Franco Basaglia
La fine del Manicomio
 











Semmelweis e Basaglia un altro modo di curare è possibile
Le idee, gli interrogativi, le pratiche che sostennero il lavoro di apertura di Franco Basaglia nell’ospedale psichiatrico a Gorizia, di Carlo Manuali a Perugia, di Sergio Piro a Materdomini, in provincia di Salerno, avviarono, a partire dai primi anni ’60, una stagione di straordinari cambiamenti.
Basaglia quando entra per la prima volta nel manicomio di Gorizia, di fronte alla violenza e all’orrore che scopre è costretto a chiedersi angosciato «che cos’è la psichiatria?». Da qui l’irreparabile rottura del paradigma psichiatrico, del modello manicomiale. Dopo quasi duecento anni, per la prima volta dalla sua nascita, il manicomio, le culture e le pratiche della psichiatria vengono toccate alle radici. E’ un capovolgimento ormai irreversibile: «il malato e non la malattia».
I malati di mente, gli internati, i senza diritto, i soggetti debolidiventano cittadini. Entrano sulla scena con la loro singolarità, la diversità e i bisogni emergono per quello che sono, non più col filtro della malattia. «Messa tra parentesi la malattia», si scopriva la possibilità di vedere la malattia stessa ora in relazione alle persone e alla loro storia. Persone che faticosamente guadagnano margini più ampi di libertà. La libertà intesa come possibilità di desiderare, di scoprire i propri sentimenti, di stare nelle relazioni. Di rientrare nel contratto sociale, di riappropriarsi della cittadinanza come condizione irrinunciabile per affrontare la fatica di attraversarla e costruire le infinite e minime declinazioni per renderla accessibile.
La legge 180 non è altro che questo. Non è più lo stato che interna, che interdice per salvaguardare l’ordine e la morale; non più il malato di mente «pericoloso per sé e per gli altri e di pubblico scandalo», ma una persona bisognosa di cure. Un cittadino cui lo Stato deve garantire, e rendere esigibile,un fondamentale diritto costituzionale. Cambiamenti legislativi, culturali, istituzionali hanno restituito la possibilità ai malati di mente di sperare di rimontare il corso delle proprie esistenze, perfino di guarire.
Da quel momento il campo del lavoro terapeutico è davvero cambiato. Esistono oggi associazioni di persone che hanno vissuto l’esperienza del disturbo mentale, che rivendicano la propria storia, raccontano le loro svolte, vogliono vivere malgrado la malattia; sono presenti sulla scena associazioni di familiari che fino all’altro ieri erano condannati alla vergogna, all’isolamento, al silenzio, a sentirsi colpevoli. Dipartimenti e le strutture per la salute mentale sono diffusi in tutte le regioni, sono presenti 285 servizi ospedalieri per acuti (Spdc) con circa 3.000 posti letto; strutture residenziali in tutto il territorio nazionale che ospitano circa 17.000 persone. Anche il dato relativo alla presenza dei Csm sembra essere confortante: un Csm ogni 80.000 abitanti,14.000 addetti, orari d’apertura che sembrano sempre più dilatarsi.
Benché l’inclusione sociale sia una priorità per tutti i paesi europei e la legge italiana abbia aperto spiragli di formidabili possibilità, persistono tuttavia le cattive pratiche: scandalosi abbandoni, inspiegabili violenze, sottrazioni, abusi. Cattive pratiche che oggi è possibile svelare grazie al cambiamento di scena prodotto proprio dalla legge.
Le persone rischiano di nuovo di essere rinchiuse dentro mura ancora più spesse di quelle del manicomio. Sono le mura costruite dalla forza del modello medico e dal ritorno prepotente di una psichiatria che vede solo malattia, che fonda la sua credibilità sulla promessa della sicurezza e dell’ordine, sull’industria del farmaco, su fondamenti disciplinari quanto mai incerti e controversi. Questa psichiatria è tornata nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura ospedalieri blindati, nelle affollate e immobili strutture residenziali, in comunità senza tempo che sidicono terapeutiche e che si situano fuori dal mondo delle relazioni, nei Centri di salute mentale vuoti e ridotti a miseri ambulatori. E’ tornata con la falsa promessa della medicina, alleata alle psicologie più svariate, con la rinnovata chimera del farmaco e in alcune parti d’Italia, poche per fortuna, dell’elettroshock.
