Genesi della Sinistra Nazionale
 











Miglia degenere di quella che fu l’Unione Sindacale Italiana, la “sinistra nazionale” è probabilmente la corrente politica meno studiata della storia d’Italia. Ostracizzata, demonizzata, ideologicamente sconvolta nel corso degli anni, la “sinistra nazionale”, in Italia, non ha certo avuto vita facile.
Le ragioni di ciò sono da andare a ricercare innanzitutto nei mille rivoli, nelle mille correnti politiche in cui tale progetto politico – nei decenni – si è disperso, snaturando sé stesso e gli ideali che lo animarono. A ciò bisogna aggiungere l’eccessivo trasformismo politico dei suoi esponenti, come anche l’incapacità di questi nel portarne avanti le istanze.
Il poco pragmatismo, come l’assenza pressoché totale di lungimiranza politica fecero il resto. A differenza di altri paesi, come l’Argentina kirchnerista o il Venezuela di Chavez, solo per fare due esempi, l’Italia non è mai stata in grado di affiancare alle spinte sociali, ma possiamotranquillamente dire socialiste, le giuste rivendicazioni nazionali proprie di uno Stato sovrano. A pesare sull’incapacità di dar vita ad un fronte socialista e patriottico - in Italia - c’è sempre stato quell’enorme lascito storico e dottrinale ereditato dall’esperienza fascista. Eppure, relegare la sinistra nazionale, ad una corrente interna al fascismo prima e al neofascismo poi, sarebbe un’operazione estremamente riduttiva.
Come sarebbe riduttivo affermare che il socialismo nazionale è da sempre stato l’humus economico in cui si sono sviluppate le teorie che hanno poi portato alla costruzione di regimi totalitari, prettamente di “destra”; dimenticando, così, le radici profondamente libertarie a cui il socialismo nazionale è ancorato. Se è vero che, dal risorgimento all’epopea socializzatrice del crepuscolo di Salò, la sinistra nazionale non è mai stata una formazione compatta, politicamente distinguibile, è altrettanto vero che gli enunciati di una “sinistra nazionale” e gliuomini che ad essa si possono ricondurre sono sempre stati l’avanguardia culturale e politica del suddetto arco storico e temporale.
Volontarismo, inter-nazionalismo e socialismo coniugato nella sua variante sovranista: sono questi i miti fondanti della “sinistra nazionale”. In principio fu Mazzini con la Giovane Italia ed il suo progetto di liberazione nazionale. Seguirono poi i moti insurrezionalisti del Risorgimento, ad opera di uomini come Carlo Pisacane che, per certi versi, può essere annoverato fra i padri nobili del socialismo nazionale.
Ma si dovette aspettare lo scoppio della Prima Guerra mondiale per vedere la “sinistra patriottica” prendere forma, con un “Appello” e, soprattutto, con una capacità militare in grado d’imporne i programmi. Dal 1914 al 1915, ossia nel periodo antecedente l’ingresso in guerra dell’Italia, all’interno del movimento sindacalista, nelle sue correnti socialiste e anarchiche, si venne a creare una vera e propria spaccatura. Quest’ultima siconsuma ufficialmente il 5 ottobre del “14, quando il Fascio d’azione internazionalista lancia il suo appello:
“AI LAVORATORI D’ITALIA
Così la guerra è oggi una tragica realtà della quale non possiamo essere spettatori indifferenti senza tradire la causa stessa della rivoluzione, senza rinnegare i nostri principî socialisti che parlano ai popoli in nome della civiltà e della libertà. E allora giova domandarsi se gli interessi più vitali della classe lavoratrice dei diversi paesi, se la causa della rivoluzione sociale, siano meglio tutelati dall’atteggiamento di rigorosa neutralità voluto per l’Italia dal Partito socialista ufficiale, in pieno accordo cogli elementi clericali, e a tutto vantaggio delle armi tedesche, o non piuttosto dall’intervento a favore degli Stati che rappresentano in Europa la causa della libertà e della pace: a favore della Francia culla di cento rivoluzioni, dell’Inghilterra, presidio d’ogni libertà politica, del Belgio generoso ed eroico. La risposta nonpuò essere dubbia per noi rivoluzionari che, fedeli all’insegnamento dei nostri grandi, opiniamo non potersi superare i limiti delle rivoluzioni nazionali senza prima averli raggiunti, onde la lotta di classe è una formula vana, non una forza attuosa e feconda ove ogni popolo non si sia integrato nei propri confini naturali di lingua e di razza, e, definitivamente risoluta la questione delle nazionalità, non si sia formato il clima storico necessario allo sviluppo normale del movimento di classe, al progresso ed al trionfo delle stesse idee dell’internazionalismo operaio. Il trionfo del blocco austro-tedesco sarebbe in Europa il rinnovato trionfo della Santa Alleanza, il rafforzamento della causa della reazione e del militarismo contro quella della rivoluzione, in una parola il persistere e il consolidarsi di quelle forze di conservazione militaristica e feudale che hanno prodotto l’immane catastrofe odierna, che produrranno altre guerre domani, altri lutti ed altre rovine per le plebilavoratrici arrestate nella marcia ascensionale per la conquista della propria emancipazione economica. I neutralisti ad oltranza appaiono oggi i veri amici della guerra. Noi, combattendo a lato dei rivoluzionari di Francia, di Russia, del Belgio e dell’Inghilterra per la causa della libertà e della civiltà contro quella dell’autoritarismo e del militarismo teutonico, per la ragione contro la forza, per la rivoluzione europea contro il sogno folle e delittuoso d’instaurazione di un impero universale – visione di medioevo che deve essere ricacciata nel medioevo – crediamo di compiere l’opera più utile che si possa oggi a favore della pace europea, per la causa della rivoluzione sociale, per la ricostituzione dell’Internazionale operaia sulle nuove basi dell’avversione sistematica, perseguita con ogni mezzo, ad ogni guerra che non sia guerra d’oppressi contro oppressori, di sfruttati contro sfruttatori.
