Sono passati meno di tre anni dall’ultimo congresso del Pd, che nel 2009 vide il trionfo di Pier Luigi Bersani, e la geografia interna al maggiore partito italiano è già tutta cambiata: aree, correnti, posizioni politiche, amicizie e inimicizie si sono modificate profondamente, anche (ma non solo) per motivi generazionali. Proviamo allora a offrire ai nostri lettori un quadro aggiornato e, per quanto possibile, completo. Al centro della galassia, ovviamente, ci mettiamo lo stesso Bersani. Il nocciolo duro dei fedelissimi del segretario, detto anche "tortellino magico" o "bersaniani ortodossi", è ben delimitato. Il braccio destro del segretario è il coordinatore della segreteria Maurizio Migliavacca, l’uomo cui tocca risolvere i problemi politici, quelli più delicati, interni al partito. Gli altri fedelissimi di Bersani sono il suo portavoce Stefano di Traglia, il responsabile organizzazione in segreteria Nico Stumpo e Davide Zoggia,responsabile enti locali. Poi, appena fuori da questo giro ristretto, il cosiddetto ’patto di sindacato’, costituito dai big che sono storicamente alla guida del centrosinistra. Alleati, grazie a questo patto, a Bersani ci sono dunque anche Dario Franceschini, suo avversario nell’ultimo congresso, e Rosy Bindi presidente dell’Assemblea del partito, Franceschini, capogruppo alla camera, fa ormai pienamente parte della maggioranza del partito. I toni aspri con cui affrontò la campagna delle primarie sono ormai un lontano ricordo. Grazie al ’patto di sindacato’ Franceschini ha da poco ottenuto il ruolo di Garante della Privacy per uno dei suoi fedelissimi, Antonello Soro. In piena sintonia con il segretario anche il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, che lunedì 16 luglio lancerà ufficialmente la sua candidatura a sindaco di Roma. All’interno del ’patto di sindacato’, ma con una posizione più autonoma è Enrico Letta, vice segretario del Pd: lui onfatti si èprofilato in questi mesi come l’anima ’montiana’ del partito. I suoi uomini in segreteria, come per esempio Marco Meloni, responsabile ricerca ed Università, hanno spesso duellato con chi all’interno del partito si è mostrato invece critico verso il premier (come Stefano Fassina, responsabile dell’economia). Del resto proprio sul giudizio nei confronti del governo Monti, corre la frattura più evidente all’interno del Pd. I ’montiani’ vedrebbero di buon occhio un governo guidato da Monti anche per la prossima legislatura e coincidono in parte con i "MoDem", l’area di Veltroni. Non è un mistero che l’ex segretario del Pd e molti dirigenti a lui vicini ritengano che solo il prestigio internazionale e il peso in Europa dell’attuale premier possano aiutare l’Italia ad uscire dalla crisi. Tra gli estremisti montiani, c’è ad esempio il senatore Enrico Morando, mente economica del discorso fondativo del Pd al Lingotto, che ha scritto un editoriale dal titolo inequivocabile «Pd eMonti: continuità continuità continuità». Di questo gruppo fanno parte anche alcuni ex rutelliani, come l’ex ministro Paolo Gentiloni. In contrasto aperto con questa corrente filo Monti c’è l’area dei cosiddetti Giovani Turchi. Connotati anche generazionalmente sono il gruppo più coeso e combattivo all’interno del partito. Strutturati sul territorio, grazie ad un lavoro certosino e costante fatto di maratone lungo la penisola, sono pronti all’assalto al cuore del partito. La critica nei confronti del ’patto di sindacato’ e di molti dei loro padrini politici si è fatta mano mano sempre più esplicita. Apertamente in conflitto con il presidente Bindi (che li vede come il fumo negli occhi), riconoscono la leadership di Bersani, ma non sono assolutamente disposti ad accettare una riedizione dei "governi Prodi senza Prodi". Tra di loro, il giovane Matteo Orfini (da poco uscito in libreria con il suo saggio-manifesto ’Con le nostre parole - sinistra, democrazia, uguaglianza’) eStefano