Preoccupano le culture e le pratiche che derivano da questi modelli, psicologici o biologici che siano. I farmaci, per esempio, leniscono il dolore, attenuano i sintomi, aiutano a stare nelle relazioni, sostengono percorsi di ripresa. Ma quando il "modello farmacologico" pretende di spiegare le emozioni, la creatività, i sentimenti, le passioni, le paure, sottrae significato, riduce. Medicalizza la vita. I farmaci finiscono per impedire allo psichiatra di vedere la persona che ha davanti. Soltanto negli ultimi due anni almeno cinque persone sono morte legate ai letti a causa dell’immobilità dovuta alla contenzione e delle dosi massicce di psicofarmaci. Inricche, civili e insospettabili città, al sud come al nord. Per fortuna oggi si possono raccontare anche molte storie differenti. Storie di persone, sempre più numerose, che malgrado la severità della loro malattia mai hanno subito restrizioni e mortificazioni. Hanno potuto attraversare Centri di salute mentale orientati alla guarigione, capaci di accogliere e accompagnare nel percorso di ripresa fino a trovare la propria strada. Come a Trieste - ma non solo - dove quattro Centri di salute mentale, aperti 24 ore al giorno sette giorni su sette, accolgono le persone che hanno bisogno di far sentire il loro male, senza burocrazie e senza limiti. Dove tutte le porte sono aperte in entrata e in uscita, come se le persone si incontrassero su una soglia fra la salute e la malattia, lo star bene e lo sta male. Dove il tasso dei Trattamenti sanitari obbligatori è il più basso in italia. Dove tante cooperative sociali offrono formazione e inserimento lavorativo a decine e decine di personeall’anno. Dove nessuno è internato in Opg ed è possibile abitare, insieme ad altri, in luoghi familiari. Dove le persone esprimono soddisfazione e per chi vive l’esperienza del disturbo mentale restano aperte le possibilità. Tutti sanno che si può fare. Il problema è che nessuno sembra interessato a conoscere, veramente, come si può curare in un altro modo. Sono pochi gli studi in Italia sul tema della salute mentale territoriale e quasi del tutto assenti negli ultimi dieci anni.
Ignac Semmelweis diventerà matto. Egli ha intuito che le puerpere muoiono di più in ospedale che a casa propria. La moria di giovani donne è drammatica nell’ospedale di Vienna. Accerta che i medici che assistono le partorienti non si lavano le mani e si avvicinano a esse dopo essere stati in sala settoria. Con una dimostrazione rudimentale ma molto efficace cerca di dire ai suoi colleghi che bisogna lavarsi le mani, magari con un po’ di calce. Nel suo reparto le donne non muoiono. I grandi luminariviennesi non possono credere alle dimostrazioni del medico di Budapest. Non ci sono le evidenze dicono. Si rifiutano di riconoscere un altro modo per affrontare la moria delle puerpere.
Semmelweis insiste, viene cacciato, torna a Budapest e muore in manicomio. Dopo la sua morte la sua scoperta viene riconosciuta. Oggi abbiamo più che mai bisogno di un Semmelweis e con testardaggine rischiare di diventare matti per affermare che "un altro modo" di curare è possibile.
Peppe Dell’Acqua-direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste
-Una grande lotta di liberazione -
Paul Israel Singer è in Brasile sottosegretario all’economia solidale, un settore del Ministero del Lavoro e dell’Impiego. Nato in Austria e proveniente da una famiglia ebraica ben radicata nel più grande paese sudamericano, sociologo ed oppositore della dittatura negli anni ’60 e ’70, è stato nel 1980 insieme a Ignacio Lula da Silva e ad altriintellettuali di sinistra come Chico Buarque de Holanda, tra i fondatori del Partito dei Lavoratori. Singer è uno degli ospiti del convegno "Trieste 2010. Che cosa è salute mentale, per una rete mondiale di salute comunitaria" che ha chiuso i battenti ieri dopo cinque giorni di dibattito, insieme alla professoressa Fernanda Nicacio, docente di Terapia Occupazionale presso l’Università di San Paolo.
A Singer abbiamo chiesto innanzitutto di spiegarci le ragioni della sua presenza in un convegno dedicato appunto a Franco Basaglia.
-A proposito della mia partecipazione ad un incontro di salute mentale e con riferimento al pensiero di Basaglia - dice lo studioso e politico brasiliano - tengo innanzitutto a sottolineare che Franco Basaglia ha avviato una delle più importanti lotte di liberazione dei nostri tempi. La deistituzionalizzazione in tema di salute mentale è fondamentale nel processo di costruzione di un’altra società, così come lo sono altre lotte ed altri versanti diimpegno, a cominciare dalla stessa economia solidale che in Brasile è ormai un riferimento imprescindibile-.
