Ilva, Nicola Riva si dimette al suo posto l’ex prefetto Ferrante presidente
 











Nicola Riva si è dimesso da presidente del consiglio di amministrazione dell’Ilva. Lo annuncia la stessa azienda facendo sapere che al suo posto arriva Bruno Ferrante, ex prefetto di Milano e sfidante dell’ex sindaco di Milano, Letizia Moratti, alle penultime elezioni comunali. Ilva non fornisce motivazioni a proposito delle dimissioni di uno dei figli del leader del gruppo, Emilio Riva, ma l’uscita dal cda avviene in un momento molto delicato a causa dell’inchiesta giudiziaria che ha investito la società con l’accusa di disastro colposo per i reati di inquinamento.
Che cosa succede al vertice dell’Ilva di Taranto? Dopo le recenti dimissioni del direttore dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa, l’ingegner Luigi Capogrosso, l’azienda ha comunicato che Nicola Riva, nipote del patron Emilio, ha lasciato l’incarico di presidente del consiglio di amministrazione della società. “Le dimissioni – si legge nel comunicato inviato alla stampa –sono state accettate dal Consiglio che ha ringraziato il Rag. Nicola Riva per l’attività svolta e ha cooptato il Dott. Bruno Ferrante (originario di Lecce, ex prefetto e già candidato sindaco di centrosinistra a Milano, ndr), il quale ha contestualmente assunto la carica di Presidente con i relativi poteri”.
Questa la nota stampa. Ma perché Nicola Riva ha lasciato la guida dell’azienda di famiglia? Questo l’azienda non l’ha spiegato. Riva e Capogrosso sono entrambi indagati dalla procura di Taranto per disastro ambientale nel procedimento che pende dinanzi al gip Patrizia Todisco. Un’inchiesta che dopo la perizia ambientale e quella sanitaria che hanno messo per la prima volta nero su bianco l’allarmante situazione nel capoluogo e nella provincia ionica, sembra oramai a un passo dalla chiusura. Alla luce di quanto emerso dalle relazioni dei tecnici, il pool di magistrati, formato dal procuratore Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano Buccoliero eGiovanna Cannarile, potrebbe chiedere al giudice l’applicazione di una serie di misure che potrebbero arrivare fino al sequestro degli impianti.
Nelle perizie infatti è scritto che dallo stabilimento si diffondono gas, vapori, polveri, contenenti sostanze pericolose per la salute dei lavoratori e per la popolazione della provincia ionica. Dal solo parco minerali – l’area di stoccaggio delle montagne di polvere di ferro e di carbone a pochi metri dal quartiere Tamburi – si diffondono senza controllo ogni anno 668 tonnellate di polveri nocive. Dall’intero stabilimento le emissioni non controllate sarebbero pari a 2mila tonnellate all’anno.
Le voci di un sequestro stanno creando non poca tensione tra i quindicimila lavoratori della fabbrica e dell’indotto. Nelle scorse ore, infatti, gli operai hanno chiesto un incontro al prefetto Claudio Sammartino e al sindaco Ippazio Stefano spiegando che è “sempre più forte la preoccupazione” dei dipendenti per un “probabile e paventatoprovvedimento della magistratura ionica finalizzato alla chiusura parziale dell’area a caldo dello stabilimento e/o riduzione della marcia degli impianti, con drammatiche conseguenze per il personale addetto”.

 









   
 



 
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