E arriva il processo breve
 











Disorientati. Non sulle cose da fare ma un po’ disorientati nel capire davvero cosa sia diventato questo paese. Nel capire davvero cosa ci sia dietro l’inchiesta dei giudici che ha portato alle richieste di arresti super-eccellenti. Una sorpresa, un disorientamento che si rivela anche nella scelta degli aggettivi usati per commentare ciò che i magistrati hanno portato allo scoperto, la commistione strettissima fra ’ndrangheta e politica. «Spaventoso», è la parola scelta da Orlando, responsabile giustizia dei democratici, «micidiale», quella della capogruppo dello stesso partito al Senato, Anna Finocchiaro.
Ieri pomeriggio, insomma, c’era un po’ di incredulità fra le fila dell’opposizione parlamentare. Come se si avesse timore ad aggiornare l’analisi di un paese in cui - almeno a detta degli investigatori - il più feroce gruppo di criminalità organizzata è in grado di mandare un suo rappresentante nell’aula di Palazzo Madama. Nel gruppo dimaggioranza. Poi, però, complice anche l’incredibile scelta della destra - che proprio in queste ore sta imponendo un’accelerazione sulle misure che bloccano inchieste e processi - tutto è diventato più facile. Nel senso che è stato semplice per i leader dei democratici, «sfornare» battute al veleno.
Ha cominciato lo stesso Andrea Orlando, presidente del Forum giustizia del piddì, che davanti alle telecamere non ha avuto esitazioni: «Non può essere credibile un governo che mentre annuncia misure anticorruzione, allo stesso tempo opera per l’approvazione di un disegno di legge contro le intercettazioni, e cioè contro lo strumento principale che ha consentito che la corruzione venisse a galla».
Ha proseguito la Finocchiaro: «Una serie di indagini giudiziarie sta mettendo davanti agli occhi degli italiani - noi siamo garantisti e vedremo quale sarà la parola definitiva dei giudici - un quadro non rassicurante: appalti, corruzioni, risorse pubbliche distratte, commistione insanatra criminalità, affari e pubblica amministrazione. In tutto questo, noi dal 9 marzo discuteremo il disegno di legge sul legittimo impedimento!». La Finocchiaro conclude con una battuta dai toni inusuali per lei: «In nome della dignità del Senato questa voce andava depennata dal calendario dei lavori. E’ un’indecenza».
Inutile aggiungere che anche i commenti dei leader dell’Italia dei Valori sono stati duri. Durissimi. Lo scoppio dello scandalo sul riciclaggio del denaro sporco unito alla pretesa della maggioranza di votare subito le leggi salva premier - nonostante le assicurazioni, per ultima quella di Quagliarello, che il «processo breve» sarebbe stato discusso dopo le regionali - fa dire a Di Pietro che quella di ieri è stata «una delle pagine più nere per la democrazia in Italia». «Ancora una volta, senza vergogna, governo e maggioranza sviliscono le istituzioni, piegandole agli interessi della casta».
Più pacato, assai più pacato il tono del segretario del piddì, Bersani.Che alla folla di giornalisti che lo seguiva passo passo, ieri, alla Camera, prova a rispondere con una riflessione. Senza slogan: «Alle prossime norme ci credo poco». E spiega perché: «Se penso a ciò che è avvenuto negli ultimi mesi, a certe norme sulle intercettazioni, al processo breve, al legittimo impedimento e alle norme sulla protezione civile, credo che se invece di lavorare avessero riposato avremmo già il disegno di legge anticorruzione».
Usa l’ironia, insomma, non pigia il piede sull’acceleratore. Il suo più che un comportamento dettato dall’indole sembra una precisa scelta. Che per altro rivelerà di lì a poco parlando, a microfoni spenti, con i giornalisti delle testate più vicine al suo partito. E in questa occasione Bersani rivela una volta di più la sua forte preoccupazione per le ultime battute dell’inchiesta dei giudici anti-mafia. Preoccupazione per gli ulteriori sviluppi che tutti ormai si aspettano. E che probabilmente si aspetta anche la maggioranza.
Ma ilpiddì non sembra intenzionato a fare di questi temi il «cuore» dell’ormai imminente campagna elettorale. Un po’ perché Bersani è convinto che una vicenda come quella uscita fuori in queste ore possa portare al rifiuto della politica tout court, più che allo sdegno verso i partiti di maggioranza. Un po’ perché tante inchieste, tutte coincidenti nel disegnare una sorta di nuova «Tangentopoli» - anzi qualcosa che va al di là di Tangentopoli, per usare le parole di Pisanu - suggeriscano al premier di vestire i panni della vittima. Della vittima delle manovre dei giudici. Ruolo che in questi anni ha saputo interpretare benissimo. E allora, Bersani - in questi colloqui informali - sembra convinto che la strada da percorrere sia un’altra: lasciar lavorare la magistratura ma spiegare che i problemi, i drammi sociali del paese sono acutissimi. E sono lavoro, casa, reddito, pensioni. E che una politica che non riesce a soddisfare questi bisogni apre inevitabilmente la porta alla corruzione. Undiscorso, un’indicazione di priorità che il piddì non ha mai fatto in quest’ultimo anno e mezzo. Ora ha un mese di tempo per proporlo.
s.b.









   
 



 
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