Il Pdl è alle cozze
 











Ministro Alfano

C’erano una volta Milano e Palermo, casse di risonanza per il verbo forzista, granai inesauribili di voti per il partito berlusconiano, capitali del Nord e del Sud a simboleggiare un potere smisurato che, come quello napoleonico, si estendeva da un capo all’altro della Penisola, dalle Alpi al Mediterraneo. Ed ecco, ora, cosa succede in questo gelido inverno del Cavaliere. A Milano, al termine della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, i notabili cittadini assistono allibiti a una scena che ha dell’incredibile. Il governatore Roberto Formigoni, il Celeste, capo indiscusso del Pdl lombardo e ciellino doc, prova a farsi accompagnare all’uscita, davanti alle telecamere, dall’arcivescovo della città, il cardinale Angelo Scola, suo amico da sempre, nato a Lecco come lui e tra i fondatori di Comunione e liberazione.
Ma don Scola, come lo chiamano ancora nel movimento fondato da don Giussani, abile come un politico di razza, non ha nessunaintenzione di farsi riprendere in compagnia di Formigoni, in disgrazia per i continui scandali nel consiglio regionale lombardo. E con uno scatto da giaguaro si smarca dall’abbraccio, cambia direzione lasciando il governatore in solitudine. Mille chilometri più a Sud, nella Palermo governata da più di un decennio dai berluscones nelle loro varie reincarnazioni (Forza Italia prima, Pdl poi), si tiene un vertice politico davvero bizzarro: quello tra Gianfranco Miccichè, possibile candidato sindaco per Palazzo delle Aquile, e un partito suo potenziale alleato.
Solo che Miccichè, tra i forzisti della primissima ora, artefice dello storico cappotto contro la sinistra nel 2001 (quando il centrodestra in Sicilia conquistò 61 collegi a zero), non è più il leader del Pdl, è uscito dal partito e si è messo in proprio con Grande Sud. E di fronte a lui, a rappresentare il Pdl, si siedono cinque coordinatori provinciali, con cinque linee e cinque idee diverse. Conclusione della riunione:Miccichè si candiderà a sindaco probabilmente da solo. E il Pdl, nella roccaforte palermitana in cui vivono il segretario Angelino Alfano e il presidente del Senato Renato Schifani, rischia di non arrivare neppure al ballottaggio. "Non esistono più", commenta Miccichè. "Mi toccherà sostituirli".
Le elezioni amministrative per i berlusconiani sono una débâcle annunciata. All’improvviso nessuno vuole più allearsi con il partito azzurro. A Como e a Monza la Lega mollerà i berlusconiani e correrà da sola, per non parlare di Verona, dove il sindaco leghista uscente Flavio Tosi andando alle urne con una sua lista civica potrebbe polverizzare i voti del Pdl. Ma anche nelle regioni del Sud, per esempio a Lecce, Brindisi e Taranto, l’isolamento dei berlusconiani è totale, ovunque il Terzo polo di Pier Ferdinando Casini rifiuta di allearsi con un partito dato per spacciato. Nel quartier generale di via dell’Umiltà nessuno può giurare davvero che il Cavaliere parteciperà alla campagnaelettorale. E le amministrative della primavera 2012 potrebbero trasformarsi in quello che fu il voto nelle grandi città nel 1993 per la Dc di Mino Martinazzoli: il rompete le righe, lo scioglimento del partito.
Quel che resta del Pdl lo si è visto nell’ultimo fine settimana. Quando dal primo partito italiano (almeno per ora) sono arrivati attacchi alzo zero contro la memoria dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, scomparso poche ore prima. Il silenzio di Silvio Berlusconi. L’assenza dei suoi uomini ai funerali. L’uscita dall’aula nei consigli comunali di Roma e di Bologna dei rappresentanti del Pdl al momento delle commemorazioni ufficiali. E i titoli del "Giornale" contro Scalfaro, considerato "il peggior presidente", "un moralista spregiudicato". Una sollevazione contro un ex capo dello Stato, fuori dalla politica attiva da molto tempo e per di più defunto, così plateale da apparire sospetta: da far immaginare che più che del passato si volesse parlare delpresente. Si scrive Scalfaro, ma si pensa a Giorgio Napolitano. I due presidenti accomunati dall’aver convinto Berlusconi a sloggiare da Palazzo Chigi, sia pure con metodi diversi di persuasione e in una situazione politica e internazionale profondamente mutata. Ma attaccare il presidente in carica, Re Giorgio, non si può, Arcore non vuole. Meglio prendersela con Scalfaro che non può più difendersi, e pazienza se lo stile non è esattamente modello Westminster. Né il coraggio.
