E’ come se alle spalle di un chirurgo in sala operatoria ci fosse un avvocato pronto a intervenire in caso di errore. Qualcuno potrebbe giudicarla un’immagine forte ma non lo è se a parlare sono i numeri. Ogni anno, infatti, partono dai tavoli dei legali 34.000 denunce contro i medici dopo un ricovero in ospedale o un intervento. E i contenziosi sono cresciuti rapidamente tant’è che le richieste di risarcimento sono lievitate del 250 per cento in 15 anni. Sempre più spesso i pazienti, vittime di presunti casi di malpractice, scendono in campo per far valere i loro diritti, anche se alla fine poche, anzi pochissime, sono le condanne per responsabilità in sede penale. Ma il tutto pesa sulle casse del Sistema sanitario nazionale e su quelle delle strutture private diversi milioni l’anno. Secondo l’Aiba, l’Associazione italiana dei broker di assicurazioni e riassicurazioni, il costo dei risarcimenti per malasanità oscilla tra 850 e 1400 milioni dieuro. Una vera emergenza, tanto da essere uno dei nodi del decretone sanità che dovrebbe contenere nuove regole sulla responsabilità professionale dei camici bianchi. Decretone che è ancora al palo però. Intanto i contenziosi lievitano del 30 per cento l’anno, ma i più vengono però archiviati. Secondo un’indagine della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario, è difficile che un professionista debba affrontare una condanna penale: il 98,8% dei procedimenti per casi di lesione colposa e il 99,1% di quelli per omicidio colposo si concludono con l’archiviazione, mentre su 357 procedimenti le condanne sono state solo due. "Si arriva all’archiviazione o perché la notizia di reato è infondata, quando, ad esempio, la perizia tecnica rivela che il medico ha agito in modo corretto, oppure quando la persona offesa viene risarcita prima della conclusione delle indagini preliminari - spiega Giuseppe Losappio, avvocato, professore di Diritto penale all’Università diBari e consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari - . In questi casi è quasi sempre perché il professionista decide di pagare subito. Le assicurazioni intervengono raramente prima di una sentenza di condanna in primo grado". Resta comunque difficile per la vittima di un presunto errore sanitario dimostrare di avere ragione. Anche perché "Il cittadino che vuole giustizia in sede penale deve dimostrare ’al di la di ogni ragionevole dubbio’ la colpa del medico. In sede civile, l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è dipeso da fattori non prevedibili grava sul medico - spiega l’avvocato Francesco Lauri dell’Osservatorio di Sanità - . Questo si traduce in molte assoluzioni nelle cause penali, dove la responsabilità è personale. Mentre in sede civile le condanne arrivano al 60%: ma in questa sede il cittadino può citare in giudizio la sola struttura sanitaria". In sede civile le richieste di risarcimento sono in crescita, non per un’impennata diimperizia da parte dei camici bianchi, ma per una maggiore sensibilizzazione sul tema. Secondo l’Ufficio del massimario della Suprema Corte, i fascicoli relativi a malpractice arrivati sul tavolo della Cassazione sono aumentati del 200% negli ultimi dieci anni. Si fa causa più facilmente, ma alla fine si aspetta anni per ottenere giustizia. "La conflittualità in ambito sanitario è cresciuta molto in questi anni - spiega Francesca Moccia, responsabile del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva -, ma noi scoraggiamo le cause inutili, che fanno perdere tempo e denaro, con un sistema di giustizia lento come il nostro. Puntiamo invece a sostenere i cittadini nelle azioni di autotutela e mettendo in mora le strutture sanitarie inadempienti oppure segnaliamo le violazioni dei diritti dei malati come, ad esempio, nel caso di infezioni contratte in ospedale". E i fronti su la questione giustizia si dividono. I tempi lunghi dei processi sono uno smacco secondo le famigliee pazienti che accusano la lobby dei medici di essere troppo forte e perdono fiducia nella giustizia. Dall’altra parte i camici bianchi lamentano di essere ostaggio di "avvocati senza scrupoli" e polizze assicurative costose. Un fenomeno che metterebbe a rischio non solo il medico, ma anche la salute del malato. Tanto otto chirurghi su 10 ammettono infatti di evitare interventi, andando oltre la normale prudenza, per paura di una causa, secondo un indagine