Un governo in fuga dal processo
 











Il conflitto d’interessi di questo governo è pervasivo. Non riguarda solo la particolare situazione del presidente del Consiglio e le sue aziende, ma riesce ad inquinare anche la politica in materia di giustizia. Il coinvolgimento in vicende processuali di membri dell’esecutivo fa sì che ogni proposta dell’attuale maggioranza venga giudicata in base a parametri che non è possibile separare da quelli dell’interesse personale. Ciò rende pressoché impossibile una valutazione serena e non falsata delle gravi questioni che attraversano il pianeta giustizia. Così la tragedia della lunghezza eccessiva dei processi - vero cancro del sistema giudiziario italiano - si traduce in una proposta che non tende a curare il male, ma viene invece assunto come pretesto per liberarsi dall’accertamento dei gravi fatti che coinvolgono il presidente del Consiglio. Il cosiddetto processo breve non è un "processo giusto". Esso garantirà semplicemente che siinterrompano molti dibattiti prima del termine, impedendo in tal modo l’accertamento dei fatti, non servirà, invece, ad assicurare, come pretende l’articolo 111 della nostra Costituzione, che le cause si possano svolgere e concludere con una decisione nel merito, nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti a giudice terzo e imparziale, entro un tempo ragionevole. E’ la logica della "fuga dal processo" che ispira la riforma del governo, non quella delle garanzie e dell’effettività della giustizia. Qualche sprovveduto, anche tra i banchi dell’opposizione, ha persino teorizzato che fosse legittimo difendersi nel processo, ma anche dal processo. Senza comprendere che ciò rappresenta la morte della giustizia e non la cura dei suoi incancreniti problemi. Egualmente può dirsi sulla questione delicatissima delle intercettazioni. Il problema di una loro utilizzazione disinvolta è reale e riguarda in primo luogo il delicatissimo problema del rapporto tra libertà di stampa(intesa sia come libertà di informare, sia - per l’opinione pubblica - come diritto a essere informati) da un lato e le garanzie degli imputati e la dignità delle persone dall’altro.
L a diffusione delle intercettazioni prima della chiusura delle (troppo lunghe) indagini rischia di compromettere questi ultimi, tanto più se si riferiscono a questioni non penalmente rilevanti o che successivamente dovessero rilevarsi infondate. Dunque riflettere su regole più stringenti non sarebbe improprio. Forse, peraltro, basterebbe applicare la normativa vigente relativa al segreto istruttorio per ristabilire un equilibrio spesso stravolto.
Il punto è però che l’attuale governo è anche su questo fronte in conflitto d’interessi e lo scopo principale non è quello di regolare i flussi informativi e l’uso rigoroso da parte dei pubblici ministeri dello strumento ormai diventato il loro principale mezzo d’indagine. L’intenzione è quella di prendere la questione reale e tradurla in un pretesto perdepotenziare la capacità di accertare i reati da parte della magistratura. Permettere infatti - come fa il disegno di legge all’esame del senato - di effettuare le intercettazioni solo nei casi di «evidenti indizi di colpevolezza» e solo se esse sono «assolutamente indispensabili ai fini della prosecuzione delle indagini e sussistono specifiche e inderogabili esigenze relative ai fatti per i quali si procede», non vuol dire limitare gli abusi, bensì rendere superfluo questo specifico strumento d’indagine, che potrebbe essere autorizzato solo dopo che già sono stati acquisiti solidi elementi di giudizio da parte delle procure. Ma allora perché intercettare?
Anche in questo caso più che risolvere le gravi e reali questioni del sistema giudiziario, semplicemente si elimina il problema. Nella speranza che cancellate le intercettazioni svaniscano anche i reati. Non si possono affrontare così le questioni serie, non si può discutere di giustizia con chi ritiene semplicemente si debbafuggire dai giudici.Gaetano Azzariti
Berlusconi,basta giochi di potere
