Sul Corriere della Sera di ieri, Ernesto Galli Della Loggia ci ha finalmente illuminato sulle insuperabili incrostazioni che ingessano la politica italiana rendendola drammaticamente ripetitiva ed impotente di fronte alla crisi. Esse sarebbero il risultato del convergere, diciamo così, di opposti, inguaribili corporativismi e di ideologiche ottusità, tutti in ugual modo corresponsabili del baratro in cui sta precipitando il paese. Galli Della Loggia racconta cioè di un «immane blocco sociale conservatore il cui obiettivo è la sopravvivenza e l’immobilità». E chi farebbe parte di questo trasversale esercito di «milioni e milioni di cittadini» capace di ricattare e mettere in scacco i per altro impresentabili detentori del potere politico? L’elenco, lunghissimo, stringe insieme evasori fiscali, ceti professionali organizzati intorno ai rispettivi ordini, alti burocrati dello Stato, imprenditori che operano in nero e - udite udite - dipendentipubblici«sindacalizzati» (coloro ai quali - per intenderci - sono stati bloccati contratti, aumenti di stipendio e indennità di fine rapporto), i «milioni di precari organizzati», nonché «i nostalgici della contrattazione collettiva sempre e comunque». E poi, «quanti nel loro territorio non vogliono una linea Tav, una centrale termica, nucleare o che altro». E ancora - giusto per non dimenticare nessuno dei segmenti che compongono questo bizzarro groviglio interclassista stolidamente impegnato a congiurare contro le sorti dell’Italia - «i patiti delle feste nazionali», cioè quanti si oppongono alla rimozione dei simboli fondanti dell’unità nazionale e della Costituzione: la Repubblica, il lavoro, l’antifascismo. Tutti costoro, secondo Galli Della Loggia, formano il «macigno che ci schiaccia e oscura il nostro futuro». Tutti, indistintamente, «hanno costruito la propria esistenza sfruttando rendite di posizione, contingenze favorevoli irripetibili, trincerandosi entro ben muniti fortinicorporativi». Sì, proprio tutti: giovani senza lavoro e senza futuro, lavoratori ai quali si scippano lavoro, contratto e diritti, comunità che difendono i propri territori dallo sbancamento ambientale, messi insieme, senza pudore, ai lestofanti che hanno rubato, sperperato, corrotto, evaso e che potranno impunemente continuare a farlo, grazie alla perfetta complicità e copertura politica di cui possono godere. Galli Della Loggia allude ad un’Italia che avrebbe vissuto (tutta quanta) sopra i propri mezzi, e che oggi continuerebbe a vivere spensieratamente, inconscia di trovarsi assediata in un «disperato Forte Alamo». Ma Galli Della Loggia avrà poi letto la manovra del governo? E se lo ha fatto, non ne ha colto l’indecente segno di classe? E se lo ha colto, perché non dice su quali soggetti sociali si dovrebbe intervenire per rendere quella manovra realmente giusta, credibile ed efficace? Perché Galli Della Loggia non dice, con chiarezza, quali misure potrebbero davverocombattere l’aggressione della speculazione finanziaria e, nello stesso tempo, produrre una politica di investimenti sociali capace di favorire la rinascita di questo paese stremato? No, Galli della Loggia non lo fa. Lui le cose le guarda dall’alto, da dove devono sembrargli più piatte. Lui è di quelli che affermano perentoriamente che «è tutto un marciume» ma, in fin dei conti, quando si tratta di tirare le somme, guardano sempre in basso, alla base della piramide, dove è pù facile presentare e riscuotere il conto. E colpire duro, ancora più duro. E’ questa l’invocazione, neppure troppo in filigrana, che si ricava dall’editorialista del Corriere. Al quale va ricordato che davvero disperati, dentro Forte Alamo, ci sono soltanto lavoratori a reddito fisso, pensionati, disoccupati, precari (giovani e non più giovani): quelli che pagano da sempre. E per tutti. Dino Greco
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