Il dottor Vincenzo Tiberio non lo ha mai saputo: è morto troppo presto, a soli 46 anni, nel 1915. E pensare che le sue ricerche avrebbero davvero anticipato di trent'anni la scoperta della penicillina. La gloria però, per questo dono all'umanità, andò tutta ad Alexander Fleming, il batteriologo inglese che nel 1928, quasi casualmente, insieme ad Howard Walter Florey e Ernst Boris Chain, scoprì il potere di alcune muffe. Ai tre nel `45 sarebbe andato il riconoscimento del premio Nobel per la medicina. Ma anche le intuizioni di Vincenzo Tiberio, nel corso delle sue ricerche sulle muffe, erano giuste; peccato che nessuno gli abbia prestato l'attenzione che meritava. E' Giulio Capone, medico di famiglia nel caratteristico quartiere romano del Pigneto e nipote di Vincenzo Tiberio, il «Virgilio» che ci guiderà nel racconto di questa storia a cavallo tra Otto e Novecento. Era il 1882, nonno Vincenzo aveva solo 22 anni quando si laureò in medicinapresso la Regia Università di Napoli. Si era distinto a tal punto che l'anno dopo era già stato nominato assistente presso l'Istituto di patologia medica dimostrativa diretto dal professor Arnaldo Cantani, e l'anno dopo ancora approdava all'Istituto di Igiene, sempre nella stessa Università. Da Sepino ad Arzano Vincenzo Tiberio era nato il 1° maggio 1869 a Sepino, in Molise, 30 chilometri da Campobasso, da una famiglia che non se la passava male. Il padre, Domenico, era un notaio e quando il figlio decise di iscriversi alla facoltà di medicina dell'Università di Napoli, chiese a dei parenti che vivevano ad Arzano di ospitarlo. Sarà proprio quel luogo ad avere un ruolo fondamentale nelle ricerche del futuro medico al quale, certamente, non mancava spirito di osservazione. Nel cortile della casa degli zii Graniero di Arzano c'era un pozzo la cui acqua abitualmente era potabile. Ma Vincenzo osservò che ogni qualvolta il pozzo veniva ripulito dalle muffe chenaturalmente si formavano lungo le pareti, le persone che utilizzavano l'acqua venivano colpite da infezioni intestinali. Dopo un po' di tempo, quando le muffe ricrescevano, l'acqua tornava ad essere innocua. Non fu difficile per Vincenzo intuire che quelle muffe avevano una qualche influenza sulla potabilità dell'acqua e immaginò che tra le muffe e alcuni batteri si verificasse quel fenomeno che Pasteur aveva già definito, nel 1877, di antibiosi: cioè l'inibizione che un organismo esercita sullo sviluppo di un altro organismo. Il laureando in medicina Vincenzo Tiberio prese alcuni campioni di quella sostanza e li portò in facoltà. Dovette però scontrarsi con difficoltà e diffidenze e solo dopo la laurea riuscì ad avere il permesso di accedere al laboratorio di igiene dell'università, diretto da professor De Giaxa. Passarono altri cinque anni: dopo i quali l'establishment scientifico dell'epoca liquidò le conclusioni del potere antibattericida delle muffe notato da Tiberio come unaserie di «coincidenze». Il risultato di quelle osservazioni finì in un fascicoletto, stampato nel 1895 con il titolo «Sugli estratti di alcune muffe - Ricerche del dott. Vincenzo Tiberio», e conservato negli archivi della Regia Università di Napoli. In quell'Annale di Igiene sperimentale il dottor Tiberio scrisse: «Risulta chiaro da queste osservazioni che nella sostanza cellulare delle muffe esaminate sono contenuti dei principi solubili in acqua, forniti di azione battericida...». Non sapeva di essere ad un passo da una scoperta sensazionale: il potere di antibiosi della penicillina. C'è da dire anche che la sua relazione comparve su Annali che avevano scarsa diffusione, specie all'estero perché scritti in italiano, e nessuno si rese conto della portata di quelle ricerche, partite semplicemente dall'osservazione delle muffe che si formavano nel pozzo del patio di casa Graniero: il giovane Tiberio aveva intuito, trent'anni prima di Fleming, il potere degli antibiotici. Mal'Italia in quel periodo aveva altre priorità per poter pensare alle ricerche sulle muffe di Tiberio, impegnata com'era nella Campagna d'Africa voluta dalla politica colonialista del governo Crispi. Sarà stato per la mitezza del suo carattere, o forse per la consapevolezza dell'impossibilità di andare avanti, fatto sta che il giovane Tiberio si rassegnò, accettò