LAVORATORI,
Gli avvenimenti incalzano. L’Italia, a fianco delle potenze checombattono per la libertà e l’indipendenza dei popoli, renderebbe più sollecito e decisivo l’esito della guerra, attenuandone gli immani disastri. La neutralità armata non risparmia le gravi conseguenze che dalla guerra derivano al nostro paese e al tempo stesso non ci immunizza dal pericolo bellico: essa piuttosto dà al governo, con la mobilitazione dell’esercito, la possibilità di coglierci alla sprovvista domani con quella qualunque guerra che gli piacerà dichiarare, anche contro le ragioni della civiltà e i nostri stessi interessi, e inoltre – il che sarebbe ancor peggio – il mezzo di coprirci di vergogna, con un turpe ricatto mettendo a prezzo il nostro non intervento. L’imporre oggi la guerra contro il blocco austro-tedesco è il mezzo migliore per impedire che l’Italia possa domani subdolamente rimettersi al suo servigio.
I rivoluzionari non debbono aver dubbi di scelta. La nostra causa è quella di Amilcare Cipriani, di Kropotkine, di James Guillaume, di Vaillant, quella dellarivoluzione europea contro la barbarie, l’autoritarismo, il militarismo, il feudalismo germanico e la perfidia cattolica dell’Austria. Ognuno compia fino all’ultimo e in tutti i modi ilaneliti sinonimo suo dovere. Tutte le forze vive del mondo, tutti coloro che augurano all’umanità lavoratrice un avvenire migliore e combattono per il trionfo della causa operaia e della rivoluzione sociale, per l’affratellamento dei popoli e la fine di tutte le guerre, debbono scendere in campo risolutamente. Noi dobbiamo imporre al governo di cessare di disonorarci o di sparire, e fin d’ora separare le responsabilità e prepararci all’azione”.
Fra i sottoscrittori del manifesto troviamo: Decio Bacchi, Michele Bianchi, Ugo Clerici, Alceste De Ambris, Amilcare De Ambris, Attilio Deffenu, Aurelio Galassi, Angelo Oliviero Olivetti, Decio Papa, Cesare Rossi, Silvio Rossi, Sincero Rugarli, Libero Tancredi e, naturalmente, l’onnipresente Filippo Corridoni.
L’interventismo di guerra, visto come occasionedi riscatto del proletariato e come possibilità di rinascita dell’Italia come potenza sullo scacchiere internazionale, vedrà fra i suoi massimi profeti anche il Direttore de L’Avanti, Benito Mussolini. Seppur dopo notevoli tentennamenti – vedasi, in tal senso, la missiva di Libero Tancredi al futuro Duce – anche il figlio del fabbro di Dovia abbraccerà la causa interventista, sostenendola a gran voce dalle pagine de Il Popolo d’Italia; le cui pubblicazioni iniziarono circa un mese e mezzo dopo l’uscita del manifesto del Fascio d’azione internazionalista.
Al termine della guerra, se da una parte la vecchia partitocrazia giolittiana ricominciava i suoi giochi di potere, dall’altra le forze parlamentari e non della sinistra, approfittando dello sbandamento generale, tentavano di ripetere, in Italia come nel resto d’Europa, l’esperimento sovietico del “17. In mezzo alle due chiese, ed ai rispettivi tentativi, di restaurazione e di rivoluzione, la sinistra nazionalista tornò a ridestarele coscienze degli italiani.
