La regione di Bududa dista circa trecento chilometri, direzione nord-est, da Kampala, la capitale della "Perla d’Africa", l’Uganda. Per raggiungerla, in condizioni normali, si possono impiegare anche sei ore. In Africa calcolare i tempi di percorrenza per arrivare da un posto all’altro, via terra, ha poco a che fare con le distanze chilometriche. Dipende tutto da molti fattori, come la condizione del manto stradale o da che tempo fa. In questi giorni di piogge torrenziali, che nella parte sud-orientale del paese sono cadute ininterrotte per quattro giorni, le strade sterrate si trasformano in pantani e a percorrerle si può stare certi di imbattersi in veicoli fermi al lato della strada o giusto nel mezzo della carreggiata, lasciati anche per giorni, intrappolati nella buca coperta da acqua e di fango di turno. In questi casi si aspetta che il sole arrivi ad asciugare la terra, che da grigia ritorna rossiccia e polverosa. Stavolta però, ilfango di Bududa non si asciugherà. In questa zona montuosa al confine col Kenya, lunedì sera un’enorme frana provocata dal maltempo si è portata via almeno quattrocento persone, che risultano disperse. Più di cento corpi sono stati recuperati da fango misto a detriti, ma sperare di salvare superstiti, in situazioni del genere, è quasi impossibile, perchè la logistica, nell’entroterra dei paesi africani sub-sahariani è ancora una scommessa. Dipende dalla volontà del cielo, in senso stettamente metereologico. Tre villaggi della zona afllitta dalla frana, Kubehwo, Namakansa e Nametsi, sono stati completamente cancellati. In queste ore si scava a mano perchè i mezzi meccanici non possono raggiungere il posto. La croce rossa ha chiesto al governo dell’eterno presidente Yoweri Museveni, da oltre trent’anni al potere, di inviare i genieri dell’esercito a Bududa per liberare quel che resta dei villaggi affetti dal fango e dai detritri, che ora bloccano le comunità che hanno avuto lafortuna di essere risparmiare dalla furia della natura. Il persistere del cattivo tempo fa temere ora alluvioni in altre parti della regione. La valanga di fango che ha sommerso i villaggi di Bududa è la solita tragedia annunciata. Il governo ugandese è stato in questo senso criticato dall’opposizione per non aver evacuato la popolazione in precedenza, dato che la zona è soggetta a smottamenti nella stagione delle piogge. Ora non può fare altro che inviare bare e pagare per "una sepoltura dignitosa", come ha promesso ieri il ministro per le Situazioni di Emergenza, Musa Ecweru. Da oggi si seppelliscono i morti nelle fosse comuni. I corpi allineati in attesa di sepoltura, vengono intanto approcciati da chi cerca un parente, un amico, un familiare. Tirare giù, dal lato della testa, la coperta che ricopre il cadavere, è una rolullette russa. Una donna ieri ha scoperto il cadavere del marito restando seduta accanto al corpo, inconsolabile, per ore. Dal punto di vista tecnico ildisastro di Bududa è avvenuto per il distacco di una parete lunga circa 200 metri e situata 800 metri al di sopra dei villaggi, dopo che i corsi d’acqua sono esondati a causa delle piogge, come ha spiegato il ministro per i Disastri naturali, Tarsis Kabwegyere. Dal punto di vista ambientale la faccenda è ancora più semplice. Il monte Elgon, oltre quattrominla metri, principale formazione montuosa della zona e la seconda più importante del paese, è stato massicciamente deforestato. Le radici degli alberi sottratti alle pareti montuose non trattengono più l’acqua delle piogge e i morti di Bududa sono la ovvia conseguenza di tale situazione. Non è solo l’est dell’Uganda a soffrire del disastro ambientale, che minaccia questo paese che con 500 specie di piante, oltre mille di uccelli, 350 di mammiferi e ancora centinaia tra rettili e anfibi, conserva una delle biodiversità più importanti del continente africano. Negli ultimi 20 anni l’Uganda ha perso un terzo delle sue foreste.Secondo l’allarme di gruppi ambientalisti entro i prossimi quatant’anni, a meno di interventi seri, la maggior parte degli alberi che ricoprono il paese potrebbero andare perduti. Anche un rapporto governativo sulla situazione ambientale redatto nel 2008 dall’Autorità per l’ambiente, pubblicato in la National Environment Management Authority (Nema), metteva nero su bianco che, continuando al ritmo attuale per il 2050 l’Uganda sarebbe stata deforestata. Nostante questo la lobby dell’industria delle multinazionali che producono olio di palma, a gennaio è tornata alla carica col governo di Kampala presentando nuovi progetti per ampliarne le coltivazioni. Nel 2007, in seguito a un movimento di protesta a livello internazionale, l’esecutivo ugandese fu costretto ad abbandonare un piano che prevedeva l’abbattimento di migliaia di ettari di foresta primaria per farne piantagioni di canna da zucchero, appoggiato dal presidente Museveni. Non è solo l’industria, ma anche la povertà aminacciare la natura in Uganda. L’89% della popolazione delle aree rurali dipende dalla legna come fonte di carburante. E la popolazione ugandese aumenta, a livello nazionale, al ritmo del 3,2% l’anno. Lo ha sempre detto del resto il Premio Nobel per la pace Wangari Maathai, la donna keniota che ha fatto della protezione della natura la sua missione. Per combattere la deforestazione e proteggere la natura nel sud del mondo, sostiene Wangari Maathai, bisogna combattere la povertà. Una battaglia che nonostante i grandi flussi di aiuti internazionali allo sviluppo non è stata ancora vinta in molte parti dell’Africa. Il disastro ambientale provocato dalla deforestazione in Uganda, come in altri paesi del continente africano, non fa altro che alimentare questo circolo vizioso.
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