Fassina, oltre ad Andrea Orlando, responsabile giustizia in segreteria. Contano sull’appoggio di alcuni importanti segretari regionali e il loro vero obiettivo è il congresso dell’autunno del 2013. Si diceva di Fassina: la igura del responsabile economia sta diventando centrale nelle connotazioni e nelle alleanze all’interno del partito. Le sue esternazioni sui giornali hanno spesso costretto Bersani e i suoi uomini a correre ai ripari, per evitare strappi eccessivi con le altre anime del partito, tra cui proprio quella del suo vice segretario Enrico Letta. In molti sono pronti a scommettere che contro l’ipotesi di uno Stefano Fassina ministro dell’economia o del welfare, si alzerebbe un vero e proprio fuoco di sbarramento proprio dai lettiani e dai ’filo Monti’ in genere. Molto diversi dai ’giovani turchi’ perché in netta contrapposizione con i bersaniani ci sono i ’rottamator’, ovvero il gruppo che fa riferimento a Matteo Renzi. La macchina del sindaco di Firenze,che scalda i motori per una gara – le primarie - che rischia di non esserci, è ormai collaudata. Oltre a Giorgio Gori, a capo dell’organizzazione, gli uomini più vicini al sindaco sono Matteo Richetti, presidente del consiglio regionale dell’Emilia Romagna, Davide Farone, candidato alle primarie per il ruolo di Sindaco di Palermo, e Luigi De Siervo, direttore Commerciale della Rai, e Giuliano da Empoli, capo del think thank renziano. Tra gli amministratori locali, invece, spunta l’appoggio del Sindaco di Salerno Vincenzo de Luca. Dal clan di Renzi precisano che per ora – anche per paura di subire pressioni - molti amministratori locali preferiscono rimanere nascosti per annunciare il loro sostegno al sindaco nel momento più opportuno. Tra i pochi parlamentari con cui il gruppo è in contiguità ci sono Andrea Sarubbi e Roberto Giachetti. Ottimi i rapporti anche con l’ex Ministro Arturo Parisi e alcuni uomini del suo staff. A completare la galassia democratica mancanoaltri pianeti, come quello che potremmo definire ’cattodem’ e i sempre presenti prodiani. E’ la famiglia che proviene dal Partito popolare, che peraltro vive un momento molto delicato della sua storia. Alcuni storici rappresentanti come PierLuigi Castagnetti e Franco Marini stanno infatti per concludere la loro esperienza parlamentare, mentre per altri, come Maria Pia Garavaglia, la strada della rielezione sembra in salita. Il disagio dell’anima cattolica del Pd, che dall’avvento della segreteria Bersani ha perso molti esponenti (Lusetti, Carra, Rutelli, oltre alla Binetti) è testimoniato anche dalla paventata ipotesi di Giuseppe Fioroni di candidarsi alle primarie, in contrasto con l’idea bersaniana di aprire alle unioni civili per gli omosessuali. Ostili al sindaco di Firenze nonostante la comune matrice cattolica, gli ex popolari, schiacciati dalla maggioranza ex diessina, sembrano alla ricerca della "nuova generazione di politici cattolici" di cui spesso le gerarchieecclesiastiche chiedono la nascita. Un discorso a parte merita la pattuglia dei prodiani. Capitanati dal professor Arturo Parisi, viaggiano ormai in ordine sparso. In conflitto permanente con la maggioranza di Bersani, senza aver mai superato i dissapori con Walter Veltroni, ritenuto il colpevole del crollo del governo Prodi nel 2006, isolati nel partito, tranne qualche eccezione ’giovane’ come Fausto Recchia, rischiano l’estinzione nelle prossime liste elettorali. Infine, i giovani ’solisti’, difficilmente collocabili in una delle correnti elencate. Sono Giusppe Civati, Debora Serrachiani, Sandro Gozi e Mario Adinolfi, tutti fino ad oggi incapaci di fare squadra, pur nel loro attivismo segnato da una voglia di rinnovamento. Uno tra Civati e Serracchiani, entrambi non amati al Nazareno, è atteso come possibile candidato delle prossime primarie. Marco Esposito
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