La Puglia punta sui rifiuti. E Marcegaglia ci guadagna
 











-Coltivare monnezza». Questo il titolo dell’inchiesta sul sistema di gestione dei rifiuti in Puglia, di cui Liberazione dà notizia in anteprima, che sarà pubblicata sul numero di dicembre del mensile "Altreconomia" a firma di Luca Martinelli, autore del libro Le conseguenze del cemento (ed. Altreconomia, 2011). Un’inchiesta che non è stata scritta in un momento qualsiasi, ma in occasione della Settimana europea per la riduzione dei rifiuti iniziata il 19 novembre e che si concluderà domani. -La Puglia- ci spiega l’autore dell’inchiesta che abbiamo incontrato ieri a Roma «ha scelto di "investire" sul ciclo dei rifiuti, non per ridurli ma per bruciarli-. Sono i numeri a parlar chiaro. In Puglia la raccolta differenziata è ferma ben al di sotto del 20% - per la precisione, al 18,01% - ma sono quasi stati ultimati i lavori per la realizzazione di ben sei impianti che trasformeranno i rifiuti solidi urbani in combustibile da rifiuti. Il famoso Cdr,altrimenti noto con il nome di "ecoballe". Ebbene, «tutti questi impianti» ci spiega Martinelli «che saranno in grado di trattare quasi 900mila tonnellate di rifiuti, trasformati in circa 400mila tonnellate di Cdr, sono stati realizzati da un’unica impresa, la Co.ge.am.». Andando a spulciare tra i partner del Consorzio stabile gestioni ambientali, gruppo con sede a Massafra (Taranto) e che ha come slogan «Il rifiuto diventa risorsa», troviamo al fianco della Cisa Spa (che detiene la quota del 48%) la Marcegaglia Spa con il 51% delle quote. Se a questo dato aggiungiamo che l’unico inceneritore attivo in Puglia adatto a bruciare i rifiuti speciali - quali sono i Cdr, segnalati con codice Cer 191210 - che usciranno dai sei impianti Co.ge.am. è quello di Massafra, gestito sempre da Cisa Spa e Appia Energy, società del gruppo Marcegaglia, ecco che emerge come, in Puglia, il nome di Emma Marcegaglia giochi un ruolo fondamentale nella partita dei rifiuti. Un ruolo lautamente retribuito consoldi pubblici, come dimostrano i 15 milioni di euro di contributo che, spiega Martinelli, «stanno servendo per costruire un altro inceneritore, stavolta marca Eta Spa, sempre gruppo Marcegaglia, nella campagna tra Manfredonia e Cerignola (Foggia), letteralmente in mezzo ai campi di carciofi, dove verranno bruciate altre 98 mila tonnellate di Cdr». Se quindi sommiamo alle 25mila tonnellate di Cdr che saranno incenerite nell’impianto di Massafra le 98mila che finiranno in quello di Manfredonia-Cerignola, si comprende come gran parte delle 400mila tonnellate di Cdr che usciranno dai sei nuovi impianti "partecipati" Marcegaglia non avrebbero possibilità di essere "termovalorizzate". Ma la soluzione, in Puglia, c’è e si chiama cementifici. «O meglio, co-inceneritori, secondo la definizione di legge». Ed è in questi "coinceneritori" che, come ci spiega Martinelli «il Cdr prende il posto del carbone o del pet-coke». Questo già avviene nel cementificio Buzzi Unicem di Barletta. Questo avverrànel cementificio Cementir - gruppo Caltagirone - di Taranto, la cui trasformazione per renderlo in grado di bruciare rifiuti è in corso «anche grazie a fondi della Banca europea d’investimenti». Cioè, (altri) soldi pubblici visto che la Banca europea per gli investimenti è di proprietà direttamente dei 27 paesi membri dell’Unione europea ed avrebbe come propria mission la concessione di prestiti a un basso tasso di interesse «volti a migliorare» si legge sul sito dell’Unione europea «le infrastrutture, l’approvvigionamento energetico o la sostenibilità ambientale sia all’interno dell’Ue che nelle zone limitrofe o nei paesi in via di sviluppo». L’inchiesta di "Altreconomia" mette così a nudo il sistema Puglia in tema di gestione dei rifiuti. Un sistema «frutto di una gestione commissariale iniziata nel 1994 e funzionante solo se i cittadini pugliesi continuano a produrre rifiuti». Un esempio? «Conversano e Mola di Bari, due dei 21 comuni del bacino BA5. Due dei 21 comuni obbligati "perlegge" a conferire a Co.ge.am. almeno 470 tonnellate di rifiuti al giorno». Il tutto alla cifra di 125,76 euro a tonnellata, 21,5 milioni di euro l’anno.  Daniele Nalbone









   
 



 
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