Come siete riusciti a tradurre concretamente il suo pensiero in Brasile?
Quella delle cooperative sociali trovo che sia stata certamente un’intuizione vincente di Franco Basaglia e della sua equipe. Un progetto a vantaggio di persone "stigmatizzate", e proprio per questo frequentemente escluse, socialmente e economicamente.
Oggi la cooperativa sociale è un elemento di grande importanza della economia solidale in Brasile e altri paesi. A questo proposito nel 2004 sono stato invitato da Pedro Gabriel Delgado, coordinatore nazionale di salute mentale per il Ministero della Sanità brasiliano, a stipulare un accordo tra il Ministero della Sanità e la mia Segreteria, con l’obiettivo di istituire cooperative sociali per le persone dimesse dagli ospedali psichiatrici. Oggi esistono centinaia di queste cooperative in Brasile, e certo rappresentano una dellecomponenti più dinamiche dell’ economia sociale e solidale.
Basaglia nel 1979 tenne a San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte tra il 18 giugno e il 7 luglio una serie di conferenze. Che peso ebbe quel contributo nel suo Paese?
La presenza di Basaglia in Brasile nel ’79 è stata molto importante: era l’inizio del processo di riforma psichiatrica e del movimento dei lavoratori di salute mentale, oggi organizzato come movimento sociale di lotta antimanicomiale. Da quegli anni ad oggi il pensiero di Basaglia, la riforma psichiatrica italiana, la legge 180 e in particolare l’esperienza triestina sono divenuti riferimenti fondamentali per il processo di riforma psichiatrica brasiliana. A partire dei primi anni ’90 è stata avviata una nuova politica nazionale di salute mentale nell’ambito del sistema di salute universale. Quella riforma e l’attuale politica gravitano intorno a due assi fondamentali: la garanzia dei diritti di cittadinanza delle persone con esperienzadi sofferenza psichica e la trasformazione del modello asilare.
Su che cosa avete puntato?
Soprattutto ad una significativa diminuzione di posti letto e del numero di ospedali psichiatrici; alla creazione dei servizi nel territorio, in particolare centri di attenzione psicosociale integrati da strategie diversificate, per garantire l’opportunità di abitare, di lavorare, e di partecipare alla vita sociale.
E’ importante sottolineare che nel 2001 in Brasile è stata promulgata la legge 10.216, che garantisce i diritti delle persone con esperienza di sofferenza psichica; dà priorità ai comunitari; e inoltre definisce la necessità di implementare politiche di dimissioni programmate e di riabilitazione per lungodegenti. Vittorio Bonanni
Il senso della psichiatria? Fare dell’altro un valore
Può essere che la salute mentale sia il contrario della follia. Per quel che mi riguarda io mi immagino che esserefolli altro non significhi che prendersi molto o troppo (o del tutto) sul serio. Se sta all’opposto, salute mentale non potrà che identificarsi con l’esercizio della vacuità, dell’insignificante: in sintesi la realizzazione completa dell’essere in malafede e del subire l’ottusa piattezza dell’inerzia.
Per fortuna tra questi due estremi c’è una ragionevole dose di angoscia che quasi tutti si portano dietro e una ragionevole dose di stolidità e di menzogna che non consente alla prima di travolgere il nostro equilibrio instabile. Equilibrio chissà quanto auspicabile, chissà quanto mediato, reso tale da un contratto sociale che, misurato in merci e prodotti, costituisce la nostra commerciale formazione che tutto sopravanza e che di inclusione/esclusione decide.
La questione vera è allora quando e perché la produzione di sentire, e un fare condiviso che vi si associ, siano possibili, credibili, dedicati ad altra utilità che non siano le merci. Il socialismo reale ci ha insegnato chevia dalle merci c’è l’imbroglio, l’illibertà, l’istituzionalizzazione di un potere astratto fatto di ideologia che si fa concreta e pervasiva violenza: lo Stato.
Ci si potrebbe immaginare che salute mentale stia laddove un soggetto può esistere con altri, attraverso il linguaggio comunicare di sé, poter di sé parlare per differenze accettabili, costituirsi per singolarità parziale e parziale comunanza. Costituirsi ed essere costituito laddove inclusione/esclusione si tendono e rischiano tra loro, sul limite sul quale altri possano trattenerti, tu possa trattenerti e insieme possa trovarsi un comune sentire, una prassi comune, un progetto interrelato.
