TUTELA DELLA SALUTE O MALA SANITA’ ?
 







Emilio BENVENUTO - Jenny VARLOTTA




L’art. 32 della Costituzione della Repubblica Italiana detta: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di   legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Per questo ultimo periodo del secondo comma furono dati, a giustificazione, alcuni esempi, fra cui la sterilizzazione (attuata nella Germania nazista per assicurare la purezza della cosiddetta razza ariana) e l’esperimento pseudo scientifico sulle persone (si parlò, appunto, di “cavie umane”).
Vittorio FALZONE, di quei resoconti dell’Assemblea Costituente primo redattore, avvertiva, annotando l’art. 9, che nella Costituzione la parola “Repubblica” fu usata in senso comprensivo così dello Stato come delle Regioni [v. Costituzione della Repubblica Italiana – Testo definitivo Commento e Note agli articoli, Roma, Colombo, s.d., pag. 22]. Pertanto alle provvidenze  di cui all’art. 32 potevano provvedere tanto lo Stato che le Regioni.
Pertanto l’art. 117, c. 1°, cpv. 5°, disponeva che la Regione emanava in materia di beneficenza pubblica e assistenza sanitaria e ospedaliera norme legislative, nei limiti delle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non fossero in contrasto con l’interesse nazionale [e infatti l’art. 32, c. 1°, definiva “interesse della collettività” la tutela della salute] e con quello di altre Regioni. Questa attribuzione – annotava il FALZONE [o.c., pag. 69], doveva considerarsi tassativa.
Il successivo art. 118 disponeva:
. al comma 1°: che spettavano alla Regione le funzioni amministrative in tema di assistenza sanitaria e ospedaliera, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che fossero eventualmente state attribuite dalle leggi dellaRepubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali;
· al comma 3: che la Regione esercitasse normalmente queste funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici.
Questi due articoli [pur senza che ne fosse stata sperimentata la puntuale e totale attuazione] vennero emendati dagli artt. 3 e 4 della farraginosa e disutile Legge Costituzionale del 18 ottobre 2001, n° 3.
L’art. 117, nel nuovo testo, afferma,al comma 1°, che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”: comma disutile, poiché è inconcepibile che in uno Stato che si dice democratico possano emanarsi leggi irrispettose della Costituzione e perché già l’art. 10, c. 1°, Cost. prevedeva la conformità dell’ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Escludedall’elencazione del comma 2° sulla legislazione “esclusiva” dello Stato la tutela della salute e la affida, al comma 3°, a quella “concorrente” di Stato e Regioni. Dispone, al comma 6° che la potestà regolamentare spetta, “in subiecta materia”, alle Regioni.
Ma è l’ultimo comma  dell’art. 118 che assume, nel nuovo testo, per quanto riguarda la tutela della salute, particolare rilevanza, in quanto favorisce “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati,per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sudditarietà”.
La Lg. Cost. 18.10.2001 n° 3 non ha affatto impedito che si continuasse a parlare di mala sanità, sempre, anzi ancor più, alla ribalta, balzando da una testata giornalistica all’altra: bilanci sanitari in deficit, carenze strutturali, gioco di ingenti somme di pubblico denaro, tante, tantissime, situazioni poco  chiare. Ma, guarda caso, l’instaurato  nuovo sistema sanitario, al pari dell’antico, continua aproclamarsene innocente. Occorre condurre una dura battaglia a favore di un servizio sanitario migliore e trasparente. Occorre ricordare a chi a quel servizio è preposto che la tutela della salute è “interesse della collettività” e, ancor prima che questo, “fondamentale diritto dell’individuo” (art. 32, c. 1°, Cost.).
