Wikileaks e il pane di Camorra
 











In un cablogramma diretto a Washington, la diplomazia americana denuncia il business dei fornai legati alla malavita organizzata. I cui prodotti costano meno perché vengono ignorate tutte le norme sanitarie, con generi di scarto messi insieme nei sottoscala. Un mercato che ha il suo cuore ad Afragola. Con fatturati per i clan da mezzo miliardo di euro l’anno
(13 gennaio 2011) Il console generale degli Stati Uniti a Napoli, J. Patrick Truhn, non ha dubbi: in Campania la camorra fa affari anche con il pane. «Circa due due terzi dei panifici della regione sono in mano alla criminalità» e «cucinano il pane con materiali tossici», scrive il diplomatico americano nel giugno del 2008 in un cablo destinato al Dipartimento di Stato Usa e reso noto da Wikileaks.
Quello del pane di camorra è uno business enorme: costa meno e viene spacciato per genuino. Ma costa meno perché viene prodotto fuori da qualunque regola: senza igiene, senza controllo su acquae farina. E soprattutto usando per cuocerlo ogni genere di scarto: ci sono anche vecchi infissi verniciati e cortecce di nocciole trattate con antiparassitari, che spargono nuvole tossiche sulle pagnotte. In un caso, per fortuna isolato, sono state bruciate persino delle bare dissotterrate.
In sei mesi, da quando i prezzi ufficiali sono saliti alle stelle, sono stati scoperti e ispezionati oltre 400 forni a Napoli e provincia. Più della metà è stata sequestrata, in tutti gli altri sono fioccate multe per irregolarità multiple: 80 le persone denunciate. "Ci muoviamo per la tutela del consumatore e dei lavoratori, quasi sempre sfruttati e in nero", spiega a ’L’espresso’ il colonnello Gaetano Maruccia, comandante provinciale dei carabinieri di Napoli.
La capitale del pane nero è Afragola, 60 mila abitanti e un municipio già sciolto due volte per infiltrazione camorristica. Nonostante i forni clandestini siano tantissimi, nessuno li ha mai segnalati: né i vigili urbani, né gliispettori della Asl. Nel cortile di un palazzo, in quella che tutti chiamano la ’Zona nuova’, si sfornano filoni in un sottoscala fetido e ammuffito. È tutto abusivo, anche il titolare, un ex affiliato al clan Moccia che si è fatto vent’anni di carcere e oggi si è inventato panettiere. "Sempe meglio c’arrubbà", dice l’anziana suocera: meglio che rubare.
E mostra ai carabinieri la foto di un figlio assassinato dalla camorra. La cantina-panetteria è un tugurio: al centro il piano di marmo infarinato e una bilancia sotto cui spuntano volantini elettorali. Le mattere, le classiche tavole dove l’impasto lievita, sono accatastate una sull’altra lungo il perimetro delle pareti screpolate dall’umidità. In alcune c’è pane cotto, in altre lievito avariato. È tutto lì, tutto nello stesso locale buio: ci sono gli stracci appesi tra due fornaci, grezzi e cadenti, e perfino una radio appoggiata vicino agli sportellini di ferro arrugginiti. Sono ancora caldi quando, poco dopo le 9 del mattino, icarabinieri del comando provinciale e dei Nas sequestrano tutto. Poche case più in là un cartello annuncia: ’Prossima apertura panificio’. È un ex forno illegale che, dopo i controlli e le multe, ha deciso di mettersi in regola.
Queste pagnotte finiscono sui ’bancarielli’, banchetti che ricordano quelli delle sigarette di contrabbando. Ma sempre più spesso il pane nero compare nei negozi e nei supermarket. «Tutto ciò che è business attira l’interesse della criminalità che trae profitti sia dalla fornitura di materie prime che dalla distribuzione del prodotto finito», spiega il colonnello Maruccia. I clan impongono o consigliano la loro merce, creando un mercato parallelo sottocosto che conviene anche ai commercianti: tutti ci guadagnano, tranne il consumatore che rischia di mettersi in tavola un misto di mollica e veleno. Ma il business comanda. L’assessore all’Agricoltura della Provincia, Francesco Borrelli, stima che i panifici non autorizzati siano più di mille: «Secondo inostri calcoli generano un giro d’affari da mezzo miliardo di euro l’anno».
C’è poi chi una licenza ce l’ha, ma non rispetta nulla: né l’igiene, né la sicurezza dei suoi dipendenti. A due passi dal cosiddetto ’Terzo Mondo’, uno degli ultimi fortini del clan Di Lauro protagonista della faida di Scampia, alle sei del mattino lavorano in cinque. L’unico senza precedenti penali è un immigrato clandestino. Ma viene arrestato subito dopo per ricettazione: il suo scooter risulta rubato. Gli altri quattro sono vecchie conoscenze delle forze dell’ordine. Perché intorno al pane si è creata una filiera criminale che va dalle forniture di farina fino alle assunzioni. Denuncia Tommaso Pellegrino, segretario della commissione parlamentare Antimafia: «Lo sfruttano anche così, dando una possibilità di lavoro a chi ha scontato la propria pena in carcere. L’antistato è anche questo». L’ultimo dossier consegnato da Borrelli e Pellegrino ai carabinieri mostra come il pane sia solo l’apripista di unnuovo commercio alimentare, messo in vendita lungo le strade campane: pesce, carciofi, mozzarelle e fragole. Tutto made in camorra, alla faccia della tracciabilità e della sicurezza.de L’Wspresso - Claudio Pappaianni









   
 



 
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