Se è verosimile che solo il linguaggio ci può salvare, se è verosimile che nella follia ci sia non so se una scelta ma una sicura compiacenza, un vezzeggiamento continuo, una seduzione subita, un arrovello accarezzato, un’identità estrema purchessia, l’altro diventa ancora più decisivo del tuo futuro. Se solo l’altro può salvarti date, può trattenerti al di qua, può forse anche spingerti di là o lasciarti, abbandonato e naufragato, irrelato, solo di questo è utile parlare.
Molto altro non so. So poi allora che, quando il limite è oltrepassato, il sociale contratto prevede che qualcuno si debba per professione e servizio, per statuale compito, in qualche modo occuparsi di te. E abbiamo pur visto che cosa lì può accadere e vediamo ogni giorno che cosa accade o rischia di accadere. Come lì possa essere cementata l’esclusione, la tua non salute giudicata e oggettivata la malattia (occorrendo però anche essere consapevoli che è forse meglio essere "malati" che indemoniati o simili, con ragionevole dubbio pensando che sia meglio di te si occupi il soi-disant medico piuttosto che un soi-disant esorcista e forse meglio un ospedale piuttosto che l’esilio al limite del villaggio).
Si tratterà di capire meglio se da lì sia possibile che si riannodino i fili dell’inclusione o si aggravi sempre e solo il fardello diun’esclusione spesso irreversibile ed irrevocabile attraverso professioni e servizi dedicati.
Se è chiaro che salute e malattia sono spesso compresenti nel corpo e nell’anima, se più difficile è dire qui dove l’una, la salute, comincia e l’altra, la malattia, viene colta, difficile sfuggire alla sensazione che le parole non indichino nulla di quel che davvero accade qui. L’inadeguatezza della parole attiene alla loro natura razionalizzatrice che par proprio inadeguata alle peculiarità dell’irrazionale. Usare il linguaggio per entrar dentro la follia è come usare un metro per misurare un liquido. Ma è allora adeguato il linguaggio per parlarci di che cosa sia la salute della mente, di quali ingredienti si nutra una mente in salute e salute agli occhi di chi? Degli altri che mi osservano e giudicano o di me che mi rivolto nel sonno o nella veglia per far fronte alle minacce guerriere che mi sono ogni giorno rivolte e tento cosi conservarmi in salute?
E per altro, la secessione dalmondo che è l’esclusione incorporata, l’aggressione interiorizzata e autovalidata, sarà il segno estremo della follia o l’ultimo residuo di mentale salute, difesa ad oltranza e contro ogni evidenza? (bisognerebbe poi interrogarsi su questo strano destino: se sia cioè proprio destino che si debba passare il tempo a difendersi dalla "concorrenza").
Ma la questione vera resta se abbia qualche senso domandarsi cosa sia la salute o malattia mentale all’interno di un’organizzazione sociale che decide lei cosa sia l’una e cosa sia l’altra. Il controllo sociale pressoché totale fa sì che dalla famiglia al sistema sanitario o sociale "la presa in carico" del presunto disturbo mentale, il giudizio sul venir meno della salute mentale di un individuo, siano in genere precoci e fulminee. Potrebbe essere salute mentale l’essere liberi dalla concorrenza, dalla necessità di produrre più e meglio, dal rischio di esclusione per inadeguatezza rispetto alla leggi del mercato (che possono includere ilsaper pescare, cacciare, saper di letteratura e teatro, essere sorridenti e spiritosi, saper cantare e ballare esser pieni di iniziative e fantasie, disinvolti e sommelier, erettili e aggiornati, informatizzati e muscolari e comunque produttori di una qualsivoglia merce in voga). Potrebbe salute mentale essere l’infinito divertimento del riconoscersi finalmente tutti diversi e non perciò diseguali (non voglio andare a cercare in biblioteca se l’uguale radice di "diversità" e
"divertimento" abbia ragion d’essere, mi basta pensarlo e mi piace).