l'archiviazione delle sue ricerche e si arruolò nella Regia Marina con il grado di medico di seconda classe nel Corpo sanitario militare. C'era sicuramente un amore per la patria incomprensibile al giorno d'oggi; ma anche la delusione per come furono liquidate le sue ricerche deve aver avuto un'importanza non secondaria nel fargli prendere la decisione di abbandonare una carriera scientifica tanto promettente per entrare nella marina da guerra - sulle cui navi comunque continuò a fare il medico, dirigendone le infermerie. E poi così poteva anche saziare la sua fame di conoscenza, il desiderio di allargare il suo orizzonteverso nuove culture e paesi. Ma per il nipote Giulio, che ricorda i racconti della madre tramandati dalla nonna, all'orgine di questa decisione potrebbe esserci stata anche una motivazione di carattere sentimentale. In quella casa di Arzano, Vincenzo si era innamorato, ricambiato, della cugina Amalia Graniero. Ma, per via della consaguineità, l'unione tra i due ragazzi venne osteggiata con ogni mezzo costringendo Vincenzo ad allontanarsi. Parassiti sulle navi Come che sia, nel 1897 Tiberio giunse a Creta, ufficiale medico nel distaccamento italiano di Canea, dove si impegnò per ottenere il miglioramento delle condizioni degli alloggi del personale, infestati dai parassiti. Dopo un periodo di servizio a terra, durante il quale diresse il Gabinetto di batteriologia e igiene dell'ospedale navale di Venezia e poi quello di Piedigrotta a Napoli, nel 1901 riprese il largo verso Zanzibar dove studiò la malaria e il beri-beri prestando la massima attenzione allecondizioni igieniche e sanitarie dell'equipaggio della «Volturno». La distanza però non gli fece dimenticare l'amore per la cugina di Arzano e, nonostante la contrarierà dei genitori, Amalia e Vincenzo finirono per sposarsi comunque, nel 1905: una storia d'amore intensa e breve - Amalia resterà vedova dieci anni dopo - dalla quale nacquero tre figlie: Rosetta, Tommasina e Maria, la madre del nostro «Virgilio». Ma delle muffe e delle sue ricerche il dottor Tiberio non parlò mai con nessuno. «Lunga e difficile è la via della ricerca, ma alla base di tutto c'è l'amore» era la dedica che scrisse dietro una foto della moglie. Nel 1908 l'Italia venne colpita dallo spaventoso terremoto di Messina e Reggio Calabria; dopo la catastrofe, Tiberio fu tra i primi a raggiungere i luoghi del disastro. Con l'unità navale di cui era responsabile riuscì a portare in salvo oltre 2000 persone. Qualche anno dopo, in Libia, dove dirigeva il laboratorio di analisi dell'infermeria di Tobruk, Tiberioebbe l'opportunità di studiare le infezioni paratifiche, una ricerca documentata nella sua pubblicazione Patologia libica e vaccinazioni antitifica, impegno ricompensato con la promozione a maggiore. Magra consolazione per un potenziale premio Nobel. L'Italia stava per essere coinvolta nella prima guerra mondiale quando il dottor Vincenzo Tiberio morì per un infarto a soli 46 anni, il 7 gennaio 1915, a Napoli, nel suo laboratorio dove aveva ripreso le ricerche sulle muffe. Tredici anni dopo la sua morte, Alexander Fleming avrebbe scoperto per puro caso la penicillina. Gli studi di Tiberio rimasero sconosciuti fino agli anni quaranta, fino a quando anche in Italia cominciarono a circolare notizie sull'importanza degli antibiotici. La radio raccontava del miracoloso rimedio regalato all'umanità da Fleming, il farmacista di Sepino ascoltava con attenzione quando sentì fare il nome Tiberio. La notizia aveva dell'incredibile, anche per le figlie del dottor Tiberio che ignoravanototalmente i risultati delle ricerche effettuate dal padre quasi cinquant'anni prima. Il fascicolo degli Annali con la relazione di Tiberio fu ristampato nel 1955 a cura dell'Istituto di igiene dell'Università di Napoli e vari congressi iniziarono a ricordarne la figura, che però è sempre rimasta in ambiti medici molto ristretti. E anche se a Roma, nel quartiere che sorge sulla Collina Fleming, una via ha preso il suo nome, a distanza di 110 anni dalla prima pubblicazione delle sue ricerche, ben pochi sanno chi sia stato Vincenzo Tiberio: un medico italiano che prima di Fleming scoprì il potere terapeutico di alcune muffe.da Il Manifesto
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