Secondo l’Istat in marzo il tasso di disoccupazione ha toccato il 9,8%, con un aumento dello 0,2% su febbraio e dell’1,7% su marzo 2011. Il numero dei disoccupati, è salito a 2,506 milioni, con un aumento (66 mila unità) del 2,7% rispetto a febbraio. In un anno la crescita dei senza lavoro è stata del 23,4%, con 476 mila persone che si sono ritrovate per strada senza distinzioni tra uomini e donne. Preoccupante è il dato dei giovani (15-24 anni) senza lavoro. Sono il 35,9%, in aumento del 2% su febbraio. La crisi economica in corso è stata aggravata dalla misure recessive messe in atto dal governo della Goldman Sachs che con la scusa di dover mettere sotto controllo la dinamica dei conti pubblici, in realtà ha varato un’austerità che è andata a colpire nelle tasche degli italiani facendo crollare la domanda interna e creando le premesse per un peggioramento della situazione. Se i cittadini hanno meno soldi da spendere la domanda interna scende,le imprese producono di meno, acquistano meno prodotti di base o materie prime da altre e aziende, e tutte quante infine licenziano o addirittura chiudono. La spiegazione della recessione in atto sta tutta in questi meccanismi che sono la base stessa dell’economia politica e che i professori catto-tecnocratici della Bocconi sembrano voler ignorare. L’impostazione keynesiana, finanziamenti di opere infrastrutturali pubbliche in disavanzo è sempre stata negli ultimi settanta anni lo strumento principe per rimettere in moto un’economia finita in recessione o addirittura in depressione, come nel periodo successivo alla crisi globale provocata dal crollo di Wall Street del1929. E di conseguenza per favorire l’occupazione. Ma è una politica economica che non piace ai tecnocrati alla guida della Bce e della Commissione europea, e tantomeno ai vari capi di governo, tipo Monti in Italia e Papademos in Grecia, guarda caso due ex Goldman Sachs, per i quali il tasto da toccare resta ora e semprequello del Libero Mercato, con la libertà di chiudere e le aziende in patria e licenziare per andare a produrre all’estero dove il costo del lavoro è minore. O in alternativa, licenziare i lavoratori anziani e più costosi e sostituirli con altri più giovani da poter pagare molto meno. E’ una deriva che Monti e il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, intendono cavalcare con decisione con la scusa che si tratta di una tendenza inarrestabile del Mercato che si sta realizzando ovunque. Quello che a Palazzo Chigi sembrano però voler ignorare è che il mutamento in atto ha messo in moto una guerra tra poveri nella quale la conquista e il mantenimento di un posto di lavoro si giocano sull’accettazione di contratti di lavoro capestro a livello aziendale che andranno progressivamente a sostituire quelli nazionali, con l’incidenza sempre maggiore in busta paga degli straordinari e dei premi di produzione. A questo si aggiungerà poi l’estromissione di fatto dei sindacati dalle aziende el’instaurarsi di rapporti diretti tra dipendenti e impresa. Un modello di tipo anglosassone nel quale ognuno dovrà pensare a se stesso e verrà meno ogni solidarietà di categoria o di classe. Rimane così altissimo, pari al 36,7% del totale dei disoccupati, il numero di coloro che, ormai scoraggiati dal poterlo trovare, hanno rinunciato da tempo a cercare un lavoro che è diventata una merce sempre più rara. E non è un gioco di parole perché nell’accezione dell’odierno capitalismo anche il lavoro è stato ridotto a merce e deve poter essere spostato a piacimento come le materie prime, i prodotti finiti e i capitali. Cresce quindi tra i politici la preoccupazione che questa disoccupazione e la collegata rabbia sociale possano trasformarsi in autentiche rivolte di piazza. Per l’ex ministro del lavoro, l’ex socialista Maurizio Sacconi, la disoccupazione in Italia ha raggiunto una dimensione che mette oggettivamente a rischio la coesione sociale che aveva retto nonostante tutto durante gliultimi quattro anni difficili. Quelli del governo Berlusconi. La riforma Fornero, ha sostenuto Sacconi, deve essere quindi migliorata soprattutto in termini di propensione ad assumere. I dati dell’Istat, ha osservato, sembrano indicare qualcosa di più grave di una recessione, una vera e propria depressione dell’economia e della società nelle quali tutto si rattrappisce. Analisi corretta rovinata purtroppo dalle conclusioni. Per Sacconi infatti ci vuole “una risposta ben più forte nel segno della liberazione della vitalità dai tanti lacci e lacciuoli che la inibiscono e ciò vale anche per la regolazione del lavoro”. Insomma, è l’idea che si cerca di far passare, se si vuole che le imprese assumano, esse devono essere messe nella possibilità di licenziare. Fulvio Fammoni della Cgil ha parlato di “un vero e proprio dramma sociale che questi numeri non raccontano a pieno”. Per il sindacato infatti il dato reale della disoccupazione è molto più alto e congli scoraggiati sale attorno al 13%, quindi ben al di sopra della media europea.Filippo Ghira
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