L’A.M.I.C.A. di Foggia, che per lungo tempo fu fiore all’occhiello della nostra città e tra le prime (per età, vitalità e prestigio) aziende municipalizzate d’Italia, prima che le fosse dato il sacco, ha voluto – mi è stato più tardi detto, al mio ritorno dall’Etiopia e alla vigilia della mia ripartenza per l’Albania – dedicare al compianto mio fratello Giuseppe la “sala-riunioni” della sua sede. Da buon dirigente di quell’azienda, mio fratello, peraltro socialista e sindacalista, riteneva che l’efficienza di un servizio pubblico dipendesse soprattutto dalla conoscenza e dalla comprensione delle realtà sociali, economiche e ambientali in cui esso deve operare e a tale convinzione si attenne nell’espletamento delle sue funzioni. Un suo studio, fra i primi in Italia e molto accetto e tradotto in pratica attuazione da aziende municipalizzate lombardo-venete del settore, doveva servire – e questo era il suo intendimento – per una perfetta organizzazione nell’espletamento della raccolta differenziata dei rifiuti urbani, nel quadro della politica di un’azienda pubblica, sulla quale non si fosse abbattuta la scure della furia distruttrice della privatizzazione e fosse rimasta al servizio della comunità e non di privati inconfessabili interessi, che, messi alla porta dalle municipalizzazioni, un neo-liberismo selvaggio avrebbe fatto rientrare dalla finestra. Ecco cosa egli scriveva:
La storia della vita sulla Terra è la storia dell’interazione tra gli esseri viventi e la natura circostante. L’ambiente esterno ha avuto una grande importanza nel plasmare la morfologia e il comportamento del regno vegetale e animale. Al contrario, da quando la Terra esiste, gli esseri viventi hanno modificato l’ambiente in misura trascurabile; soltanto durante il breve periodo, che decorre dall’inizio di questo secolo ai giorni nostri, una sola specie – l’uomo – ha acquisito una notevole capacità di mutare la natura del proprio mondo: quell’uomo, che, come ha detto Albert Schweitzer, riesce raramente a ravvisare gli aspetti diabolici delle proprie creazioni (M. Carson, Primavera silenziosa, Milano, Feltrinelli, 1963, pp. 13 ss.). Qualsiasi attività umana, purtroppo, produce rifiuti, in quantità variabili e di diversa composizione: l’immissione di questi rifiuti nell’ambiente è causa di alcune forme di inquinamento. Mentre, infatti, alcuni rifiuti, come l’anidride carbonica, non arrecano danni, molti altri rifiuti alterano il corpo ricevente (aria, mare, suolo) e ne compromettono le qualità. E’ il caso, per esempio, delle sostanze organiche immesse nei fiumi; tali sostanze organiche possono essere degradate e decomposte, ma a spese dell’ossigeno disciolto nell’acqua, per cui i fiumi, dopo l’autodepurazione, risultano impoveriti di ossigeno; più grave è il caso dei rifiuti non degradabili, come i metalli tossici, gli idrocarburi, molti prodotti sintetici, etc., la cui immissione nel suolo, nei fiumi, nel mare e anche nell’atmosfera è fonte di danni a breve e lungo termine. I problemi, quindi, connessi ai servizi di nettezza urbana, sono di fondamentale interesse per la comunità in quanto la loro corretta soluzione si riflette in modo determinante sull’igiene, sul decoro, sull’economia. Purtroppo, è proprio l’aspetto economico che non viene valutato nella sua vera essenza dai cittadini. Sarebbe, invero, utile esaminare tutta la problematica, ma non è questo il fine del nostro studio e quindi affrontiamo solo il tema della raccolta differenziata. Un qualsiasi obiettivo aziendale non può raggiungersi, se non si predispongono le strutture organizzative e non si conoscono le situazioni ambientali di cultura, le tradizioni sociali, le condizioni economiche, in breve la realtà in cui si opera. La raccolta di questi dati rappresenta per noi uno strumento di lavoro, che è frutto, anche, di esperienze aziendali, per raggiungere l’obiettivo della raccolta differenziata, che non può essere fine a se stessa, ma va collegata alla funzione dell’azienda pubblica e cioè alla tutela dell’economicità nell’interesse della collettività. E’ in questo senso che noi intendiamo sviluppare l’argomento, precisando il nostro punto di vista. Tutti sanno che le risorse naturali hanno un limite. Molti studiosi hanno fatto previsioni più o meno catastrofiche sul futuro dell’umanità in considerazione proprio della sempre crescente riduzione delle disponibilità delle risorse. Di fronte a un moltiplicarsi continuo della popolazione si ha, di contro, un patrimonio naturale in agonia con un deterioramento ambientale, che rende problematica anche la semplice attività respiratoria degli esseri viventi. Se è vero, come è vero, che nell’evolversi della civiltà umana non è possibile rinunciare ai benefici derivanti dallo sviluppo civile, è altrettanto vero che abbiamo il dovere di difendere quel patrimonio