Sono troppi gli interessi politici e clientelari, un giro di corruzioni denunziato dalle statistiche giudiziarie  pari a un centinaio di milioni di euro. In fin dei conti, il costo della tutela della propria salute non è pagato da collettività alcuna, ma dai singoli individui, cui essa dovrebbe essere assicurata. Riteniamo delittuoso aver voluto trasformare unità di civici servizi in aziende, quasi che la pubblica salute fosse un volgare prodotto industriale. Nel pagare al fine di vedersi corrisposti servizi, i singoli elargiscono ben più di quanto possano attendersi, in ossequio a un sacro principio di umana solidarietà, non certo per elargire lauti compensi adirigenti e operatori che quei servizi dovrebbero assicurare, Chiedere trasparenza, controlli, rigore d’esercizio, efficienza, informazioni, è un diritto! E’ lecito che un dirigente d’un servizio sanitario alla richiesta di copie di documenti, peraltro per loro natura pubblici e che non  dovrebbe esitare a fornire, in ossequio a n orme vigenti, opponga il diniego  o il silenzio? Se la stampa ha davvero, nel nostro, così come è negli altri Paesi, il diritto-dovere di liberamente informare il pubblico, ha, o non ha, parimenti il diritto di chiedere di potersi essa informare per prima per poter poi altri rettamente informare? Ma questo va sempre più divenendo un Paese in cui sembra imperare la vergogna d’un potere assoluto: “l’Etat s’est moi!”
Se è vero che obbligo della  stampa, quotidiana o periodica che essa sia, è quello di correttamente informare  del buon funzionamento dei servizi sanitari e quindi, per poterlo fare, suo diritto è quello d’essere altrettantocorrettamente informata, ci pare un illecito il voler contrapporre un preteso diritto del funzionario pubblico di non rispondere a una richiesta di informazione. E’ quanto meno un deprecabile mal vezzo. Può far sorgere in alcuni il sospetto, dal quale rifuggiamo, che si voglia, come in tempi non troppo lontani, continuare a rubare, a corrompere e farsi corrompere. A pagare  le spese delle risposte che non le giungono finisce sempre a essere la “povera gente”.
I dirigenti, gli operatori d’un pubblico servizio dovrebbero sentire il dovere d’esporre con responsabile diligenza ogni affare della conduzione dello stesso, di palesarne la chiarezza, di fugare ogni dubbio.
“C’è una spontanea inosservanza del principio di  legalità, di controllo  di quella stessa illegalità – e soprattutto di trasparenza. Con la sanità la fa da padrona”: lo documenta la 1^ Mappa sul fenomeno della corruzione in Italia, curata dall’Alto Commissario per la prevenzione e il contrastoalla corruzione. Oggi quell’Alto Commissariato non esiste più. E’ stato sostituito, a partire dal 2 ottobre 2008 dal Servizio Anticorruzione e Trasparenza  (SAeT), costituito nell’ambito del Dipartimento della Funzione Pubblica, che la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha trasferito al Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione. Il fenomeno della corruzione è, del resto, talmente dilagato su scala mondiale che nel 2003 l’ONU ha promosso una Convenzione contro la corruzione, sottoscritta dall’Italia sin dal 9 dicembre 2003, ma mai da essa [e le ragioni sono troppo evidenti a un attento osservatore delle nostre  vicende nel primo decennio del terzo millennio!] non ancora ratificata. Anzi, è tra noi in atto una vera e propria strategia di disinformazione. In questo clima vegeta la nostra sanità pubblica e fiorisce quella privata, in un sistema volutamente disomogeneo, ricco di inefficienze e di sprechi. Tutto è improntato a nere finalitàmercantili, il cui aspetto prioritario, se non esclusivo, è quello del privato guadagno, anche a scapito di quel minimo di rispetto  della deontologia che si supporrebbe richiesta per l’esercizio delle professioni sanitarie. Si dice che l’intero sistema sanitario dovrebbe essere intonato a criteri di massima economicità, ma si dimentica che la tutela della sanità pubblica è  affidata a un servizio sociale e che questo non può essere adempiuto con criteri di conduzione aziendale, come pretendono oggi coloro che, “cavalieri d’industria”, fanno gran confusione tra Stato e azienda e dello Stato pretendono fare un’azienda loro.
Non ci resta che sperare che chi, con  nostra mala ventura, ci dirige prenda coscienza che è ormai urgente orientare le proprie decisioni a una corretta e proficua amministrazione delle risorse pubbliche e non attui più provvedimenti di dubbia utilità.
Ormai nulla più ci stupisce, tutto ci pare oscuro e confuso, Non è raro quindi sentir parlare,quasi quotidianamente, di “mala sanità”, di un servizio sociale che gli intrecci di partiti, burocrazia e cosche hanno reso un groviglio malavitoso, che ha sostituito a quel sistema che consentiva d’esser classificato fra i primi su scala mondiale, uno nuovo, infame e denso di pericoli, non più tutore della salute.


 









   
 



 
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