di un territorio fragile, fatto di colline che fronteggiano il mare e già abbondantemente cementificate. Raddoppiare la tangenziale, interrare i binari, spostare la stazione, tanto per farequalche esempio, sarebbe solo un regalo a Impregilo. Una nuova ferita per un territorio sanguinante. Un’offesa ai martiri di quella politica che oggi tutti rinnegano. A parole.
Antonello Mangano - Comitato No Ponte









   
 



 
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