Cosa invece stabilisce in concreto questa micidiale equivalenza tra salute mentale ed omologazione, se non la nostra paura di perderci nel non riconoscimento dei miei omologhi? Anche la letteratura, l’arte, il cibo, la poesia, il teatro sono ormai puri prodotti di consumo, oggetti di conversazione futile come attorno alla qualità di creme di bellezza e degli stock di roba firmata. Il pensiero proprio non esiste più come riconoscibile,oggetto di ironia nel migliore dei casi, la trasformazione del mondo essendo ormai un concetto vuoto di uomini ed idee. Se l’unico progetto condiviso è lo Sviluppo (e il consumo) lì sarà l’indicatore di salute mentale o al meglio nella casetta in Toscana dove si coltiva l’orto e il pisello odoroso, mai là dove la fatica del vivere realizza il suo rischio e la sua finitudine, scopre l’uomo nella sua infinita miseria e ne assume però l’onere.
L’evidente ovvietà di quel che sto dicendo ha singolare non riconoscimento nel novanta per cento delle pratiche di chi fa professione di produzione di salute mentale, le scienze "psy" si dislocano altrove e organizzano pensieri, modelli, pratiche e concetti di tutt’altra natura, sovrapponendo autore ad autore in un lungo monologo senza fine, soliloquio potente perché costitutivo di corporazioni di potere-sapere, perché merce che si accumula e capitale che si riproduce, inverificato, gratuito, per lo più autoreferenziale, intangibile per crociaticonsensi.
La psichiatria è stata (e lo è ancora in vari luoghi) una sorta di strumento del terrore inteso come azzeramento e attribuzione di un’identità insopportabile.
"Basagliano" diverrà allora il pensiero sensato (ormai introvabile), l’agire ad etica minima ispirato, la pratica decente delle istituzioni e degli istituti, un’azione dotata di quel minimo di critica alla vacuità scientifica istituita nelle apposite società di cui la Psichiatria Forense è l’apogeo, de-istituzionalizzare il pregiudizio, relativizzare ogni giudizio, rispettare quel prendersi tanto sul serio, con ciò forse potendo spezzarne le mura, per un’ansia di democrazia che possa ridurre in qualche modo l’obbligo della malafede come unica difesa dalla follia. Ce lo potrà permettere l’avere autonomi progetti, avere un socius in questo, dei complici qua e là, costruire assieme all’altro una frase di cui sapevamo solo qualche parola, qualcuno o qualcosa che non si stanchi della tua difformità. E se fossimoaddirittura capaci di costituire l’altro a valore ? Forse (psichiatri) avremmo cominciato a fare il nostro mestiere. Sarà sempre tardi. Franco Rotelli - Direttore azienda sanitaria di Trieste
-Traffico di organi nessuna leggenda parlano i dati dell’Oms-
E’ instancabile, determinata e soprattutto coraggiosa. Perché da oltre dieci anni conduce le sue indagini in tutto il mondo, e spesso sotto copertura, per far luce intorno ad uno dei traffici illegali più inquietanti del nostro tempo, quello dei commerci internazionali di organi umani. Nancy Scheper Hughes, docente di antropologia all’Università californiana di Berkeley, considerata la fondatrice dell’antropologia medica, è una donna minuta quanto tenace e autorevole. Come ha constatato l’attentissimo uditorio della sessione plenaria al meeting "Trieste 2010: che cos’è salute mentale?", dove la studiosa americana era uno degli ospiti più attesi. Ai temi che investono lasalute mentale e la riforma de-istituzionalizzatrice di Franco Basaglia si è accostata giovanissima, e da allora gli eventi italiani di fine anni Settanta rappresentano per lei un riferimento imprescindibile. «Delle ricerche e della riforma di Basaglia tuttora, negli Stati Uniti, si sottovalutano alcuni passaggi, alcuni elementi. Ma non mancano gli esperimenti importanti avviati per cambiare le regole, in tema di salute mentale, e improntarle al suo approccio. Gruppi di lavoro si sono attivati negli ultimi due decenni in California, in Colorado e in altre realtà».
Con la storica riforma sanitaria annunciata da Barack Obama molte situazioni potrebbero rapidamente evolvere …
Vedremo. Per il momento constatiamo che l’azione di governo di Obama è alquanto centralista. Non esattamente la svolta che ci saremmo augurati. Probabilmente la riforma finirà per includere solo una parte della popolazione. Oggi molta gente, negli Stati Uniti, ha un drammatico bisognodell’assistenza sanitaria basilare. E pur amando molto il mio Paese, e tenendo in grande considerazione la nostra democrazia, riconosco che gli americani sono mediamente individualisti, e riluttanti a pagare le tasse a vantaggio del bene sociale.
Da molti anni, sul campo, lei ha avviato stringenti ricerche in tema di traffico illegale di organi umani: per molto tempo c’è chi ne ha parlato in termini di leggende metropolitane.
