Governo tecnico, di transizione
 







Antonella Marrone




Governo tecnico, di transizione. Meglio la definizione che ne dà Ignazio Marino: governo di scopo. Dove lo scopo è esplicito, dichiarato: cambiare la legge elettorale. Chiunque abbia un minimo di fiuto per le cose politiche sa benissimo che trovare "la" legge elettorale che metta d’accordo tutto coloro che hanno intenzione di cambiarla (e che siedono in Parlamento in questo momento), non sarà facile. Il professor Roberto D’Alimonte, in un articolo pubblicato sul Sole 24 ore, fa - di questa indeterminatezza - una delle due gambe su cui poggia la inconsistente proposta di governo alternativo e la quasi certa possibilità che si vada alle elezioni con questa "porcata". Infatti, alla domanda «quale legge elettorale dovrebbe sostituire la presente?» le risposte arrivano in ordine sparso. Se arrivano. Una legge "proporzionale" con sbarramento al cinque per cento e che non obblighi i partiti a decidere le alleanze di governo prima del voto va bene a Casinie a D’Alema. Ma non tutto il Pd ne è convinto.
Il Pd tiene infatti i piedi in molte staffe: quella invisibile di Bersani che non si pronuncia, ma che ha una qualche affezione per il bipolarismo diciamo "puro"; quella tedesca di D’Alema e Marini e quella degli ex-ulivisti che non disdegerebbero un ritorno alla legge elettorale maggioritaria con collegi uninominali. In altre parole quella che c’era prima della legge di Calderoli: il paese diviso in tanti collegi, in ciascun collegio il candidato di una, due o tre coalizioni, l’elettore che sceglie il suo deputato e senatore e non vota per quello nominato dal capo del partito. Non esiste dunque un modello unico tra i democratici, anche se Luciano Violante ricorda come in direzione sia stato votato all’unanimità il modello con collegi uninominali, doppio turno contrario al al premio di maggioranza e favorevole allo sbarramento. Bersani, si dice, non vuole "impiccarsi" ad un modello elettorale ma vuole che restino fermi tre principi: ilbipolarismo, la stabilità di governo e la scelta dei parlamentari da parte degli elettori. Dunque massima disponibilità alla trattativa pur di bloccare la mutazione dell’Italia in un "paese delle banane", ma senza recedere dal bipolarismo che, ha detto in più occasioni il leader del Pd, «è entrato nel sangue della gente e non si torna indietro» qualunque modello si proponga.
Torniamo velocemente all’altra "gamba" della teoria di D’Alimonte. Si chiama Senato, ed è il tasto dolente, il tarlo che frena la furia berlusconiana. Berlusconi e Bossi, infatti, potrebbero non avere la maggioranza dei seggi a Palazzo Madama, se gli elettori votassero nel 2011 come hanno votato nel 2008. Al Senato il premio di maggioranza è su base regionale (non nazionale come per la Camera). Il che vuol dire che chi prende più voti in quella Regione prende la maggioranza dei seggi, il secondo prende quel che resta dei seggi a disposizione. Per avere la maggioranza dei seggi Pdl e Lega devono arrivare priminelle Regioni a maggioranza netta di destra e leghista, ma devono anche arrivare secondi - e da soli - nelle Regioni in cui vince il centro sinistra, perché se è qualcun’altro ad arrivare i seggi se li spartisce lui. E la maggioranza salta. Insomma roba di aride cifre, ma è su questo che poi si elaborano le tattiche politiche. Oltre all’ondivaga strategia del Pd, metteteci pure che le idee degli altri possibili co-governati di scopo, coincidono qui e là con gli uni o con gli altri. Francesco Rutelli pensa alla legge elettorale tedesca, proporzionalista. «Siamo alla conclusione di un ventennio di maggioritario ed è il caso di tirare le somme», ha detto, concordando però sul porre fine al premio di maggioranza: spinge, ovviamente, a coalizioni coatte . Casini punta tutto sulla democrazia del voto, ossia ridare ai cittadini la possibilità di votare per la persona e non per una lista: «Non e’ possibile che quattro-cinque leader impongano dal primo all’ultimo parlamentare italiano».L’Italia dei Valori è, d’altro canto convinta sostenitrice del bipolarismo e contraria ad alleanza con Udc e con Fini. Il quale, come si sa, ha sempre avuta una decisa preferenza per una legge elettorale con collegio uninominale. «La mia opinione - ha detto Fini - è che, messi insieme i pro e i contro delle tre o quattro leggi elettorali degli ultimi decenni, quella che garantisce meglio il rapporto tra cittadino ed eletto è quella dei collegi uninominali». Quanto alle preferenze il Presidente della Camera ha espresso qualche perplessità: «Non sono così convinto - ha detto - che sia una panacea. Il sistema delle preferenze fu abolito perchè si prese coscienza dei guasti che provocava: moltiplicava i costi della campagna elettorale ed esponeva i candidati a qualche tentazione». L’impresa non è facile, dunque, e lo scopo, che non sembra troppo difficile in teoria, nella pratica potrebbe allontanarsi definitivamente. Anche perché i primi a non crederci sembrano proprio igiocatori.









   
 



 
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