L’Ufficio di Presidenza del PDL:-Il Governo andrà avanti comunque- -Vuoi andare? Vai-. -Vuoi restare? Stai-. Silvio Berlusconi sembra una moglie che di fronte al possibile tradimento del marito, allarga le braccia e lascia al consorte la decisione finale. In altre parole deve essere Gianfranco Fini ad assumersi la responsabilità di sfasciare la famiglia, cioè il Popolo delle libertà. Una moglie comprensiva? Fino ad un certo punto, visto che gli amici di famiglia non hanno perso occasione in questi ultimi tempi per accusare lui, Fini, e difendere lei, Berlusconi. Poi si sa come vanno queste cose, i cittadini elettori di fronte a chi vuol rovinare il Pdl sapranno come rispondere. Soprattutto se, al solito, gli amici di famiglia - come Vittorio Feltri - continueranno a dipingere il fedifrago Fini come il vaso di Pandora da cui escono tutti i mali del più grande partito italiano. Mentre i teneri incontrifra lei (Berlusconi) e l’altro (Umberto Bossi) vengono sempre derubricati a simpatiche serate conviviali. Detto questo, la reazione di Fini può apparire come quella di chi non ci sta a passare come il marito becco e bastonato, insomma un gesto di dignità personale, anche virile. Lui, lei, l’altro. Berlusconi dice: «A Fini ho fatto veramente la corte, ho cercato di capirlo, ma è lui a voler gruppi separati in Parlamento». In realtà il Cavaliere ha incontrato Bossi per discutere di riforme fra un brindisi e un pasticcino. Insomma un’autentica festa padana. Alla quale Fini non è stato invitato. Ora il senatur parla di elezioni anticipate: «Temo che la cosa non si rimetterà a posto». Forte del risultato al nord, la Lega sa che Berlusconi non può fare a meno di lei. Lo ha segnalato anche il pur rammaricato Massimo Cacciari, che continua a vagheggiare l’antica "illuminazione" dalemiana della Lega costola sinistra di un centro (molto centro e molto poco sinistra) democratico e riformatore. Daparte sua il presidentissimo della Camera riunisce la truppa: contiamoci. Fabio Granata (finiano doc) parla di cinquanta deputati dissidenti e di almeno una ventina di senatori. Sandro Bondi, poetico ministro della cultura berlusconiana, bolla sprezzante i potenziali ribelli come manciata di rivoltosi. Altro non sarebbero che una sorta di armata Brancaleone. Nel mentre spuntano puntuali i sondaggi di casa Berlusconi, che parlano di un eventuale partito di Fini al 3%. Ma è tutto vero o è solo una commedia della parti? Stanno studiando Pirandello? Emerge un dato su tutti: se c’è un momento per fare i conti con le differenze di sensibilità finiane è propio questo. Forti di numeri che non è detto siano gli stessi domani, Bossi e Berlusconi potrebbero cogliere la palla al balzo per togliere di mezzo Fini. I due cofondatori del partito sono sideralmente distanti. All’indomani del burrascoso faccia a faccia con l’ex leader di An, il Cavaliere riunisce il vertice pidiellino. Dopo un minutodi summit centomila lanci di agenzia riportano il celodurismo del premier, assai apprezzato anche nelle valli padane. Berlusconi avrebbe detto: «Gli elettori ci hanno dato il mandato a governare e noi governiamo». E ancora: «Abbiamo tre anni di tempo per ammodernare il Paese e fare le riforme, chi intende imboccare strade diverse faccia pure». Di più. Il presidente del Consiglio non vede una coalizione sbilanciata: «La Lega ha meno ministri rispetto ad An». Fini può contare su vecchi e nuovi amici: il ministro Andrea Ronchi, il sottosegretario Roberto Menia, la direttrice del "Secolo" Flavia Perina, Fabio Granata, Adolfo Urso (alla guida della Fondazione FareFuturo) e, non ultimo, Italo Bocchino. Fuori dal Parlamento, politologi e giornalisti come Alessandro Campi e Filippo Rossi. Il giudizio più tranchant su Fini arriva da Francesco Storace, un ex colonnello con il dente avvelenato. Dice il segretario della Destra convertitosi in fan del Cavaliere: «Il Pdl è Berlusconi. Bastaconsultare i dati sulle Regionali. Come si fa a contestare dall’interno del partito che nessuno ha imposto a Fini, il leader che vince senza la sua lista?». I detrattori parlano di Fini guastafeste, gli ammiratori rispondono che Fini ha nella mani il destino di una destra moderna, riformatrice e liberale in Italia. Insomma o lui o il diluvio. Tant’è. La piccola leggenda racconta come prima che Pandora aprisse il vaso - che poi ha preso il suo nome - l’umanità avesse vissuto libera da mali, fatiche o preoccupazioni di sorta, e gli uomini fossero, così come gli dei, immortali. Fuor di metafora, tutte le disgrazie del Pdl sarebbero da ascrivere soltanto allo scellerato comportamento di Fini. I media dicono così. Ma di sono i media in Italia? Frida Nacinovich Gli osservatori convinti che stavolta la rottura sia seria, vera. Concreto il rischio di voto anticipato Ventiquattr’ore dopo, è già cambiata ladomanda. Prima, fino all’altra sera, un po’ tutti si chiedevano: ma fa sul serio? Ma fino dove si spingerà Fini? Ieri, dopo le comunicazioni urgenti del premier al vertice del Pdl, il quesito cambia radicalmente: quando lo caccerà? Berlusconi aspetterà che sia Fini a compiere formalmente il gesto dell’abbandono o lo farà lui stesso, buttandolo fuori dalla porta? Ormai si è a questo punto. E’ bastata una giornata, sono bastate le pochissime parole del