Le dimensioni della crisi economico-finanziaria sono talmente straordinarie e interdipendenti in tutto il mondo che la polemica politica di queste giornate appare non solo del tutto inadeguata, ma trasmette la sensazione che si tratti di un conflitto da lillipuziani. E che il continuo affannarsi nelle liti sui tagli ai conti pubblici (e l’Iva, le pensioni, gli enti locali e via discutendo) sia un tirare di qua e di là una coperta che si è fatta improvvisamente e drammaticamente più stretta. Certo ci sono gli sprechi, certo ci sono tanti furbi e molti interessi opachi da toccare per un minimo desiderio di equità sociale: ma la nave sgangherata di uno Stato mal gestito da troppi decenni sembra sempre di più una barchetta tra i flutti di un uragano. Mentre si naviga a vista spiando le bizze dei mercati, non sfugge la sensazione di essere comunque alla fine di un ciclo storico e i tanti sacrifici obbligati rientrano piuttosto in unascomposta agitazione sull’oggi, sull’immediato, come se ci si proibisse quasi di aprire la porta sul futuro. Che il prossimo avvenire non sia allegro è del tutto evidente: ma nella "ragione sociale" della politica non può mancare il senso di un progetto di società, di una visione che offra comunque un briciolo di speranza. Questo vale soprattutto per la sinistra, che i sondaggi danno in vantaggio, e che tuttavia appare essersi acquattata per anni nel comodo alibi dell’antiberlusconismo e, al pari degli altri (se non peggio), esser stata colta di sorpresa dalla tempesta economica e di dover approntare alla svelta ricette raffazzonate, non si sa quanto realmente alternative. Eppure, sul terreno della cultura politica, aveva ben chiara e da tempo l’opportunità e il dovere di interrogarsi sulla parabola di coloro che a lungo aveva promosso come esempi positivi e esportabili in Italia. Il silenzio che circonda da noi l’eclissi di "stelle cadenti" come Zapatero oppure Obama è un bruttosegno. Capire il loro fallimento, rendersi conto degli errori e delle sconfitte era una necessità improrogabile per chi li ha propagandati come modelli ed ora si candida a guidare il Paese. E forse comprendere come mai sia deleterio concentrarsi esclusivamente sui "nuovi diritti civili" (come in Spagna) scegliendo di restare indifferenti all’economia è una lezione che parla da sola. Oppure, con la responsabilità della guida della superpotenza, dimostrare ripetute incertezze in politica estera (tenendosi pure Guantanamo) e incapacità di governare la crisi economica interna dimostra un preoccupante deficit di comando che dagli Stati Uniti si riverbera dovunque. Bastava ascoltare il generico balbettìo con cui nei discorsi pubblici il presidente Obama tentava vanamente di rassicurare i mercati da far attribuire, in un onesto confronto, il piglio dello statista a uno come Berlusconi (il che è tutto dire). Certo non è elegante per gli intellettuali e agli osservatori alla moda doverriflettere sui fallimenti di Obama e Zapatero: ma con questa comoda smemoratezza anche la nostra sinistra si condanna a "vincere male", se non a perdere del tutto. D’altra parte la Storia è lì a dimostrare che dalle epocali crisi recessive e dalle improvvise povertà economiche l’uscita finale è sempre, senza eccezioni, verso la destra.Giuseppe Baiocchi-affaritaliani
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