naturale che non è sostituibile per la sopravvivenza dell’umanità. In questa era della civiltà dei consumi tutto viene trasformato in rifiuti. Basta dare uno sguardo alle discariche di tutti i Comuni per accorgersi che si buttano giornalmente tonnellate di medicinali non utilizzati, di carta, di vetro, di stracci, d’elettrodomestici, etc. Ma cosa vuol dire rifiuto? Vuol dire una cosa che noi rifiutiamo. Ora, noi contestiamo che si possa rifiutare una cosa, proprio come un giovane a scuola non può essere respinto, perché alla scuola non è lecito respingere alcuno. Il problema, nella scuola, è oggi come le persone più deboli possano essere recuperate. Quindi il termine da usare è quello di recuperare. Quindi nonesiste il rifiuto, ma solo esiste qualcosa di cui oggi non sappiamo cosa fare o come utilizzare. Occorre insistere sul termine comune buttare via, perché,in realtà, se noi riflettiamo un po’, ci accorgiamo che tutte le nostre attività, dalla casa all’agricoltura, all’industria, non fanno che trasformare delle materie prime in altri prodotti: questo costituisce l’oggetto della merceologia. In questa trasformazione esiste una coda, che è in realtà un residuo, che diventa rifiuto solo per pigrizia o perché non sappiamo come utilizzarlo dal punto di vista tecnico o scientifico. Diventa rifiuto quando lo rifiutiamo, lo buttiamo nell’acqua, nell’aria e nel terreno, che sono l’acqua, , l’aria e il terreno del vicino e,in senso lato, della collettività. L’ambiente viene deturpato non per ignoranza, ma per egoismo, per un male inteso senso tra ciò che è economico e ciò che non è economico. La stessa parola oggetto del nostro interesse, rifiuto, contiene in sé un preciso riferimento alla stupidità (G. Nebbia, La rifiutologia, nuovo capitolo della merceologia: Shop, V-VI 1972). Abbiamo, quindi, il dovere di recuperare tutti i materiali riutilizzabili per avviarli al riciclaggio e ridurre sempre più il depauperamento delle risorse naturali gravemente compromesse, nell’interesse della nostra stessa sopravvivenza. I rifiuti sono riutilizzabili e, in parte, questa riutilizzazione viene fatta anche attualmente; si pensi alla raccolta della carta straccia, dei metalli, dei rifiuti solidi urbani, etc. Il recupero è attualmente ispirato soltanto al piccolo guadagno da parte di una mano d’opera spesso disoccupata; vi sono, invece, vari motivi per incoraggiare tale recupero, che ha il duplice vantaggio di ridurre l’inquinamento e di ridurre il consumo di materie prime che il nostro Paese spesso deve importare. Questo è vero, per esempio, per la carta, la cui materia prima importiamo con un grave disavanzo per la nostra bilancia commerciale. L’ostacolo alla riutilizzazione di gran parte della carta straccia è costituito dal fatto che essa spesso è distribuita in molte piccole fonti difficilmente raggiungibili, che spesso si tratta di carta che le cartiere non accettano e così via. Però, adatti incentivi possono spingere a recuperare in proporzioni sempre maggiori questi e altri rifiuti. Un esempio è offerto dagli Stati Uniti: in passato, al fine di assicurare agli uffici statali la carta di migliore qualità, era stabilito che la carta usata acquistata dal Governo doveva essere tutta carta nuova non rigenerata. In seguito alla campagna ecologica questa clausola è stata modificata ed è stato stabilito che chi vuol fornire carta al Governo deve fornire un prodotto contenente dal10 al 50 50 % di carta di recupero. In questa maniera è aumentata la richiesta della carta straccia, l’operazione è diventata rimunerativa e quel Paese ci guadagna dal punto di vista economico ed ecologico. Simili considerazioni si potrebbero fare per gli olilubrificanti usati, per le coperture di autoveicoli usate, per i rifiuti organici, per le carcasse di autoveicoli, etc. Nei casi in cui la composizione merceologica del prodotto è tale da rendere difficile la riutilizzazione (presenza nelle leghe di acciaio di metalli indesiderabili nell’acciaio da recuperare, etc.) è possibile trovare degli incentivi per spingere i fabbricanti a produrre merci adatte a essere rimesse in ciclo dopo l’uso (Solid wastes: Environmental Science & Technology, V 1970; D. Clutterbuck, Wealth in waste: New Scientist, 14.1.1971; J. Hanlon, Cyckung the paper round: New Scientist & Science Journal, 29.4.1971; G. Nebbia, Utilizzazione dei rifiuti: Il Giorno, 28.3.1972). Certo, il discorso della economicità del recupero di questi materiali è fondamentale per i fini che si vogliono raggiungere, ma, se lo stesso viene posto in modo semplicistico, per entrate e uscite riferite a una valutazione immediata, allora non avremmo altra scelta e dovremmo immediatamente rinunciare ad ogni iniziativa in quanto il costo dell’operazione di recupero è più elevato del ricavato, sia che la selezione venga condotta a