Poteva sembrare solo una bugia inquietante, una storiella da convegno medico quella delle persone che si risvegliavano improvvisamente in una vasca da bagno piena di ghiaccio, con strane cicatrici laddove prima c’era un rene. Invece sono dati certificati dall’Oms, quelli che parlano di oltre 15mila trapiani illeciti l’anno, con reni prelevati a pagamento da donatori in tutto il mondo. Secondo le mie indagini, però, è una cifra sottostimata. Potremmo pensare di raddoppiarla. E’ anche vero che non bisogna credere a tutte le storie che girano.Negli anni Ottanta si parlava di "predoni" che frugavano le baraccopoli in Brasile prelevando bambini di strada, per scaricarli nei cassonetti senza fegato, senza occhi, senza cuore. Racconti spesso infondati. Per quanto in Cina, in Africa, in Colombia e in un buona parte del mondo in via di sviluppo non mancano oggi i mercenari, i genitori disperati con troppi figli, gli adolescenti ansiosi di comprare una macchina, o anche solo di garantire sopravvivenza alla propria famiglia.
Quali passi si compiono, ufficialmente, per intervenire sui mercanti di traffici?
Nel maggio 2009 abbiamo finalmente varato la Dichiarazione di Istanbul: un primo accordo internazionale che si propone di fermare la mercificazione degli organi umani. Un’azione concreta ma non esaustiva del problema. Anzi, la tendenza è in costante aumento. Anche perché la novità degli ultimi quindici anni sta nella qualità dei trapianti: il rene di un donatore vivente può garantire un’aspettativa di vitasuperiore del doppio, rispetto al rene espiantato da un cadavere. Potenti medicine antirigetto favoriscono i trapianti fra persone estranee: e in questo modo, considerato che la vendita di organi umani è fuorilegge ovunque - eccezion fatta per l’Iran - aumentano esponenzialmente i casi di donazione "altruistica". Senza considerare internet: dove ogni giorno si moltiplicano gli annunci che offrono "reni viventi", in tempi molto brevi.
Esiste una vera e propria "mappa" del trapianto nel mondo?
Ho trascorso più di dieci anni alle latitudini più svariate, fingendomi di volta in volta un medico, o l’aspirante compratrice di un rene, per arrivare a una tracciabilità dei commerci di organi nel mondo. Ho seguito percorsi che partono dal Sudafrica e dal Brasile, intercettando nazioni in via di sviluppo, per approdare, spesso, nelle più qualificate location ospedaliere degli Stati Uniti. E’ una connection che passa da mediatori, gangster, chirurghi, uomini di chiesa. Chetraspare, quasi in filigrana, nelle tradizioni culturali dei Paesi: in Giappone, per esempio, si rifiuta il concetto di morte cerebrale, così come è deprecabile l’espianto di un organo dal corpo dei congiunti. In Cina, invece, è all’ordine del giorno l’asportazione di organi dal corpo dei condannati a morte, e in Arabia Saudita esistono raffinati meccanismi di corruzione delle strutture ospedaliere occidentali, affinchè possano ospitare e coprire i trapianti illeciti. E’ molto facile creare punti d’incontro fra la domanda dei ricchi pazienti in dialisi negli Stati Uniti, in Israele e in Europa, con l’offerta delle baraccopoli nei Paesi poveri: poche migliaia di dollari per i venditori, e l’occasione di visitare una città americana. In compenso questi trapianti fruttano milioni di dollari alle reti criminali. Donare un rene talvolta non ha conseguenze esiziali per la salute dei pazienti. Ma spesso comporta un grave decadimento fisico, in molti casi fino alla morte.
E inOccidente questi traffici che dinamiche nascondono?
Spesso i commerci partono anche dai Paesi ricchi: una volta sono stata contattata da una donna del Kentucky con il disperato bisogno di comprarsi la dentiera. Mi ha proposto una parte del suo fegato. Ci sono donatori operati in ospedali eccellenti, con chirurghi eccellenti, che hanno documentato la loro vendita con video amatoriali di cui disponiamo. Io stessa mi sono finta compratrice, a Istanbul, dove per 3mila dollari avrei ricevuto il "rene migliore" di un cittadino turco.
Come documenterà queste esperienze?
Con un libro-denuncia, che vorrei finire entro i prossimi mesi. Sarà pubblicato dalle edizioni della University of California Press.   Daniela Volpe


 









   
 



 
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