Spiazza tutti Marco Revelli. Una delle voci più autorevoli del pensiero critico a sinistra ha aperto una falla. L’articolo a sua firma apparso sul manifesto due giorni fa riporta alla mente scenari già vissuti all’epoca del governo Dini. Anche allora la sinistra si trovò dinanzi al dilemma, molto più che metaforico, di “baciare il rospo”. Sebbene di acqua sotto i ponti ne sia passata molta, le analogie con quanto dice oggi Revelli non sono trascurabili. «Politicamente mi rendo conto che al suo governo (di Monti, ndr) non ci sono alternative. Che il suo ingresso a Palazzo Chigi ha il senso di un’ultima chiamata, oltre la quale non c’è un’altra soluzione poitica possibile, ma solo il vuoto in cui tutti, nessuno escluso, finirebbero per schiantarsi (l’insolvenza dello Stato, la sospensione del pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici, il blocco del credito bancario, la paralisi del sistema produttivo, da cui una astrattamente desiderabilecampagna elettorale non ci avrebbe messo al sicuro, anzi...). Non so se la nascita del suo governo sarà sufficiente a metterci al riparo, almeno temporaneamente, dalla tempesta che ci infuria intorno. Ma so che ne è la condizione necessaria». E’ un umore che serpeggia negli intellettuali di sinistra. Anche Giacomo Marramao, ospite su Rainews nella sera delle dimissioni di Berlusconi, si era spinto fino a giudicare il governo Monti una necessità improrogabile e ogni altra alternativa alle misure montiane di riduzione dello spread come impraticabile. «Certe teorie che circolano nella sinistra radicale sul default noon si reggono in piedi». L’impressione è quella di una gauche incapace di sfornare un’alternativa in casa propria e costretta, suo malgrado, a subire l’iniziativa altrui. La questione non è tanto quella che verte sull’opportunità o meno delle elezioni o sull’assenza o meno di alternative nello scenario immediato di questo parlamento - sulle quali si può politicamentediscutere. Il vero problema è l’assunzione della tecnocrazia, dell’idea che possa esserci una tecnica di fronte alle cui scelte la politica non abbia alcuna possibilità di appello. L’idea che possa esserci un governo politicamente neutro, espressione diretta di una ragione scientifica, al di sopra delle opinioni e delle parti. «Lasciatemi festeggiare per la caduta di Berlusconi», dice lo storico Angelo d’Orsi, «il cambiamento di stile non può essere sottovalutato». Nessun dubbio sul governo Monti? «Io dico che non si deve sottovalutare la caduta di Berlusconi.Finalmente potremo andare all’estero senza farci sputare in faccia. E poi credo che in questa situazione andare alle elezioni sarebbe stato un rischio, non solo per la sinistra, che avrebbe perso di nuovo con questa legge elettorale, ma anche perché l’economia capitalistica globalizzata avrebbe provocato conseguenze assai peggiori di quelle attuali. Ciò detto, in questo governo, che sostanzialmente è un governo di centrodestra,ci sono anche personalità di valore. In questa situazione era la cosa meno peggiore che si potesse fare. D’ora in avanti, però, comincia la sfida di elaborare un’alternativa sistemica. Ma sulla base del principio di realtà, ripeto, questo governo è la cosa meno peggore».». Altri, come Mario Tronti prendono tempo. «Scriverò nei prossimi giorni». Altri ancora, invece, prorompono come un fiume in piena. Moni Ovadia, per esempio, non ci crede alla storia della tecnocrazia. «Monti può far tornare temporaneamente a galla l’Italia, ma il vero problema è che il sistema non tiene. La situazione è complessa, d’accordo, ma bersi le frottole che ci raccontano, questo no. O si cambia l’assetto o siamo punto e daccapo. Questo capitalismo non tiene. Non credo affatto che il governo Monti sia l’unica soluzione possibile, è solo una soluzione tampone. Mi dà le vertigini vedere un primo ministro pacato, un borghese per bene che espone il suo programma. Ma dopo le vertigini mi vengono i dubbi. Se midicono che la riforma Gelmini era giusta o che bisogna tornare al nucleare, allora no, c’è qualcosa che non funziona. Non c’è tecnocrate che tenga. Monti farà qualche operazione nella speranza che lo spread si abbassi. E alla prossima crisi? Sono le regole che devono essere cambiate. Questo capitalismo è fradicio. Nel momento in cui non ha più avversari mostra il suo lato peggiore. Dicevano che era tutta colpa dei comunisti cattivi e dei sovietici. Ora non ci sono più. L’alibi è caduto». Ci sono economisti che ritengono praticabili altre vie, dalla ricontrattazione del debito al default. «Le alternative ci sono, ma questa Europa è governata dal centrodestra. Non è che Merkel e Sarkozy siano neutri». Le scelte della Bce di non comprare titoli pubblici degli Stati componenti e di prestare denaro alle banche a tassi agevolati sono scelte politiche. Dov’è l’ineluttabililità? «Sono completamente d’accordo. Sono operazioni politiche. La politica d’emergenza non è una situazione lasciata alcaso. Nel nome dell’emergenza puoi prendere provvedimenti senza incontrare resistenze. Tagliare le pensioni non è una necessità tecnica, è una scelta politica. E poi, va bene preoccuparsi del debito, ma non l’hanno fatto mica i lavoratori o gli studenti. Il debito è risultato di una certa politica e dovrebbero risponderne i responsabili. Chi ha messo in giro i titoli tossici e i subprimes? Certo, non i lavoratori. Ma o questo discorso passa in tutta Europa o o non se ne fa niente. Anche le sinistre riformiste non hanno il coraggio e la forza di pensare all’alternativa. Il Pd non ha ancora capito cosa fare da grande. Al suo interno ci sono persone lucide e altre che pensano solo ad andare al centro. Semmai qui il problema è di ricostruire la sinistra». Già, la sinistra. «Non ha ancora trovato un linguaggio innovativo, non intercetta i nuovi movimenti che vanno avanti per conto loro. C’è un cambio epocale e bisognerebbe davvero studiare molto per intepretarlo. Lo slogan preferito daLenin era “compagni, studiate, studiate, studiate ancora”. La sinistra, sia quella riformista sia quella radicale, non ha capito niente della televisione, niente della Rete, niente del fenomeno cinese». Eppure, il vanto dei comunisti, una volta, era l’analisi delle strutture profonde della società. «Non è che manchino gli studiosi seri. Potrei citare Luciano Gallino, Zygmunt Bauman, Naomi Klein, Chomsky. Il problema è come trasferire queste analisi nella proposta politica della sinistra. Siamo a metà del guado. Bisogna cominciare a pensare a come cambiare il sistema-. Tonino Bucci
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