Quel che resta della politica se viene privata della sua essenza sociale
 







Gianluca Schiavon




L’attesa per le sorti del Governo italiano esibisce come corollario le posizioni di alcuni deputati eletti presso le fila del centro-sinistra, adesso predisposti ad atteggiamenti di appoggio alle politiche delle destre governative.
Il casus belli dell’ultima ora, tuttavia, rappresenta una costante in seno ad una forza politica, l’Italia dei Valori, che ha "ospitato" nelle sue fila più di qualche deputato o senatore già approdato nel sicuro porto del governativo centro-destra.
Non vorrei circoscrivere questo fenomeno al mero opportunismo, né ridurre i tentativi governativi entro metafore di gusto calcistico: mi piacerebbe, piuttosto, soffermarmi sullo stretto legame tra etica della legalità da un lato e, dall’altro lato, disinvoltura nell’accettazione di paradigmi politici ben distanti da quelli connotanti l’agire precedente.
La "compravendita" costituisce il pendant di esperienze politiche come quella del movimento guidato da Antonio DiPietro nelle quali una condotta personale specchiata (fino a prova contraria) è il solo parametro per la selezione dei quadri dirigenti e la sola categoria fondante del consenso elettorale e, ciò che è peggio, la stella polare sulla quale si ostenta di modulare tutta l’azione politica-amministrativa.
Ma che cosa rimane della politica quando essa viene deprivata della sua essenza intrinsecamente sociale, ossia della componente progettuale, organizzativa e, perché no, perfino ideale nella misura in cui essa alluda alla costruzione di un nuovo modello ed equilibrio sociale?
La forza dell’elemento etico-personale declinato secondo tale modalità si trasforma nel suo opposto: diventa lo strumento per sgretolare i pilastri sui quali si è fondato quell’agire, non politico. L’opzione dell’onestà senza rigore permette a quegli stessi deputati di cambiare lo schieramento e di dimenticare un altro elemento ad essa connesso, la coerenza.
Volendo descriverne il percorso, si può dire chequesto modello di moralità diventa neutro e, di conseguenza, praticabile in qualsiasi ricettacolo della politica (a destra come a sinistra), poiché esso si accoppia a fili di sviluppo e di organizzazione politico-sociale, nel caso dell’Italia dei Valori o, ancor peggio, esso dà vita ad un pasticcio permeato da componenti di presunto buon senso e di conati ambientalistici, nel caso del Movimento a cinque stelle di Beppe Grillo.
La stessa insistenza sul dato generazionale proposta dal sindaco di Firenze, Renzi, sembra un tentativo analogo di rendere assoluto un elemento che potrebbe costituire un valore (come l’immissione di giovani generazioni nell’asfittico ceto politico italiano), ma che non diviene valore se non sorretto dalla convinzione che esso dovrà concorrere a costituire lo sguardo d’insieme o, meglio, il requisito minimo per tentare di incidere positivamente sulla realtà.
Il ricambio generazionale e la limpidezza riacquistano il loro slancio vitale fuori e contro ilpalazzo nelle parole degli studenti e dei precari della conoscenza nonché dei tanti lavoratori in piazza. Questi soggetti sociali cancellano le finte contrapposizioni della politica opaca e autoreferenziale: il nuovo contro il vecchio, l’onesto contro il fellone. Costringono la politica ad un elemento di rigore e chiarezza nelle proposte, nei conflitti e nelle possibili mediazioni. Sono vettori di una vera trasparenza, virtù tanto cara ai corpi di Paul Scheerbart, in quanto per lui e per noi solo attraverso essa risulta(va) possibile lo sguardo sulla realtà.

 

 









   
 



 
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