L’occasione propizia, per il riaffermarsi di una “sinistra nazionale”, giunge con l’impresa di Fiume, ad opera di Gabriele D’annunzio. La cosiddetta “vittoria mutilata” ed il progressivo acuirsi delle lotte sociali (vedasi il “Biennio rosso”) creeranno le condizioni per la nascita di formazioni politiche che al socialismo, scevro dagli influssi di Marx, affiancavano quei valori nazionali che la guerra aveva coltivato. Il fronte compatto, che aveva visto interventisti di sinistra, nazionalisti e futuristi scendere insieme nelle stesse piazze, nel ‘19 andrà progressivamente a dividersi in due tronconi: da una parte i dannunziani e dall’altra le schiere del nascente fascismo. Una lacerazione interna – questa – che si consumerà definitivamente nel ‘22, con lo scioglimento degli Arditi del popolo di Argo Secondari.
Gli ex inteventisti di sinistra e alcune frange di ex arditi, durante l’impresa dannunziana (1919-1921), furono nuovamente i protagonisti dellascena politica e culturale. In tale frangente, gli ideali libertari, socialisti e patriottici vennero portati avanti da uomini quali Alceste De Ambris, Giovanni Governato, Giuseppe Giulietti, Leone Kochnitzky e Mario Carli. Un coacervo d’idee, talvolta contrastanti fra loro, andava delineandosi all’orizzonte: elementi filo-bolscevichi e teorie auto-gestionali di stampo anarchico caratterizzarono la sinistra fiumana. Una sinistra che si distaccava notevolmente dalla tradizione socialista italiana, ma che ne abbracciava gli aneliti anti-capitalisti e, soprattutto, “antimperialisti”. In tale ottica si deve interpretare la fondazione della Lega dei Popoli oppressi: “gli insorti di tutte le stirpi si raccoglieranno sotto il nostro segno (…). È la nuova crociata di tutte le nazioni povere ed impoverite, la nuova crociata di tutti gli uomini poveri e liberi, contro le nazioni usurpatrici e accumulatrici d’ogni ricchezza, contro le razze da preda e contro la casta degli usurai che sfruttaronoieri la guerra per sfruttare oggi la pace(...)”: scrive il Poeta. La Lega di Fiume sorge quindi come contraltare della Società delle Nazioni. Guidata da Kochnitzky, la Lega avrebbe dovuto tessere relazioni politiche ed economiche con tutti quegli Stati che oggi definiremmo “canaglia”. Una politica estera – questa – dettata dalla volontà autodeterminazionista del Vate, infatti, le più importanti conquiste, sul piano diplomatico, sono rappresentate dalle relazioni fra il Governo di Fiume ed i movimenti nazionalisti balcanici, in chiave anti-jugoslava. In una lettera indirizzata a Giuseppe Giulietti, in occasione del sequestro della nave Persia, D’annunzio scrive: “E nuovamente ringrazio i quattro tuoi Arditi che mutarono la rotta della nave dolosa con un colpo maestro, rapido, preciso, irresistibile, nello stile dei Ronchi. Dalla carbonaia nera, come dal nostro cimitero carsico, balzò lo spirito. La causa di Fiume non è la causa del suolo: è la causa dell’anima, è la causadell’immortalità. Questo gli sciocchi e i vigliacchi ignorano, disconoscono o falsano. Tutti i miei soldati lo sanno, lo hanno compreso e divinato. E’ bello che lo sappiano e l’abbiano compreso così vastamente i tuoi Lavoratori del Mare. Dall’indomabile Sinn Fein d’Irlanda alla bandiera rossa che in Egitto unisce la Mezzaluna e la Croce, tutte le insurrezioni dello spirito contro i divoratori di carne cruda sono per riaccendersi alle nostre faville che volano lontano (...)”. L’astio di D’Annunzio, nei confronti di Gran Bretagna e Stati Uniti d’America, si fa più chiaro nella seguente dichiarazione dove i paesi guida, dell’allora nascente Società delle Nazioni, vengono considerati: “la punta di diamante della plutocrazia internazionale, di una civiltà borghese, avida e materialista, fondata sul denaro e sullo sfruttamento del lavoro, sull’oppressione dei popoli e delle loro aspirazioni di indipendenza (...)”.
