A chi toccherà il bidone del nucleare?
 











È trascorso ormai un anno e mezzo da quando il Parlamento italiano ha approvato la legge Sviluppo e da allora il progetto del governo Berlusconi di ritorno del nucleare in Italia, anche se con grandi ritardi, sta assumendo sempre più forma. È stato approvato il decreto sui criteri localizzativi degli impianti atomici, quello sullo statuto dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, di cui si stanno definendo anche i vertici, è stato firmato un accordo bilaterale tra Italia e Francia per importare nel nostro Paese la tecnologia transalpina dei reattori EPR, ma ancora non si è entrati nel vivo della questione e cioè la definizione delle aree dove verranno costruite le centrali.
Formalmente non è ancora possibile procedere alla localizzazione degli impianti atomici , ma in realtà, grazie alle informazioni disponibili in letteratura, è già possibile simulare un processo di selezione delle aree disponibili.
Si può partire infatti dagli standardinternazionali sull’energia dall’atomo e dalla vecchia carta geografica dell’Italia elaborata nel 1979 dall’allora Cnen ( Comitato nazionale per l’energia nucleare) , anche se ovviamente non tiene conto della variazione delle condizioni al contorno causata dai cambiamenti climatici, come la modifica delle portate dei fiumi, l’aumento del rischio  idrogeologico o del livello medio dei mari, etc..
Nell’elenco delle 50 aree potenzialmente idonee a localizzare una centrale nucleare, distribuite in 15 regioni italiane: 7 sono in Puglia; 6 in Toscana; 5 in Sardegna e Sicilia; 4 in Calabria, Lombardia e Veneto; 3 in Emilia Romagna, Lazio, Friuli Venezia Giulia; 2 in Campania; 1 in Basilicata, Molise, Piemonte e Umbria.
Senza entrare troppo nei tecnicismi sono principalmente quattro le caratteristiche che dovranno avere le aree idonee ad ospitare una centrale nucleare:
- elevata stabilità geologica e scarsa sismicità del sito;
- adeguata disponibilità di acqua per le necessitàimpiantistiche;
- opportuna distanza dai centri abitati;
- presenza di una importante rete di trasporto dell’energia elettrica.
Nell’elenco compaiono tante vecchie conoscenze del movimento antinucleare italiano, come i 4 siti che ospitano ancora oggi le centrali dismesse - Trino Vercellese (Vc), Caorso (Pc), Latina e Garigliano (Ce) -, ma anche Montalto di Castro (Vt),  dove era in costruzione la quinta centrale nucleare fino al referendum del 1987; diverse località sul fiume Po e tante località marine praticamente in tutte le regioni costiere. Stando a quanto riportato dalle indiscrezioni di Palazzo, i progetti delle aziende energetiche sarebbero già pronti e dei 4 reattori EPR oggetto dell’accordo
Berlusconi-Sarkozy del febbraio 2009, che dovrebbero essere costruiti da Enel e dalla francese EdF:
□ 2 verrebbero realizzati a Montalto di Castro - al confine tra Lazio e Toscana ;
□ 1 sull’asta del fiume Po - a partire dai siti ex nucleari diTrino Vercellese e Caorso
□ 1 nel Centro Sud Italia.
Nell’elenco delle 50 possibili aree idonee ad ospitare gli impianti atomici ve ne sono almeno due  nella nostra provincia, frutto dell’incrocio delle varie informazioni disponibili in letteratura:
Lesina  e l’ area  tra Manfredonia e Lago Salso e i nelle immediate vicinanze  area tra Termoli e Campomarino (presso la foce fiume Biferno).
A queste localizzazioni va aggiunta quella relativa al deposito o ai diversi siti che dovranno essere realizzati per smaltire le scorie.
Si  tratta di circa 100mila metri cubi di scorie a diversa radioattività, che dovranno essere smaltite in sicurezza e che devono trovare una propria localizzazione.
Nel nostro Paese si è scelta la tecnologia francese EPR di terza generazione avanzata (3+) - che il governo Berlusconi vuole importare in Italia con 4 esemplari da 1.600 MW -, sempre più messa in discussione nel dibattito in corso a livellomondiale.
Il reattore EPR di terza generazione nasce già vecchio e con grossi problemi come emerso realmente durante la progettazione e la costruzione dei due reattori EPR a Olkiluoto in Finlandia e a Flamanville in Francia.
