Ormai è chiaro, l'Italia non digerisce il surrogato di cioccolato, la barretta all'europea, quella che dal 2000 può contenere anche delle materie grasse diverse dal burro di cacao pur mantenendo il medesimo richiamo commerciale, il nome cioccolato, che secondo i fan del sapore spetterebbe invece solo al fratello più nobile, quello puro. Ieri la Camera ha votato compatta, da sinistra a destra, contro la legge che voleva adeguare la normativa italiana a quelle comunitaria, imponendo la cancellazione della dicitura «cioccolato puro», il marchio che era stata introdotto nel 2003, subito prima dell'entrata in vigore della direttiva, per difendere i prodotti di qualità dai parenti poveri del cioccolato. In questa maniera l'Italia dichiara guerra a Bruxelles, una guerra giocata sulle armi del gusto, ma anche una guerra che potrebbe costare assai cara visto che con il voto di ieri Roma rischia di finire fuori legge, cosa che può portare dritti dritti a unamulta assai salata. Quello della stangata è stato l'argomento brandito in aula dal ministro per le politiche comunitarie Giorgio La Malfa: «Le leggi europee devono essere obbedite, se la norma salta finisce che l'Italia viene condannata e le condanne oggi sono davvero salate». Un appello caduto nel vuoto. Per una volta i deputati hanno infatti guardato più allo stomaco che al portafoglio e così La Malfa si è trovato solo, l'unico a votare contro il «cioccolato puro». Bruxelles ribatte prontamente alla sfida, affermando, per bocca del portavoce del commissario all'agricoltura, che «gli stati membri devono rispettare la normativa comunitaria: contiamo che l'Italia lo faccia rapidamente». In realtà la faccenda della violazione della norma (e della conseguente multa) non è per nulla scontata visto che non risulta siano stati aperti procedimenti di infrazione contro l'Italia. Inoltre la direttiva (la n.36 del 2000) permette espressamente che «l'etichettatura indichi che non sono statiaggiunti grassi vegetali diversi dal burro di cacao». In sostanza lo spazio per mantenere il marchio «cioccolato puro» si può forse trovare anche legalmente. Ma andiamo alla storia della battaglia del cioccolato. Nel marzo 2000 il Parlamento europeo, dopo un dibattito durato la bellezza di quattro anni, approvava una direttiva che autorizzava nella fabbricazione del cioccolato l'uso di materie grasse diverse dal burro di cacao per una quantità massima del 5% del peso totale. A spingere per il surrogato erano le multinazionali e anche i governi di Regno unito, Irlanda, Danimarca, Finlandia, Austria, Portogallo e Svezia. Il nostro esecutivo, all'epoca di centrosinistra, finiva per spalmarsi sulla posizione delle multinazionali, permettendo così l'approvazione della norma anche tra i 15. Parallelamente l'allora Commissario alla concorrenza Mario Monti apriva una procedura d'infrazione contro Italia e Spagna, ree di ammettere il marchio «surrogato del cioccolato» per quei prodotticontenenti grassi sostitutivi. Nel gennaio 2003, solo sei mesi prima dell'entrata in vigore della direttiva, la Corte di giustizia del Lussemburgo dava ragione a e Monti e obbligava Roma e Madrid a bandire tale marchio. Per correre ai ripari il governo italiano immetteva la dicitura «cioccolato puro», un titolo che ieri La Malfa cercava di eliminare. Senza successo. Mentre si alza la soddisfazione delle associazioni dei consumatori, degli artigiani e dei produttori di qualità, gli effetti del voto di ieri rimangono in gran parte un'incognita. L'eurodeputata Monica Frassoni, capogruppo dei verdi, invita "a trasformare il voto in una grande iniziativa europea per modificare la direttiva cercando alleanze con altri paesi". La Commissione potrebbe invece decidere di aprire un procedimento di infrazione, a quel punto il cioccolato da puro potrebbe diventare amaro, almeno per l'eventuale multa.da Il Manifesto
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