Passeranno settimane, forse passeranno solo giorni: passerà solo qualche tempo, e si capirà cosa e quanto l’imprevisto delle piazze di martedì abbia turbato, nel quadro politico. Forse lo capirà lo stesso movimento studentesco e precario, forse si tenterà di esplicitarlo a sue spese: ma quel movimento ha alzato già il prezzo, e quanto a turbamenti del Palazzo promette ancora molto. Per il momento, in una giornata che è stata la prima veramente “francese” in Italia a memoria d’uomo dagli anni 80 ad oggi, mentre i blindati della celere lasciati a mo’ di muro d’acciaio a fermare il corteo romano rischiavano di volare sotto la spinta del desiderio di rivolta, mentre una moltitudine proliferante e la sua connessione virale bloccavano l’intero Paese, l’opposizione “ufficiale” si è dovuta ancora comportare come tale. Bersani a denunciare a gran voce nell’Aula di Montecitorio la «chiusura» alla protesta, la neo-segretaria della Cgil ad additare la«militarizzazione», addirittura. E però, fra lo specchio sociale di quella piazza e quel che si muove nella politica, qualcosa che scricchiola c’è eccome. Lo si era capito, in verità, fin dall’indomani del primo “assalto al cielo” del movimento ossia l’episodio della contestazione fin dentro il portone del Senato della Repubblica. Lo scricchiolio porta lo stesso nome dell’aspettativa di caduta, politicamente e parlamentarmente intesa, del governo Berlusconi: e cioè Gianfranco Fini. Il quale subito dopo l’innalzamento del livello della protesta si precipitava a garantire l’approvazione del Ddl Gelmini, come infatti è stato - fra un dispettuccio e un inciucio sugli emendamenti - proprio l’altro ieri alla Camera. Il perché è stato facilmente rintracciabile un indirizzo non propriamente politico-parlamentare, giunto all’alba di quello stesso venerdì: e cioè l’ukaze della presidente di Confindustria, «questa riforma s’ha da fare». Così, per Fini la stessa riforma è diventata «la cosamigliore della legislatura». Casini è centrista, si sa, e dunque l’altro ieri la riforma non l’ha votata ed è corso a distinguere fra «studenti pacifici» ed «estremisti» (evergreen piuttosto in voga in tutto il centro-sinistra, a dir il vero...) alla Camera. Ma ecco, da qui si concatenano i paradossi: Casini si appresta pur a presentare una mozione di sfiducia al governo Berlusconi insieme a Fini, anzi a creare con lui e Rutelli il «Terzo Polo», e con Casini e Fini insieme la leadership del Pd intende giocare quel che Bersani insiste a chiamare «transizione». Che consisterebbe nel far cadere Berlusconi e andare quindi alle elezioni? No, assolutamente: buona la prima, invece della seconda un governo per l’appunto “transitorio”. Il rebus della composizione del quale, dunque, viene prima di ogni alleanza elettorale: ergo, finirà per determinarne il senso. Ma soprattutto: cosa dovrà fare quel governo? Il più esplicito è Gianfrano Casini: dovrebbe governare. Altro che vincolo restrittivo alsolo varo d’una legge elettorale, allora. Anche Massimo D’Alema, non a caso, si appresta ad esplicitare il suo solito “asso” sul fronte riforme: accompagnare una modifica del porcellum blanda quanto basti a piacere al più dei partiti e possibilmente eliminare “disturbi” a sinistra, con la proposta davvero hard di un rederendum popolare di “indirizzo” sulla forma di governo, cioè su una riforma costituzionale fondamentale, tra conferma della Repubblica parlamentare e instaurazione del semi-presidenzialismo. E dunque, altro che qualche mese di legislatura e poi il voto: governo delle riforme, pure. In ogni caso, governo di «responsabilità», come sempre Casini ha inaugurato e tutti i concertatori della caduta di Palazzo del Cavaliere ripetono. Quale, di preciso? Un aiutino sta per arrivare più nitidamente da oltre i confini, anzi da sopra i confini: il «rischio Paese» agitato dai Montezemolo come dai Padoa Schioppa o dai Monti, sta per ufficializzarsi. Nella forma meglio fungibile perimporla, la «responsabilità nazionale»: lo sprofondamento dell’euro per via dell’aggravamento del debito pubblico italiano. Che è intestato per il 40 per cento al credito pubblico e privato francese, cioè ai maggiori soci a loro volta della finanza tedesca. Insomma: l’aumento a valanga nelle Borse, in questi ultimi giorni, dello spread fra i Btp italiani e il riferimento del Bund tedesco, proprio alla vigilia della rimessa sul mercato della valutazione del nostro debito ossia del’asta dei titoli di Stato, minaccia un tantino più gravemente del debito greco o del deficit irlandese il cuore stesso dell’Eurozona. Ed è perciò che i “vocati” al «governo di responsabilità» hanno due problemi. Il primo: come affrontare la «rabbia sociale» giustamente richiamata da chi prendeva parola nell’assedio di martedì a Montecitorio come vera protagonista della crisi, una volta eventualmente rimosso dalla scena il Cavaliere. E poi: come fare a meno del berlusconismo, immediatamente dei berlusconiani (inParlamento), se non di Berlusconi stesso, per governare la «transizione». Cioè un patto sociale imposto. Cioè l’ovvio bando ad ogni continuità delle proteste. Cioè la comune inimicizia ai movimenti e alle lotte sociali. Perciò il giorno 14 resta un’incognita: per fortuna, con un altro assedio di piazza. Anubi D’Avossa Lussurgiu
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