dell’Ordine dei medici di Roma e dell’Università Federico II di Napoli. Un problema che cerca di arginare l’accordo di qualche giorno fa fra sindacati e governo che punta a fissare i limiti del risk managment, ovvero la gestione del rischio. Secondo Medmal Claims Italia nel giro di un anno, c’è stato un aumento dell’8% del tasso di rischio clinico ogni 100 medici, mentre il costo assicurativo medio per medico è salito del 23,86% per un totale di 4.569 euro a professionista: quasi mille euro in più in soli 12 mesi. In Ostetricia, doveil posto letto in termini di Rc vale la cifra record di 6.739 euro, la copertura assicurativa per ogni singolo nato ha pesato 196,30 euro sulle casse della struttura (31,36% in più). E per chi lavora in Ostetricia e Ginecologia, Ortopedia, Chirurgia, diventa sempre più difficile assicurarsi. "Si sta spostando la colpa sull’operato dei colleghi, dimenticando quali sono i veri problemi della Sanità: i posti letto diminuiti, le risorse scarse e mal distribuite, i pronto soccorso pieni di chirurghi sottopagati - dice Marco d’Imporzano, presidente del Società scientifica ortopedia e presidente del collegio italiano chirurghi (Siot) - . La commissione Affari sociali sta lavorando a una legge e sarà obbligatorio avere una polizza. Ma il problema è che l’assicurazione deve essere calmierata. Il governo dovrebbe imporre delle tariffe all’Ania. Non è possibile pagare 7.000 euro l’anno o molto di più. Come può un giovane assistente guadagnare 2.000 euro al mese e pagarne 5.000 l’anno diassicurazione?". Intanto diminuisce il numero di professionisti in alcuni settori della sanità. Ed esistono interventi ad alto rischio dove diventa sempre più difficile trovare un medico pronto a metterci le mani. Su questo punto l’accordo sindacati-governo raccoglie una serie di proposte e la richiesta di specifiche norme in materia, per ridefinire la responsabilità professionale dei medici e dei sanitari. Fra i punti sul tavolo c’è anche l’introduzione di una norma che preveda la responsabilità del legale rappresentante dell’ente per le aziende che non rispettano le norme contrattuali sulla copertura assicurativa e sul patrocinio legale e la predisposizione di un contratto unico di assicurazione, valido su tutto il territorio nazionale. Ogni anno il costo dei risarcimenti per malasanità oscilla tra 850 a 1400 milioni di euro. La conseguente crescita esponenziale delle cause legali porta a un incremento dei risarcimenti che "pesano" una media di 25-40 mila euro ciascuno. Ipremi assicurativi, a carico dei professionisti e delle strutture sanitarie, diventano insostenibili, ma contemporaneamente si assiste a un abbandono, da parte delle compagnie assicurative che considerano non redditizio il settore. Fin qui i problemi dei medici e delle assicurazioni, ma resta comunque quello delle tante famiglie vittime di presunta malpractice. Ad aiutarle c’è da tempo il Tribunale del malato e numerose associazioni che difendono i diritti dei pazienti. "Il problema non è che gli errori medici non vengono accertati e quindi risarciti nel caso di condanna del medico o della struttura di appartenenza - conclude Losappio - . Il fatto è che i giudizi, obiettivamente complessi, sono molto lunghi, soprattutto, nelle ipotesi frequenti in cui gli imputati sono numerosi, come nei casi di colpa di un’intera équipe".C’è chi non entra neppure in sala operatoria se capisce che l’operazione può creargli problemi legali. Chi chiede al paziente esami non necessari per paura disbagliare o come ombrello sotto il quale ripararsi in caso di denuncia. È l’altra faccia della malpractice e in gergo si chiama "medicina difensiva", un modo per non finire davanti a un giudice. E così analisi diagnostiche e prescrizioni in abbondanza finiscono per alleggererire le tasche del Servizio sanitario nazionale e non poco. Secondo alcune stime addirittura di 10 miliardi l’anno. Intanto per medici e strutture sanitarie, sempre più coinvolti nei casi di presunta malpractice, diventa ogni giorno più difficile assicurarsi. Soprattutto per chi lavora in Ostetricia e Ginecologia, Ortopedia e Chirurgia. Ma il "primato" va a Ortopedia: circa il 13% di tutte le cause di responsabilità professionale coinvolge, infatti, questo settore. E una polizza costa in media dai 9 ai 13mila euro all’anno, ma non tutte le compagnie assicuratrici stipulano contratti