Le strade di Cochabamba, la cittadina "cuore della Bolivia" si sono riempite in questi giorni di un fiume multicolore di persone di razze, nazionalità e culture diverse - circa 20mila persone- provenienti da tutto il mondo. Sono attivisti, studiosi, ricercatori, intellettuali, giornalisti, delegati di forze politiche e governi del nord e del sud del mondo, arrivati in massa nella città andina per discutere di come "cambiare il sistema, non il clima". Dopo giorni di frenetiche attività tra panel, gruppi di lavoro, conferenze ed attività autogestite, si è aperta con una cerimonia di ringraziamento alla Madre Terra la Prima Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento Climatico e i Diritti della Madre Terra. A fare gli onori di casa, il Presidente Evo Morales, tornato dal Venezuela dove aveva partecipato alle celebrazioni del Bicentenario dell’indipendenza. Qui in Bolivia la prospettiva sul vertice di Copenhagen è ribaltata: secondo gliorganizzatori della Conferenza, non si è trattato di un fallimento. O meglio, è stato di un fallimento per la governance mondiale, ma i popoli «è stato un grande successo, sono riusciti ad impedire la sigla di un accordo-farsa». Un accordo formulato in maniera verticale, disconoscendo i negoziati in corso e senza tenere conto delle opinioni dei paesi del sud del mondo e delle forze sociali presenti in Danimarca. Se in Europa e in Nord America la principale conseguenza dei cambiamenti climatici sono i crescenti flussi migratori cui far fronte - attraverso normative che criminalizzano i migranti- il cambiamento climatico causa invece in quasi tutti i paesi del sud del mondo effetti diretti molto gravi. Sull’altipiano boliviano i ghiacciai si stanno sciogliendo gradualmente. Anno dopo anno è sempre maggiore il numero di persone che, non riuscendo più a coltivare la terra per mancanza di acqua, sono costrette a lasciare le loro comunità per traferirsi nelle grandi città. «Se noncambiamo il sistema capitalista qualunque misura decideremo di adottare avrà carattere limitato e precario» ha precisato Morales. "Dobbiamo costruire un nuovo sistema basato sulla armonia con la natura e con gli altri esseri umani. Non può esservi alcuna armonia in un modello in cui l’1% della popolazione mondiale concentra nelle sue mani il 50% della ricchezza del pianeta. Solo i popoli uniti possono vincere contro i poteri economici e politici». Vari panel si sono succeduti nel affollato palazzetto dell’Università di Tiquipaya. Il primo, sulle cause strutturali del cambiamento climatico, ha analizzato le responsabilità del modello di sviluppo attuale con la partecipazione del vicepresidente Garcìa Linera, la ministra ecuadoriana Espinoza, il sociologo Edgardo Lander, l’economista Enrique Leff, e il nigeriamo Nnimmo Bassey presidente di Friends of the Earth. Al panel sulle "alternative al modello per ristabilire l’armonia con la natura", hanno partecipato il ministro degli esteriChoquehuanca, il teologo brasiliano Frei Betto e l’attivista italiano Giuseppe De Marzo. Come dire: dall’analisi delle cause all’elaborazione di alternative, e formulando proposte concrete per affrontare la crisi climatica da portare a fine anno al COP16 di Cancun. Il vicepresidente boliviano ha poi ricordato le parole di Rosa Luxemburg, che un secolo fa parlava di "Socialismo o barbarie". Volendo rendere attuale il concetto, ha sottolineato Garcìa Linera, oggi potremmmo dire "Madre Terra o barbarie".
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