Il linguaggio non è proprio "barricadero" ma poco ci manca. Ma anche così, assolutamente inusuale. Per loro. «E’ assai inopportuna la scelta di annunciare la cassa integrazione alla vigilia dell’incontro». Oppure, come variante, c’è il tono «riformista», conciliatore. Anche questo però sconosciuto dalle loro parti. «La speranza è che si metta da parte la logica del fatto compiuto e si possa riannodare il filo del dialogo». La prima frase è del ministro Scajola, la seconda del suo collega - assai più potente - Sacconi. I due hanno così commentato la decisione della Fiat di ricorrere alla cassa integrazione in tutti gli stabilimenti. Da Mirafiori a Termini Imerese. Un annuncio, a poche ore da un nuovo incontro fra azienda, governo e sindacati, dove - almeno nelle intenzioni dei lavoratori - si sarebbe dovuto iniziare a discutere del piano industriale. L’unico strumento che potrebbe consentire agli stabilimenti italiani di avere un futuro. Ora, invece,con l’annuncio di Marchionne cambia l’ordine del giorno dell’incontro. E più o meno tutti hanno capito che l’annuncio della Fiat ha un valore di «ricatto» (per usare le parole, una volta tanto esplicite, di Bonanni, segretario Cisl). In questo scorcio del 2010, la vendita di auto ha, infatti, subito un calo. Le ragioni? Per la Fiat sono semplici: a fine 2009 - quando s’è registrato un mini-boom che ha consentito al gruppo di distribuire sostanziosi dividendi - la vendita è stata sostenuta dagli «incentivi» . Ora quegli incentivi sono finiti. Il governo ha annunciato che sta pensando di prorogarli. Ma non nelle stesse dimensioni e soprattutto per un periodo di tempo più limitato. A voler essere precisi - all’epoca dello scontro, poi rientrato, fra il Tremonti rigorista e gli altri ministri stanchi di non poter distribuire denari - l’esecutivo annunciò che gli incentivi sarebbero stati distribuiti a tutti i settori produttivi. Di conseguenza al comparto auto ne sarebbero arrivati dimeno. Due più due fa quattro. E prima che il governo decida - i provvedimenti saranno varati entro febbraio - la Fiat ha deciso di giocare d’anticipo. Ha spiegato che senza incentivi non vende e che quindi è costretta a mettere in cassa integrazione i suoi dipendenti. Tutti. A questo punto il governo ha fatto la voce grossa sulle agenzie. Addirittura Scajola ha denunciato, in un’intervista su Sky 24, che pur avendo contatti continui col gruppo, «non era stato informato della decisione». Apparentemente potrebbe sembrare l’inizio di uno scontro fra la grande impresa italiana e l’esecutivo. Ma le cose, forse, non stanno esattamente così. Sono in molti insomma a pensare che l’irritazione della destra dipenda soprattutto dalla «tempistica». Perché 30.000 in cassa integrazione sono una brutta gatta da pelare ad un mese - poco più - dalle regionali. Col rischio - per la destra - che la campagna elettorale possa essere segnata da una discussione sul lavoro, sul lavoro che manca. Sullavoro che il governo non è riuscito a garantire. E dall’opposizione sono in molti a far notare che comunque l’irritazione del governo è tardiva. Per capire: gli incentivi all’auto sono stati concessi da tutti i governi europei. Solo che la strada scelta è quella dell’esecutivo - di destra - guidato da Sarkozy. Incentivi in cambio di garanzie sull’occupazione. Da noi, in Italia, invece hanno distribuito soldi senza nulla in cambio. E dire che il sindacato - che in questa occasione sembra parlare un solo linguaggio: da Bonanni di cui s’è detto alla Camusso, Cgil - ha speso tutta la sua autorità proprio per chiedere questo «scambio». Per chiedere che il gruppo finalmente si metta attorno ad un tavolo a discutere di un «piano industriale». Per stabilire quante vetture debbano essere prodotte in Italia, per capire che rapporti debbano esserci con la Chrysler, per imporre che anche dagli stabilimenti italiani escano vetture verdi. Per imporre che i dividendi almeno in parte sianoreinvestiti nella ricerca. E dentro questo «piano», trovare la soluzione a Termini Imerese. Il governo ha fatto il contrario: finanziare la Fiat senza contropartite. E c’è chi sostiene che questa «linea» sia stata imposta direttamente da Berlusconi. Che non ha mai visto di buon occhio il ruolo della Fiat in questo paese. Anzi l’ha sempre guardata con sospetto, come se fosse uno dei «poteri» che potesse entrare in contrasto col suo governo. Timori accresciuti dopo l’annuncio dell’opzione centrista predicata dell’ex leader della Confindustria, Montezemolo, uomo Fiat. Così il premier ha preferito pagare, per non avere problemi. Che invece, puntualmente, gli si sono ripresentati. Ma tutto questo riguarda l’analisi. Intanto c’è il dramma di 30 mila lavoratori in cassa integrazione. Che fare? Il portavoce della federazione della sinistra, Ferrero, un’idea ce l’ha. Questa: «Scajola invece che continuare ad abbaiare alla luna e fingere d’indignarsi, intervenga in modo deciso obbligandoil gruppo non chiudere nessuno stabilimento». Altrimenti, «il governo prenda il coraggio a due mani e dia luogo alla nazionalizzazione del gruppo Fiat».
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