Fiat, milioni ai manager e cassa integrazione per 30mila operai
 







Roberto Farneti




Dieci milioni di euro di premio annuale per i manager Fiat che chiudono lo stabilimento di Termini Imerese e spostano il baricentro della produzione di auto fuori dall’Italia. E per i lavoratori? Due settimane di ulteriore cassa integrazione per tutti, a partire da ieri. E per chi non ci sta? Manganellate sulla testa, come testimoniano le violente cariche di domenica mattina contro il presidio pacifico in corso da alcuni giorni davanti ai cancelli della Fma di Pratola Serra (Avellino), dove si producono motori. Mille e 700 operai in cassa integrazione straordinaria dal novembre scorso trattati come delinquenti per avere difeso il posto di lavoro, impedendo l’uscita dei camion con la merce. E’ così che il governo pensa di tutelare l’occupazione? A chiederselo è Paolo Ferrero (Prc), candidato alla presidenza della Regione Campania, che denuncia il «vergognoso intervento dello Stato a favore della Fiat e contro i lavoratori».
Gli operai di PratolaSerra, tuttavia, non hanno alcune intenzione di farsi intimorire. L’assemblea che si è svolta ieri mattina nello stabilimento irpino - presenti il segretario della Fiom Cgil nazionale, Giorgio Cremaschi, e quello regionale Uilm, Giovanni Sgambati - ha confermato il presidio davanti ai cancelli almeno fino a venerdì 26, giorno dell’incontro con l’azienda al tavolo del ministero dello Sviluppo economico. «Difendere lo stabilimento dell’avellinese ha una doppia valenza - sottolinea Sgambati - significa cioè difendere l’occupazione in Campania ma anche la produttività di Fiat in Italia».
Il nodo della questione resta infatti il piano industriale del Lingotto. Le grandi alleanze internazionali, come quella con la Chrysler, potranno forse consentire alla Fiat di penetrare nuovi mercati, come quello americano, ma non porteranno certo benefici per gli stabilimenti italiani. Mentre la produzione di auto per l’Europa verrà progressivamente dirottata in Polonia e in Serbia. Come dimostra anchel’annunciata chiusura di Termini Imerese entro il 2011, furbescamente "addolcita" dal temporaneo rientro in Italia della Panda. Due anni fa, ricorda il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, «Fiat aveva dato disponibilità a restare» in Sicilia «e a investire, poi oggi effettivamente ha cambiato idea e anche questo - sottolinea Epifani - è segno del fatto che i mercati su cui scommette sono altri».
Ieri il vicepresidente di Fiat, John Elkann, ha chiuso sul nascere lo spiraglio aperto dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, il quale, in una intervista a un quotidiano, aveva parlato di un non meglio precisato «cambio di linea» del Lingotto sul futuro dello stabilimento siciliano. Nessun cambiamento di strategia su Termini Imerese, perchè sull’argomento «abbiamo già detto tutto», la secca replica di Elkann.
Per l’impianto in provincia di Palermo si pensa già a soluzioni alternative, le famose 14 proposte di riutilizzo sbandierate dal ministro per lo Sviluppo Economico ClaudioScajola. Secondo il vicepresidente della Commissione europea, e commissario per l’industria, Antonio Tajani lo stabilimento di Termini Imerese «può diventare la punta di lancio di un progetto per lo studio e la realizzazione di auto elettriche o ibride, lavorando anche con le università, e con realtà industriali lontane dall’Italia».
Nel frattempo è scattata ieri la cassa integrazione in tutti gli stabilimenti di Fiat Auto fino al 7 marzo. A fermarsi saranno i 30mila lavoratori dei siti di Mirafiori, Termini, Sevel, Melfi, Cassino e Pomigliano. Nell’annunciare il provvedimento a fine gennaio, l’Azienda aveva spiegato che il blocco della produzione si era reso necessario per adeguare i livelli produttivi alla domanda.
Quello che è certo è che la crisi non è uguale per tutti. Nonostante il gruppo torinese abbia chiuso il 2009 con una perdita netta di 800 milioni, contro l’1,7 miliardi di utile dell’anno precedente, il dividendo agli azionisti verrà comunque distribuito mentre gliamministratori sono stati premiati per avere raggiunto gli obiettivi fissati. Il compenso dell’ad Sergio Marchionne sale quindi da 3,4 a 4,7 milioni di euro, quello del presidente Luca di Montezemolo da 3,3 a 5,1. «Una vergogna, in una situazione caratterizzata da cassa integrazione e chiusura di stabilimenti», grida ancora Ferrero, che propone al governo di mettere «un tetto alle retribuzioni dei manager delle aziende in crisi che utilizzano la cassa integrazione. Lo stipendio più alto - afferma - non può essere più di dieci volte lo stipendio dell’operaio che guadagna meno».









   
 



 
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