-In primis, perché i giornali, ogni giornale, sono espressione diretta della libertà del nostro paese e della sua cittadinanza. Quindi perché un cittadino è tale solo quando informato e consapevole perché solo se consapevole può esercitare i suoi diritti di cittadinanza. Infine perché, nel caso di Liberazione, stiamo parlando di venti anni di storia giornalistica del nostro paese-. Più chiare di così, non potevano essere le motivazioni che hanno portato Ezio Mauro, direttore di Repubblica, a prendere parola a sostegno del nostro quotidiano. Dietro la scusa dell’economicità Tremonti sta riuscendo laddove nessuno era riuscito prima: annientare il pluralismo dell’informazione uccidendo decine di quotidiani. Come giudica questa situazione? Ritengo che l’elemento base della democrazia sia proprio la libertà dei cittadini di formarsi la propria opinione leggendo ciò che si ritiene il miglior prodotto editoriale per la propriapersona, ma anche mettendo a confronto forme di informazione diverse tra loro. Soltanto confrontando opinioni e informazioni diverse, infatti, un cittadino può formarsi pienamente un giudizio critico autonomo. Basterebbe solo questa motivazione per difendere qualsiasi quotidiano, a prescindere dalla sua collocazione o appartenenza politica. Entrando nel particolare, invece, ritengo quotidiani come Liberazione, ma anche Il Manifesto, un punto di riferimento per il panorama informativo della sinistra italiana. Con Repubblica, in difesa anche di questi quotidiani, ogni giorno combattiamo una strenua battaglia contro il conflitto di interessi che non è "solamente" un elemento originario del berlusconismo ma qualcosa che ha deformato il mercato politico e mediatico. Per questo è necessario che la difesa della libertà di stampa vada di pari passo con la difesa del pluralismo, che non sia disgiunta: solo così si potrà avere un’informazione, tanto cartacea che televisiva, rispondente aldiritto dei cittadini di essere informati obiettivamente e in maniera equilibrata. Come ritiene che si possa combattere questo disequilibrio del panorama mediatico italiano? Intanto difendendo i quotidiani più "piccoli" ma necessari per il dibattito nazionale. Per far questo, però, non basta una campagna di sostegno o a difesa: sarebbe dovere della legge italiana stabilire misure che aiutino gli organi di informazione senza grandi gruppi editoriali alle spalle, che siano giornali o emittenti radiofoniche o televisive. Ovviamente, però, questo intervento pubblico dovrebbe essere misurato al fatto che questi organi di informazione abbiano dei lettori, degli ascoltatori o dei telespettatori: per anni, infatti, abbiamo avuto pseudo-giornali legati a pseudo-movimenti politici che sfruttavano questo escamotage per avere i contributi pubblici, ma nessuno ha mai trovato un cittadino che avesse in mano uno di questi quotidiani. E’ necessario, quindi, effettuare unostudio su diffusione, tiratura, vendita effettiva di questi giornali e, una volta accertato tutto questo, sostenerli attivamente. Anche se scomodi per una certa classe politica come Liberazione o Il Manifesto. Oltre che all’editoria, il governo Tremonti si sta caratterizzando per i tagli indiscriminati contro il patrimonio "intellettivo" del nostro paese: che sia cultura, informazione, formazione o ricerca non fa differenza. Sembrerebbe che per il ministro dell’economia siano semplicemente voci di bilancio... Per ogni settore di intervento del governo, per ogni voce di spesa, il problema è fare i conti con Tremonti. La vera questione per la maggioranza, infatti, riguarda il debito pubblico e la congiuntura di crisi, la riduzione della spesa in un paese fermo come crescita. Tutto ciò è necessario per rimanere nei parametri fissati dall’Unione Europea ma non può giustificare i tagli indiscriminati e, soprattutto, indirizzati verso l’impoverimento culturale delpaese. A questi tagli, poi, non si accompagna alcuna idea di sviluppo. Così a pagare la crisi saranno il mondo della cultura e della formazione, due emisferi fondamentali per la tradizione culturale che compongono la coscienza di quello che siamo e sui quali, soprattutto in tempo di crisi, si dovrebbe investire e non tagliare. Storicamente, infatti, è proprio nella formazione e nell’istruzione che avveniva quello scambio generazionale necessario alla democraticità di un paese in cui le famiglie proiettavano i figli oltre se stesse, per assicurargli un orizzonte migliore. Il rischio, oggi, è invece un’inversione nel costume pubblico che si ripercuoterà sulla cifra complessiva della democrazia del nostro paese. Attenzione, quindi, a non guardare solamente agli aspetti istituzionali dei vari tagli ma di considerare seriamente il rischio di un impoverimento generale della nostra democrazia. Per chiudere, cosa ci dice della crisi dell’editoria? Il problema principaleda affrontare, subito dopo i tagli ai contributi pubblici per i giornali di partito o di cooperative, riguarda il mercato pubblicitario. La televisione, infatti, "mangia" il 54% di questa torta. Ai giornali, quindi, rimangono solo le briciole. Eppure sono proprio i giornali, in quanto inseriti in un mondo oggi ancora plurale, l’indice di civismo della popolazione. Per questo ritengo necessario fissare un limite allo strapotere della televisione nel mercato pubblicitario. Questo darebbe respiro ai giornali e la possibilità di una crescita di quel settore dell’informazione, la carta stampata, che ha una caratteristica unica: il non essere mordi e fuggi, il poter essere fermata nel tempo, ragionata, assimilata dai propri fruitori. E’ il giornale l’organo di stampa che, più di ogni altro, forma coscienza e opinione pubblica. Certo, questo deve fare i conti con un paese il cui capo di governo, nel pieno delle famose dieci domande di Repubblica, ha invitato pubblicamente gli italiani a nonleggere più i giornali. Un paradosso purtroppo unico al mondo, che si aggiunge all’altro paradosso, altrettanto grave e altrettanto unico al mondo, che colui che esorta i propri concittadini a non informarsi mediante stampa sia anche colui che possiede un’ampia fetta dell’offerta televisiva ed editoriale. Ebbene, nella mia vita non solo non ho mai sentito un capo di governo invitare la cittadinanza a non leggere, ma non ho mai neanche sentito un editore invitare pubblicamente a non leggere. Evidentemente, siamo proprio il paese del paradosso.
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