con i chirurghi ortopedici. “Quello che è grave è la quasi impossibilità di assicurare le strutture e i premi molto elevatihanno spinto numerosi direttori generali all’autotutela - fa notare Domenico Carnì, presidente della costola laziale dell’Associazione nazionale primari ospedalieri Ascoti-Filas Meidici -. Il professionista che lavora in una struttura pubblica è assicurato dall’ente, anche se provvede ad avere un’assicurazione personale per proteggersi dall’azione di rivalsa da parte della struttura quando si verifica una responsabilità per colpa grave. In un recente sondaggio della Società Italiana di chirurgia su 307 chirurghi il 78% ha ammesso di avere fatto ricorso alla medicina difensiva per paura di essere denunciato”. Il fenomeno non è solo italiano e dati preoccupanti arrivano anche dall’estero. Negli Stati Uniti da una ricerca del Departiment of Health Policy and Management della Harvard Medical School è emerso che su 824 Chirurghi il 93% dice di ricorrere alla medicina difensiva. Una pratica che in Italia porta all’iper-prescrizione di farmaci, visite e analisi, e il tutto fa lievitare iconti del Ssn a 10 miliardi di euro l’anno. Per tutelare gli interessi professionali, morali e giuridici dei camici bianchi italiani è nato un tribunale ad hoc (il tribunale dei diritti e dei doveri del medico). Fra gli obiettivi dell’iniziativa, appena presentata dal ministero della Salute, c’è anche quello di aprire un dialogo con gli utenti. I camici bianchi evitano interventi difficili e preferiscono non puntare a settori di specializzazione dove le cause sono più diffuse. Così con il tempo diminuisce il numero di professionisti in alcuni settori. “Ci sono interventi ad alto rischio che nessuno vuole più fare come, ad esempio, le fratture gravi del bacino. Sarebbe necessario scegliere in questi casi un’assicurazione ‘sociale’, appoggiata dallo Stato”, dice Marco d’Imporzano, presidente del Società scientifica ortopedia e del Collegio italiano chirurghi (Siot) - . Si va verso una caduta delle iscrizioni delle specialità di chirurgia”. Su questo punto l’accordosindacati-governo raccoglie una serie di proposte e la richiesta di specifiche norme in materia, per ridefinire la responsabilità professionale dei medici e dei sanitari. Fra i punti sul tavolo c’è anche l’introduzione di una norma che preveda la responsabilità del legale rappresentante dell’ente per le aziende che non rispettano le norme contrattuali sulla copertura assicurativa e sul patrocinio legale e la predisposizione di un contratto unico di assicurazione, valido su tutto il territorio nazionale”. Le richieste di risarcimento nei confronti dei medici e delle strutture sanitarie sono iiniziate a crescere nel ’94. “Quella delle cause sanitarie è una epidemia che ha cominciato a decollare parecchi anni fa ma è dal 2006 che c’è stata la vera impennata, quando tre le pieghe delle “lenzuolate” di Bersani sulle liberalizzazioni è sbucata l’assunzione del rischio di causa da parte degli avvocati - racconta Giovanni Monchiero, presidente della Federazione di Asl e ospedali (Fiaso). -Che tradotto significa poter avviare un contenzioso senza anticipare le spese legali, salvo saldare a eventuale risarcimento avvenuto”. Un fenomeno che, secondo Fiaso, ha portato a un aumento del 30% dei contenziosi. “E’ stata “un’americanata”, Anche se probabilmente l’intenzione era quella di avvantaggiare i clienti degli studi legali. Ma allora perché non introdurre l’obbligo di preventivo degli avvocati, che era stato introdotto in prima battuta con l’ultimo decreto sulle liberalizzazioni ma poi subito ritirato? Così invece si è generata una corsa alla causa sanitaria”, aggiunge Monchiero. Fiaso invita il governo a ripensare “la normativa sull’assunzione del rischio di causa” per eliminare “le cause pretestuose”. E ricorda che le Aziende sanitarie stanno “istituendo strutture operative dedicate al risk management, (l’assunzione del rischio ndr) dove si studiano le situazioni di criticità per trovare delle soluzioni condivise da tutti gli operatori sanitari”. E ricorda che laresponsabilità per questa impennata di litigiosità non è “degli assistiti ma, di chi ci specula sopra. E facendolo ingenera anche quel fenomeno della medicina difensiva, che spinge sempre più medici a prescrivere quel che non serve pur di evitare i cause”. A. R. Cillis e V. Pini-repubblica.it
|