monte, sia che la stessa venga effettuata a valle. A questo punto, è doveroso porci l’interrogativo se l’aria che respiriamo, gli alberi che abbattiamo, indispensabili per gli equilibri naturali, l’acqua che beviamo, possano avere un prezzo di valutazione. Ci siamo limitati a fare solo tre esempi, ma ne potremmo citare moltissimi. Allora, in che consiste il vero problema? Una volta accertato che siamo tutti d’accordo nell’affermare che dobbiamo evitare di compromettere ulteriormente gli equilibri naturali, è necessario predisporre le attività necessarie al raggiungimento di quel fine. Un esempio, per la nostra odierna mentalità non realistica, potrebbe chiarire la nostra tesi. Pensiamo per un momento che in una cittadina vi sia tanta maturità ecologica e tanta educazione civica da spingere gli abitanti a liberarsi dei rifiuti portandoli in cassoni di raccolta, in punti prestabiliti, selezionandoli e mettendo la carta, il vetro, etc., in propri contenitori. E’ evidente che il costo del servizio di raccolta diventerebbe irrisorio rispetto all’attuale. Ma è veramente un esempio assurdo e potrebbe anche raggiungersi un tale risultato con un’opera lenta, sì, ma efficace, di rieducazione dei cittadini? Il problema dell’economicità di ogni nostro servizio è legato, d’altronde, a una collaborazione stretta e diretta dei cittadini con l’azienda, ma questa non può scaturire che da una profonda educazione civica. Il nostro studio, quindi, non può che essere articolato in questa visione, nello spirito della funzione di un’azienda pubblica al servizio della comunità. Inoltre, le iniziative nel campo dei recuperi dei rifiuti rivestonoparticolare interesse quando si tratta di recuperare sostanze utili da prodotti e sottoprodotti agricoli. Un materiale prezioso è rappresentato dal siero di latte, residuo della lavorazione del formaggio, dal quale è possibile recuperare proteine di notevole importanza alimentare (Recovering whey fur feed: Chemical & Enginnering News, 14.6.1971; New way to process whey for proteins: Chemical Week, 5.7.1972). Il sangue prodotto nei macelli è un’altra fonte di materiali biologicamente utili che attualmente vengono buttati via con un aggravamento del problema dello smaltimento dei rifiuti solidi e liquidi. Il recupero di proteine del sangue avrebbe quindi importanza sia dal punto d vista economico che da quello ecologico. Sono, questi, esempi lampanti di possibilità di collaborazione offerte, nel campo della riutilizzazione dei rifiuti, a diversi servizi e aziende municipali. Tutti vorremmo una vita migliore in un ambiente migliore, ma ci rendiamo scarsamente conto che la distruzione dell’ambiente naturale costituisce il pericolo di un suicidio del genere umano (Venezia 18-19.5.1973, Convegno Nazionale di studi sull’ecologia: Atti, Milano, Garzanti, 1974; v. pure P. Rossi, Idee e realtà di oggi, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 247 ss.). Vi è, infatti, una consapevolezza molto limitata della realtà di tale minaccia. Siamo in un’era di specialisti, ciascuno dei quali vede solo il suo particolare problema ed è ignaro o incurante del più vasto quadro in cui esso va collocato; in un’era dominata dall’industria il diritto di guadagnare a qualsiasi costo viene raramente contestato. Quando, di fronte a qualche clamorosa evidenza di danni ecologici, la gente protesta, le viene ammannita qualche mezza verità a mo’ di tranquillante. Dobbiamo far tacere al più presto queste false assicurazioni, questo rivestimento edulcorato di fatti disgustosi. E’ alla popolazione che viene richiesto di assumersi rischi. E’ dunque la popolazione che deve decidere se bisogna andare avanti per l’attuale strada e può farlo soltanto se ha una completa conoscenza dei fatti. Per usare le parole di Edmondo Rostand, il dovere di sopportare ci dà il diritto di sapere (M. Carson, o.c., l.c.). Furono, queste, nei lontani anni ’70, parole profetiche, ma allora ascoltate. Solo dagli inizi di questo terzo millennio sono state disattese. La voluta - in nome di una malintesa difesa dell’autonomia municipale – soppressione di organi di controllo ha consentito a improvvidi amministratori di por mano e floride casse di “municipalizzate” per consentire la realizzazione – a loro (im)peritura memoria – di opere, tanto faraoniche quanto inutili e per dar vita a colossali imprese destinate, fin da primi vagiti, al fallimento. Fu così che il liviano Volturno, che tanto infastidì i combattenti romani a Canne, si mutò in tempesta che tutto travolse. Di raccolta differenziata non poté più parlarsi e città diquella che fu la Magna Grecia vennero soffocate da indifferenziati rifiuti e da gente, cui non valse la protezione di elmi cornuti, a Cortenuova e Montaperti un tempo schiacciata, platealmente irrise.
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