Nonostante le tante scuole di pensiero che animarono l’impresa fiumana -tante quante le sfaccettature politiche del Vate - la Reggenza del Carnaro seppe dotarsi di una carta costituzionale condivisa, in cui le spinte socialistico-libertarie della sinistra vennero affiancate alle rivendicazioni nazionaliste proprie della destra. E non è un caso che a coniugare tali istanze sia stato uno dei massimi esponenti dell’interventismo di guerra: Alceste De Ambris. Se Enrico Corradini seppe portare la lotta di classe entro i confini dell’interesse nazionale, Alceste De Ambris si spinse oltre, dando vita ad una carta che, a detta di molti costituzionalisti, superava in modernità l’allora vigente Statuto albertino, come anche la Costituzione italiana del ‘48. Nell’articolo nove, della Costituzione redatta a quattro mani da De Ambris e da D’Annunzio, leggiamo: “Lo Stato non riconosce la proprietà come il dominio assoluto della persona sopra la cosa, ma la considera come la più utile delle funzioni sociali. Nessuna proprietà può essere riservata alla persona quasi fosseuna sua parte; né può esser lecito che tal proprietario infingardo la lasci inerte o ne disponga malamente, ad esclusione di ogni altro. Unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro. Solo il lavoro è padrone della sostanza resa massimamente fruttuosa e massimamente profittevole all’economia generale”. Per comprendere la portata rivoluzionaria, della costituzione fiumana, ci affidiamo alle parole di Giordano Bruno Guerri, attuale Presidente della Fondazione Vittoriale degli italiani:“La Carta non ha nulla a che vedere né con il corporativismo cattolico né con il successivo corporativismo fascista (...); è moderna nella nuova concezione della proprietà, dei rapporti di lavoro, dell’istruzione pubblica, della condizione femminile, del decentramento amministrativo, della revocabilità di qualsiasi mandato; è una limpida proposta di rinnovamento politico; è una summa delle concezioni sindacaliste-rivoluzionarie”.
Il grande appuntamentomancato, di questa “sinistra nazionale”, vede protagonista ancora D’Annunzio. Elemento chiave delle vicende è sempre il Capo dei Lavoratori del Mare, Giuseppe Giulietti. La destra monarchica, che a Fiume intratteneva i rapporti con la Corte, tramite Federzoni, viene scavalcata a sinistra dopo la presentazione della Carta del Carnaro. Nel ‘20 , infatti, la “fiammata rivoluzionaria” ha il suo apice. Nell’intento di portare su scala nazionale l’insurrezione, i massimi esponenti del radicalismo italiano progettano un’azione di forza che avrebbe dovuto avere come epicentro la capitale. Anticipando di due anni Mussolini, D’Annunzio e gli altri “congiurati” tentano il tutto per tutto, gettando le basi per una “marcia su Roma”.
La riunione si svolge a Firenze, alla presenza dell’anarchico Errico Malatesta, rientrato in Italia grazie a Giulietti, di quest’ultimo, di Nicola Bombacci, futuro fondatore del Partito comunista d’italia e di Giacinto Menotti Serrati. Giulietti incassal’approvazione di Malatesta e di Bombacci che propongono la “marcia su Roma” passando per Trieste, in contrapposizione all’ala moderata dei dannunziani che sono più propensi ad una marcia sulla Dalmazia. D’Annunzio ha così al suo fianco il massimo esponente dell’anarchismo italiano ed il futuro fondatore del Partito Comunista d’Italia. L’adesione di Malatesta è probabilmente da ricercarsi nell’opera di persuasione di Giulietti. Mentre l’interessamento di Bombacci, come anche di Gramsci, per i moti fiumani, è da ricondurre – come ricordato dallo studioso Augusto Sinagra – alla corrispondenza fra Bombacci ed Eugenio Coselschi, all’epoca segretario particolare del Vate. In un passo delle missive, Coselschi così descrive ciò che avvenne a Fiume: “La causa che noi abbiamo difesa è quella di tutti i deboli contro gli oppressori. Il popolo lottò al nostro fianco contro i carabinieri del Re (…). Contro di noi erano i pescecani ed i falsi rivoluzionari, più conservatori dei conservatori palesi.Come in Italia”. Le parole di Coselschi si dimostreranno veritiere, ancora una volta, proprio nel momento in cui le forze della sinistra nazionale avrebbero dovuto unirsi, definitivamente, sotto un’unica bandiera.
Il progetto insurrezionalista, infatti, salta a causa di Serrati che all’ultimo si chiama fuori, facendo venir meno le forze socialiste.
Ambigua è anche la posizione di Mussolini che alla marcia dannunziana non dedica una riga. Giochi di potere, personalismi ed interessi economico-politici contrastanti furono l’ennesima riprova di quella conflittualità interna al mondo socialista che, dal ‘14 ai giorni nostri, ha sempre impedito l’affermarsi, a sinistra, di una componente autenticamente patriottica.Romano Guatta Caldini









   
 



 
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