Il fattore Quirinale spacca il partito, diviso tra resistenza e resa all’esperimento Monti. Come si è visto in occasione della manifestazione convocata per sabato 4 febbraio per l’esultanza del "Giornale": "In piazza per Silvio. Il Pdl pronto a portare 20 mila persone all’esterno del tribunale di Milano", chiama alle armi il quotidiano di Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti il 31 gennaio. "Lì si deciderà il futuro dell’Italia", spiega l’editoriale in prima. E invece, in poche ore, da Roma arriva ilcontrordine: la marcia su Milano non si farà, il popolo di Silvio può restare a casa, quanto al futuro dell’Italia, beh, sarà per un’altra volta. "Per forza", spiega un deputato del Pdl: "Non sarebbe stata una manifestazione del Pdl a difesa di Berlusconi, ma di Denis Verdini contro Alfano". La piazza pro-Silvio si sarebbe rapidamente tramutata in un girotondo degli ultras berlusconiani, chiamato a urlare il suo dissenso contro il segretario del Pdl, troppo remissivo con il governo Monti. Magari ricopiando il grido di Nanni Moretti, indirizzato esattamente dieci anni fa in piazza Navona contro i capi del centrosinistra: "Con questi dirigenti non vinceremo mai (più)".
"Un qualche scollamento lo vedo anch’io", ammette il vicecapogrupo alla Camera Osvaldo Napoli. Un eufemismo per dire che tra Alfano e il coordinatore organizzativo siamo alla resa dei conti. Con il duro Verdini deciso a far valere il suo potere nel partito cavalcando il malcontento della base che non approva l’appoggioa Monti e che reclama la fine del governo. E Alfano? Da che parte sta il buon Angelino? Sul segretario del Pdl si raccolgono nel suo partito commenti acidi e racconti terribili. Come quello sulla lite furibonda con Mario Pepe, capo dei peones della Camera, davanti alla buvette di Montecitorio. "Non sei andato a votare in giunta per dire no all’uso delle intercettazioni a carico di Saverio Romano. Non ti permettere mai più", l’affronta gelido Alfano. "Non ti permettere tu, torna a fare il segretario di Berlusconi!", replica il piccolo Pepe di fronte a un esterrefatto Fabrizio Cicchitto.
Alfano non mette mai piede nella sede del partito di via dell’Umiltà, malignano gli uomini di Verdini. "Uno per cui la politica è fare un bel discorso e via", accusano. "Uno che pensa solo a se stesso. Uno sfaticato". E perfino tra i fedelissimi c’è chi si lamenta: Alfano è troppo distaccato, non trova il tempo di parlare con nessuno, non lavora a costruirsi una rete, non difende i suoi... "Macchè,Angelino lavora diciotto ore al giorno", lo difende Napoli. "Il problema è che sosteniamo Monti, ma diamo l’impressione di masticare amaro ogni volta che il governo fa qualcosa. Di questo passo la nostra gente non saprà più cos’è, questo Pdl". A confermarlo c’è lo Spazio Azzurro, lo sfogatoio on line dei militanti. "Tredici milioni di italiani hanno votato per il Pdl per impedire di essere governati dalla sinistra e si ritrovano con un governo voluto da un comunista. Fine del Pdl", scrive Pasquale Relvini. "Datemi un solo motivo per continuare a votare Pdl", strepita Zanvit. E Fabiana: "Il Pdl sta implodendo, se alle amministrative ci sarà la catastrofe ci sarà bisogno di un partito vero".
Il paradosso è che a pensarla così è lo stesso Alfano. Nel Pdl cominciano a sospettare che tanta arrendevolezza nasconda una strategia. Troppo intelligente, il giovane Angelino, per pensare di poter guidare un Pdl così ridotto da qualche parte. Meglio, forse, lasciarlo andare a sbattere contro unoscoglio. E poi darsi da fare per costruire un nuovo partito di centro con Pier Ferdinando Casini. Un auto-affondamento, per chiudere con la stagione berlusconiana e salvare il suo futuro politico. Con il pericolo, però, di far fare alla nave Pdl la fine della Concordia e di restare nella memoria come il capitano Schettino del centrodestra. Berlusconi, lui, la nave l’ha già abbandonata da tempo. "Ci sentiamo una volta a settimana e non parliamo mai di politica", racconta Miccichè: "Silvio è contento di non aver distrutto il partito da lui fondato con la sua uscita da Palazzo Chigi, ma ora a salvarlo tocca agli altri. Se ne sono capaci. Marco Damilano-espresso










   
 



 
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