premier di ieri (se ne vuole andare? prego, si accomodi...) per far capire a tutti gli osservatori che la rottura è seria, vera. Di sostanza. Stavolta non mediabile. Di qua una destra populista, plebiscitaria, in un mix di corporativismo e suggestioni televisive, di là una destra che ha aspirazioni europee. Che guarda ai conservatori inglesi piuttosto che a Sarkozy. E’ tutto vero, allora, stavolta non è la solita boutade. E se qualcuno avesse ancora dei dubbi, ieri, il sito di «Fare futuro» - la fondazione culturale promossa daFini - scrive senza mezzi termini che «ormai il dado è tratto». Dicono che nulla sarà come prima. Ma restano tutti gli altri quesiti. Uno soprattutto: perché adesso? Perché il rifiuto di una politica «peronista» - e di un modo di far politica altrettanto eversivo nei confronti delle istituzioni- viene proprio adesso? E non all’epoca delle ronde, della controriforma Gelmini, o durante uno dei tanti attacchi ai giudici? Alla Camera, meglio: nel Tansatlantico della Camera, in un Parlamento che non si aspettava di affrontare un argomento come questo, si possono trovare le prime bozze di risposta. Soprattutto fra le fila di quella strana categoria di politici e deputati che è «finiana», anche se milita in altri partiti. In quella categoria che è «finiana» anche se da quasi due anni si trova all’opposizione. Si parla dei centristi, insomma. Sono loro a suggerirti una spiegazione che sembra la più calzante. E raccontano che Fini sa benissimo di non avere molte frecce al suo arco, sabenissimo che può disporre solo di una barca contro una corazzata. «Ma probabilmente - dicono tutti - non aveva altra scelta». Doveva farlo e doveva farlo ora, subito. Perché fra un anno il suo «ruolo» politico si sarebbe potuto considerare già bello e chiuso. Fra un anno, probabilmente, sarebbe diventato solo argomento per articoli di colore. Nulla di più. Perché in questa situazione di stallo - nella situazione di stallo che viveva il Pdl fino a ieri - già tutto sembrava deciso. E tutto sembrava escluderlo. A cominciare dalla lotta alla successione per decidere chi, in un domani che non sembra lontano, prenderà il posto del premier. La gara, ormai si sa, è ristretta a tre persone. In lizza c’è il ministro Tremonti, che garantirebbe all’infinito il patto con la Lega. E c’è il ministro Alfano, in grado di «coprire» le spalle a Berlusconi, qualsiasi sia il futuro del premier. E c’è l’attuale sindaco di Roma, che potrebbe garantire l’immagine di «rinnovamento». Proprio quel sindaco diRoma, Alemanno, mai intimo con Fini ma neanche suo avversario, che in ogni caso, entrando ieri pomeriggio al vertice del suo partito, ha gettato lì una frase ai cronisti. Tanto per far capire da che parte sta: «Non voglio sentir parlare di scissioni». Corsa alla leadership bloccata, dunque. Spazi di manovra ancora più ridotti, con la Lega che pretende subito il federalismo fiscale, argomento che forse - o almeno così spera Fini - è ancora indigeribile dall’elettorato ex An nel Sud. Il tutto mentre i suoi ex colonnelli, uno dopo l’altro, non solo gli voltano le spalle, come è avvenuto già tante altre volte ma da un po’ hanno cominciato a fare battute sarcastiche. Sul suo ruolo, sulle sue posizioni politiche. Sulla sua persona. Insomma, da qui ad un anno Fini sarebbe «sparito». Sparito politicamente. Ed ecco la scelta di accelerare. Inventandosi anche quella via di uscita - il pdl d’Italia - che avrebbe garantito il sostegno dei finiani alla maggioranza, evitando così le elezionianticipate. Che naturalmente anche il Presidente della Camera vede come il pericolo più grande, col rischio concreto di scomparire o di essere ridotto ai margini della vita politica. Di più: chi lo conosce - o chi crede di saper interpretare i suoi progetti - sostiene che Fini, paradossalmente, in questo passaggio, confidava nientemeno che nella Lega. Confidava in un Bossi che, ad un passo dal suo progetto di smembramento, avrebbe visto come fumo negli occhi lo scioglimento anticipato della legislatura. Ma Bossi ormai segue logiche sue. La Lega ha capito che in una situazione così confusa, il piano «federalista» potrebbe finire in soffitta. Potrebbe finire annacquato. Meglio, molto meglio anche per lui allora andare a votare. Tanto più che sarebbe bello e pronto un capro espiatorio contro cui indirizzare le colpe dei ritardi. E i toni tranchant usati da Berlusconi ieri fanno propri pensare che verso quello sbocco si vada. Verso le elezioni anticipate. Perché in Italia non s’èmai votato ad ottobre e per arrivare alle urne entro giugno, tutto deve precipitare nel giro di pochi giorni. Ecco spiegato allora le parole di Berlusconi: «Se se ne vuole andare, faccia pure...». Resta da dire che l’unico ad avere avuto un minimo - apparente - vantaggio dallo scontro Fini-Berlusconi è stato Bersani. Stretto dalla minoranza interna, stamane dovrà affrontare la direzione dedicata all’analisi della sconfitta. Direzione che si annunciava infuocata. Ma gli sviluppi dell’ultima ora, potrebbero consentirgli di utilizzare il classico escamotage: «Fermi tutti, la situazione sta precipitando. Aspettiamo e vediamo cosa accade...». E a quel punto tutto si congelerebbe. Come sempre. Stefano Bocconetti
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