L’EPR sta dimostrando grandissimi problemi in  fase di costruzione, con conseguenti rilevanti ritardi e colossali incrementi della spesa preventivata.
Il primo reattore EPR al mondo, la cui costruzione è iniziata nel 2005, sarebbe dovuto entrare in funzione ad Olkiluoto dopo 4 anni con una spesa prevista di 3 miliardi di euro. A distanza di 5 anni dall’apertura del cantiere le opere sono ancora in alto mare, il cantiere dovrebbe chiudersi in almeno 7 anni e mezzo e i costi sono già raddoppiati rispetto alle stime iniziali, arrivando a toccare i 6
miliardi di euro. Il reattore di Flamanville, la cui costruzione ha avuto inizio nel 2007, ha già accumulato 2 anni di ritardo con un primo aumento dei costi di costruzione passati dal preventivo di 3miliardi di euro ai 4 attuali.
Insomma l’EPR è un reattore insicuro e inquinante, con gravi  falle nei sistemi di sicurezza. Come se non bastasse, nei mesi scorsi la pubblicazione da parte dell’associazione francese Sortir du nucléaire di documenti della società elettrica transalpina EdF, fino ad allora riservati, ha reso evidente che l’EPR, per com’è concepito, potrebbe aumentare invece che diminuire i rischi di un grave incidente nucleare.
Per rendere il nucleare economicamente competitivo il progetto EPR cerca di sfruttare le economie di scala, spingendo al massimo le potenzialità della tecnologia, a cominciare dalla potenza installata che per questo reattore arriva a 1.600 MW, la più elevata mai realizzata. Il problema è che aumentare la taglia del reattore e la densità energetica del nocciolo aumenta inevitabilmente i rischi
d’incidente, senza tenere in alcun conto la salute del cittadino
Legambiente è convinta che il nucleare non serve all’Italia, a partire daquello occupazionale, visto che per la costruzione di un reattore EPR sono previsti un massimo di 3.000 posti di lavoro, che si riducono a 300 nella fase di esercizio (tanto per fare un confronto illuminante negli ultimi 10 anni la Germania ha creato 300.000 posti di lavoro nel settore delle rinnovabili, tra diretto e indotto, mentre in Italia al 2020 con la diffusione dell’efficienza delle fonti pulite se ne potrebbero
creare dai 150 ai 200mila).
Con il ritorno dell’atomo non diversificheremo neanche le fonti energetiche. È vero che la produzione elettrica in Italia è fortemente sbilanciata su una fonte energetica (dipende per il 55% dal gas), ma il contributo del nucleare alla riduzione dei consumi di metano sarebbe davvero insignificante. Secondo il Centro elettronico sperimentale italiano (Cesi), una fonte tutt’altro che di parte, con la costruzione di 4 reattori EPR da 1.600 MW risparmieremmo a partire dal 2026 solo 9 miliardi di m3 di gas all’anno, pari al 10% dei consumiattuali e alla produzione media di un rigassificatore.
Il nucleare non serve al nostro Paese per affrontare seriamente i suoi problemi energetici (ritardo
nella lotta ai cambiamenti climatici, diversificazione delle fonti energetiche, riduzione delle importazioni e della bolletta energetica).
Il nucleare sarebbe solo un grande affare per poche aziende, a partire da quelle energetiche - che tra le altre cose stanno chiedendo con insistenza al governo di forzare il mercato, fissando un prezzo minimo per la vendita dell’energia dall’atomo, con buona pace del libero mercato della tanto decantata riduzione della bolletta energetica - a discapito della produzione distribuita e dell’economia diffusa dell’efficienza e delle rinnovabili.
Invece di buttarsi nell’avventura nucleare, i cui costi imprevedibili saranno prima o poi scaricati sulle tasche dei cittadini, il sistema energetico del nostro Paese ha bisogno di una grande operazione di modernizzazione, che comprenda anchel’industria, l’edilizia e i trasporti, ma che non deve passare attraverso la costruzione di reattori nucleari che, nonostante le descrizioni mirabolanti della propaganda nuclearista, restano dei veri e propri bidoni. -prof. Tonino Soldo-









   
 



 
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