Con l’amico Verdini farà i conti dopo, a quattr’occhi. Ma ufficialmente re Silvio lo difende e richiama all’ordine la truppa, un manipolo di ambiziosi pronto a far le scarpe al coordinatore del Pdl in cambio di visibilità politica. Una chiave di lettura quanto meno minimalista, alla luce del terremoto - rilevato perfino dai sondaggi elettorali - provocato dalla maxi inchiesta fiorentina sulla protezione civile e sulla gestione dei grandi eventi. Il Cavaliere è nero, naturalmente ce l’ha con i magistrati, con i giornalisti, con tutti i media. Ma ce l’ha ancor di più con i suoi, quelli che hanno storto la bocca di fronte alle informazioni di garanzia per corruzione recapitate a Verdini e allo stesso Bertolaso, il suo plenipotenziario uomo del fare. I peones si scandalizzano? Io sono scandalizzato dal loro comportamento. Di qui la presa di posizione chiara, netta, inequivocabile di Berlusconi: «Denis Verdini èun galantuomo». Secondo i canoni della ex Forza Italia, s’intende. Ma è anche la linea del Pdl, almeno finché comanda lui, Silvio Berlusconi. Così è se vi piace, se non vi piace è così lo stesso.
Verba volant scripta manent. Berlusconi mette nero su bianco l’ordine di servizio al gran partito delle libertà: viva Verdini abbasso chi pensa di approfittare della sua momentanea difficoltà per avvantaggiarsene. «Pur avendo in passato criticato il malvezzo dei giornali di attribuirmi virgolettati e pensieri mai espressi credo che la responsabilità non sia più solo della stampa ma di chi la usa per giochi di potere personali, per cercare di indebolire chi, proprio come l’onorevole Verdini, si è speso e si spende giorno per giorno per costruire la struttura del Popolo della libertà, lavoro storico e difficile, difendendolo con determinazione dagli attacchi esterni e, magari, interni». Beato Denis da Fivizzano, è nato anche lui lì, in provincia di Massa Carrara, come Sandro Bondi, ma c’èstato poco. Quando si dice il caso.
«Non sono assolutamente preoccupato per le inchieste» su appalti e Protezione civile. «Casi singoli», aveva assicurato in precedenza Berlusconi uscendo da palazzo Grazioli, sua residenza romana. «Come ho detto l’altro giorno e ci sono state anche ironie a riguardo, è statisticamente provato che su cento persone, qualcuno fa il proprio interesse in maniera non legittima». Serra le fila Berlusconi, le elezioni si avvicinano e c’è bisogno di remare tutti dalla stessa parte, anche al costo di minimizzare i fatti. Così Guido Bertolso sta facendo il giro dell’etere, quello delle sette chiese televisive. Questa volta la missione del gran capo della Protezione civile è quella di convincere gli italiani teledipendenti che lui non c’entra, è solo una vittima dell’invidia.
«Tutto il governo è stato concorde per rendere più articolato il disegno di legge contro la corruzione: la prossima settimana penso che sarà pronto. Sono stato io a volerlo», ha resonoto il premier, «io a proporlo e io poi, a seguito della discussione approfondita che si è svolta in Consiglio dei ministri, a ritenere che poteva essere migliorato». Staremo a vedere che cosa uscirà da palazzo Chigi. Intanto è sicuro che il governo non ha intenzione di toccare le prerogative della Protezione civile nella gestione dei grandi eventi. Magari non diventerà una Spa. Ma la legge del 2001 che le garantiva poteri eccezionali anche per fatti non eccezionali non si tocca. Come dice il principe di Salina, tutto cambia perché nulla debba essere cambiato.
Berlusconi a Palazzo Grazioli in mattinata aveva incontrato il ministro dei Trasporti Altero Matteoli e il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini, toccati dalle inchieste. «Non ci saranno cambiamenti ai vertici del partito. Si cerca sempre di migliorare, ma non c’è nulla che possa far pensare a qualcosa di traumatico perché non esiste nessuna necessità di farlo». Tutto bene madama la marchesa? Non propio se il terzotriunviro delle libertà, Ignazio La Russa, decanta a distanza la sua bravura e poi dice: «C’è sempre qualcosa da fare e da migliorare. Se c’è da fare un passo indietro, sono pronto a farlo». Ma la decisione finale spetta a Berlusconi, osserva implicitamente La Russa. L’uomo solo al comando, con tutti gli altri che devono essere usi ad obbedir tacendo. Da parte sua il ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, esclude che Verdini «abbia i giorni contati» e pensa che non sia Verdini che «si giochi tutto alle elezioni regionali, ma il Pdl. Se perdiamo voti sulle liste, il progetto va in crisi». Serrare le fila dunque. Un vecchio democristiano come Rotondi fiuta l’aria che tira e dà ragione al Cavaliere. Anche questa tempesta passerà. L’ultima parola sulla giustizia è affidata alla Lega, su cui potrebbero confluire - al solito - i voti dei delusi del Pdl. Dice Umberto Bossi: «Il Pdl non candidi chi è stato colto con le mani nel sacco». Il Pive mormorò.FridaNacinovich









   
 



 
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