Camera con vista su Regina Coeli: non è un bello spettacolo quello che sta dando il Parlamento in questo scorcio di legislatura, anche se proprio questa sembra l’immagine più appropriata per dare il senso dell’intero ciclo berlusconiano e della sua fine. Non che il Parlamento sia fatto di ladri: la maggior parte non lo sono affatto e le guarentigie parlamentari, ivi compresa l’autorizzazione all’arresto, sono state saggiamente messe lì dal costituente proprio per evitare che si faccia di ogni erba un fascio. Il fatto è che il Parlamento stesso ci è stato rubato: il simbolo stesso di tutte le lotte di democrazia e lo strumento principe della sovranità popolare è stato ridotto a niente e non è in grado nemmeno di liberare il Paese da un governo e da un presidente del consiglio ormai palesemente privi di ogni legittimazione popolare e autorità politica e morale, ai quali anzi fornisce l’artificio che li tiene al potere. La questione del Parlamento èdiventata così centrale nella crisi italiana. Il Parlamento sta nell’occhio del ciclone che da vent’anni sta devastando la vita della Repubblica. Non è il governo, non è la magistratura, non è il Presidente della Repubblica l’istituzione che subisce i maggiori attacchi dei riformatori e che ne è il vero punto di caduta, è il Parlamento. E già lo si vede. Noi non abbiamo più un Parlamento che ci rappresenti, non abbiamo deputati scelti da noi, abbiamo parlamentari che a noi giustamente non sono legati da alcun vincolo di mandato, ma che sono vincolati al governo, alcuni addirittura comprati da lui. E se non c’è più un Parlamento che ci difenda, che si faccia carico dei nostri problemi collettivi, che cerchi di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che bloccano lo sviluppo della nostra vita, che medi tra noi e il governo, che ci faccia da scudo nei confronti dei poteri reali, è chiaro che noi siamo abbandonati ai venti e alle correnti, e che siamo nelle mani di altrisovrani. Noi, i cittadini. E’ per questo che sono continuamente evocate potenze oscure e indiscutibili, si fa riferimento a decisioni remote e impersonali, a giudici severi e inappellabili a cui non si può che prestare obbedienza, e che troncano ogni discussione di priorità politiche e di convenienze sociali, che dettano le manovre e blindano le finanziarie: i Mercati, i Mercati, i Mercati. L’impotenza del Parlamento: questo è oggi il vero costo della politica. Non a caso lo si vuole tagliare; per Berlusconi, come ha detto un giorno, è una spesa inutile, basterebbero sei capigruppo, il di più viene dal Maligno, cioè dalla inavvedutezza dei costituenti. Ma il vero obiettivo della denigrazione e diffamazione della politica non è di togliere soldi ai parlamentari, bensì di togliere soldi alle pensioni, ai servizi sociali, alla scuola, alle politiche di inclusione della donna, alla cassa integrazione, che sono i veri costi non della politica, ma della democrazia. Perciò nelladiscussione sul futuro dell’Italia, dopo il fallimento dell’impresa di Berlusconi, vanno messi al centro la ricostruzione e il rilancio del Parlamento. Questo è il vero oggetto della discussione sulla legge elettorale, sui referendum, sul sistema bipolare, sul maggioritario. Non si può riprendere come se nulla fosse accaduto, non si può continuare tutto ciò che è stato di Berlusconi senza Berlusconi. Non si può dire che "non si può tornare indietro", né si può insistere sulla sciagurata "vocazione maggioritaria" del partito pigliatutto per rendere eterni i governi. L’esperienza è stata allucinante; la prova, non solo per la politica, ma per la cultura, per l’etica sociale, per l’economia, è stata devastante. L’Italia è stata sciupata con lucida determinazione, anno dopo anno, a partire dalle prime riforme elettorali, a partire dai tentativi di mettere sotto controllo la magistratura prima ancora di Tangentopoli, a partire dai primi attacchi al principio della rappresentanza, apartire dalla pretesa, avanzata già da Cossiga, di liquidare l’impianto costituzionale del ’48 per dar luogo a una seconda Repubblica cesarista ed extraparlamentare. Rimodellare un sistema veramente rappresentativo e proporzionale, riportare in Parlamento tutto il pluralismo della società, rilegittimare i partiti come strumenti della comunità politica e costituzionale, è il minimo che è oggi necessario. Quella che dobbiamo fare non è una scelta alchemica tra quel tanto di maggioritario o di proporzionale che dovrebbe esserci nel nuovo sistema elettorale, né se farlo in un solo turno o in due turni; quella che dobbiamo fare è una scelta di civiltà e di rigenerazione politica. Raniero La Valle
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