La tirannide della maggioranza contro la pluralità dei media
 







Gian Carlo Caselli




Concreto è il pericolo che, con i tagli "mirati" e la sottrazione di risorse operati dalla legge finanziaria, possano essere di fatto cancellati - dal sistema dell’informazione e della comunicazione - voci mal tollerate perché fuori o contro il sistema stesso. Sono convinto che le difficoltà della stagione che stiamo vivendo richiedono a tutti di intervenire (e non solo perché la parola è un diritto personalissimo).
Ci provo anch’io, partendo dalla considerazione che il nucleo centrale della nostra Costituzione è una specie di scommessa: tenere insieme libertà e uguaglianza mediante un sistema di regole fondamentali condivise da tutti, mediante un progetto di Stato vissuto non come espressione di rapporti di forza o degli interessi di qualcuno, ma come garante dei diritti di tutti.
Questo è il patrimonio (regalatoci dalla Resistenza) che occorre difendere, nel momento in cui si profilano tentazioni di chiudere la stagione costituzionale e ditornare a un modello vecchio. Un modello in cui status e libertà dei cittadini tornano a dipendere non tanto dalle regole uguali per tutti, ma piuttosto dai rapporti di forza. Il che fra l’altro ci ricorda che la parola "libertà" è una di quelle che nella storia dell’umanità ha avuto più fortuna, ma ha anche avuto le declinazioni più diverse, spesso confliggenti. Oggi, che c’è una certa confusione anche delle lingue, a volte si scrive libertà (persino nella denominazione di un partito) ma si legge qualcosa di diverso, magari riproponendo un’antica contrapposizione fra libertà, eguaglianza e giustizia sociale.
Gli esempi possibili relativi al riaffiorare dei rapporti di forza sono moltissimi: la scuola; la sanità; l’allentamento delle regole per l’impresa (tipica la disciplina del falso in bilancio, sostanzialmente di depenalizzazione); la riforma del diritto del lavoro, che non sempre muove nel senso della tutela della parte più debole, cioè del lavoratore; l’indebolimento dellamagistratura: sia in punto di fatto, con un’opera sistematica di aggressione e delegittimazione, sia in punto di diritto, con progetti di riforma (meglio: controriforma) che sono in rotta di collisione col principio della separazione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura, con inesorabile riduzione delle possibilità che la legge riesca ad essere almeno un po’ più eguale per tutti. Infine proprio l’informazione, settore in cui, più che in ogni altro, è di tutta evidenza che se non c’è autentico pluralismo, a prevalere sono i rapporti di forza.
Ed è paradossale, ma illuminante, che il pluralismo dell’informazione sia minacciato proprio da chi deve ad esso le sue fortune economiche e politiche. C’era una volta, infatti, un monopolio della TV di stato, poi rotto dalla Corte Costituzionale in ossequio appunto al principio del pluralismo, che aprì così la strada alle TV private-commerciali, proprio quelle sulle quali l’attuale premier ha fondato e fonda gran parte del suopotere, frattanto estesosi e consolidatosi fino al punto di voler di fatto egemonizzare l’informazione, riesumando il monopolio "caducato" dalla Consulta.
Ma il vero problema è la qualità della democrazia. La Costituzione repubblicana disegna una democrazia basata sul primato dei diritti e sulla separazione dei poteri, senza supremazia dell’uno sugli altri, ma con reciproci bilanciamenti e controlli.
A questa concezione di democrazia se ne vorrebbe sostituire un’altra: basata sul primato della politica (meglio, della maggioranza politica del momento) e non più sul primato dei diritti. Dimenticando che se è vero che in democrazia la sovranità appartiene al popolo (per cui chi ha più consensi ha il diritto-dovere di operare le scelte politiche che vuole) è altrettanto vero che ogni potere democratico incontra - non può non incontrare - dei limiti prestabiliti. Tali limiti presidiano una sfera non decidibile, quella della dignità e dei diritti di tutti: sottratta al potere dellamaggioranza e tutelata da custodi (una stampa libera e una magistratura indipendente) estranei al processo elettorale ma non alla democrazia.
Se invece la maggioranza, forte del fatto di aver avuto più consensi, si prende tutto e non lascia spazi effettivi alle minoranze, allora l’alternanza - che è il dna della democrazia - viene ridotta a simulacro e la democrazia cambia qualità. L’effettività di tali spazi dipende in particolare dal controllo sociale, che presuppone un’ informazione pluralista. Altrimenti il dilagare oltre i limiti propri di una democrazia moderna del potere della maggioranza è inevitabile. Ed è sempre in agguato (come già insegnava quasi due secoli fa Alexis de Toqueville) la tirannide della maggioranza.

 









   
 



 
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