Lecter: “Sono contento di vederti. Mi fanno visita solo psichiatri di sperdute università di provincia: mi esaminano. Gente di second’ordine” Will Graham: “Ho letto il suo articolo su «Clinica psichiatrica» a proposito della cripto-schizofrenia dei chirurghi. Molto interessante, anche per un profano come me... Mi serve il suo aiuto, Dr. Lecter” Lecter: “Me l’immaginavo” (1) Manhunter, Michael Mann, 1986 (presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 1987 e il cui regista è stato presidente dell’edizione 2012) Sono trascorsi sei mesi da quando il vostro foglio diario italiano, Rinascita, ha pubblicato un mio saggio sulle chat. Questo, penso rappresenti – pur con tutti i limiti – un primo passo verso le origini dello studio su tal fenomeno diffusissimo, bensì oscurato dai mass media. Ciò poiché esso sconvolge il senso etico comune – nonché riflette, con pericolosità di cognizione, la vera natura dellasocietà occidentale, la quale di saldo ha solo la propria ipocrisia di comportamenti standardizzati a omologazione, sfruttamento e divinizzazione del danaro. E tanti cercano di uscirne in un modo o nell’altro avvalendosi della fuga nella tecnologia. Nel precedente contributo ho analizzato perlopiù le spinte coscienti dell’individuo, oggi amplieremo l’indagine trovando dei punti in comune fra i regolari frequentatori/-trici delle chat (da adesso: frequentatore/i per entrambi i sessi) e coloro che presentano problemi psichici (da adesso il gergale sclerato/i p.e.i.s.). Escludiamo perciò gli sfigati esaminati allora, gli elementi commerciali (cammiste, ricercatrici/-tori di incontri a pagamento), i “trasgressori” (2) e i generi borderline, onde concentrarci su coloro che creano nella chat un universo parallelo a quello newtoniano. E man mano rendono quest’ultimo in guisa di vestibolo di quello esterno (“là fuori”), ove lasciano l’abito di rappresentanza per entrare, nudi, nella chatstessa (“lì dentro”): ossia nell’insita realtà “vera” con la falsa illusione sia virtuale e passeggera. Non è ne l’uno né l’altro termine. I punti in comune di stabilità (i frequentatori) La chat è una deviazione, o è il risultato dell’impossibilità del frequentatore di realizzarsi come persona nella propria concreta esistenza sociale? O il rifiuto dello stesso ad accettare i parametri fittizi della commedia umana, da recitare “là fuori” con copioni scritti dai decisori? L’esame dei documenti del normale frequentatore (dialoghi e comportamenti) o di quello sclerato (infra) offre l’opportunità di effettuare indispensabili distinzioni. In base alle manifestazioni normali o degenerative, si attribuisce al senso della chat una forma di compensazione per “sofferenza affettiva”. Tale termine non lo adopero, come nella psicopatologia descrittiva, per definire una delle facoltà della psiche del frequentatore, ma nel senso di totalità esistenziale dell’uomo nella società intoto. Ed è questa è la sorgente della necessità di essere “lì dentro” e non “là fuori”. Con ciò si pongono domande non solo tecniche (allora perché non cambi vita? marito? moglie? amante? figli? amici? scuola? quartiere? lavoro? padrone?), ma prima di tutto, etiche e finanche politiche. Nessun intervento tecnico “là fuori” è possibile o capace di sostituire la mancanza di amore o riparare gli effetti della sovrastruttura politico-amministrativa che ogni giorno sferza la persona attraverso la frusta di una violenza intrinseca nei, suo malgrado, innumerevoli rapporti e relazioni con gli “altri”. “Altri” che magari la persona odia visceralmente, e forse ritrova, senza saperlo nelle vesti di amici frequentatori nell’anonimato dell’universo anti-newtoniano, detto altrimenti chat. In tal prospettiva il messaggio significativo di cui è portatrice la “sofferenza affettiva” è la richiesta di un mondo diverso e migliore di vivere e convivere con ulteriori presenze da amare, che mai sarannopersone, ma unicamente nick, ovvero altri frequentatori. Una maniera di esistere altrove, ma non come in un sogno, necessariamente non bello – e sempre indipendente dalla persona. Un altrove segnato dall’assenza degli effetti distruttivi del dominio e della sopraffazione del capitale e dell’alienazione, e di coloro che decidono per te, dandoti ad intendere di essere stati scelti da te. La chat è una scelta non onirica, per cui volontaria, che pertiene non solo alla sfera del desiderabile, ma anche a quella del possibile. Infatti i rapporti di chat non sono immutabili (al pari, invece, di quelli di classe, imposti dalla divisione del lavoro: chiunque fra i byte dà del tu a chiunque); al contrario si modificano con il variare dell’umore del frequentatore che in essa può essere tutto, solo che lo voglia. Un coinvolgimento teso innanzitutto ad acquisire consapevolezza intorno a ciò che di oppressivo, di coartante, di impedimento alla libertà vi è “là fuori” e nei contatti intrapersonalie di cui la chat è il tasto di Escape, o meglio The Gate. Di conseguenza, la questione che diviene centrale non è più tanto quella della “sofferenza affettiva” e della chat quale rifugio, quanto quella dei modi di essere nella società “là fuori”, da cui dipendono le maniere di sopravvivere e l’anzidetto abito da tragica festa in maschera che il frequentatore rimette, diventando persona, quando i doveri lo chiamano nell’ambiente newtoniano. Modi di vivere nei confronti dei quali ciascuna persona, “là fuori”, può esser pure in sintonia, ma spessissimo in conflitto, e quindi trovarsi più o meno esposta a spinte destabilizzanti, ossia il rischio di incorrere nel rigetto irreversibile, con tutto ciò che comporta di devianza conclamata. Succitati modi di vivere che individualmente nessun soggetto può modificare e di fronte ai quali ogni persona isolatamente si trova del tutto impotente: i.e. dal combattere la legge di gravità sino al chiedere «Come va?» ad un individuo di cui non glieneimporta nulla e viceversa. Tutto ciò è così vero che i caratteri di una persona possono essere anche apprezzati da un prossimo newtoniano al punto da poter far sorgere un’autostima di fondo, mentre in realtà nella quasi totalità dei casi i caratteri medesimi sono invisi al cospetto degli altri (indifferenza, invidia, antipatia, commiserazione, tolleranza nel significato deleterio di sopportazione [3], antipatia, odio). Ostilità che individualmente nessuna persona può modificare e di fronte ai quali si trova del tutto impotente ed esclusa. La rara accettazione e il marcato rifiuto degli uni verso gli altri determinano la dinamica dei rapporti intrapersonali, i quali giocano pesantemente nella posizione di ciascuno nella sovrastruttura sociale, da cui dipendono gli interessi in primis materiali (di sussistenza: faticare per campare) e in secundis “morali” di ognuno (spreco del salario in bisogni da “civiltà” dei consumi). Per tale ragione se una soluzione valida ai problemi della“sofferenza affettiva” richiede alle persone di cercare scappatoie, tale ricerca – non potendo prescindere dalle condizioni in cui si vive – rimanda a sua volta al rifiuto della società in sé tentando la “radicalizzazione” nella chat così come si è strutturata dagli anni Cinquanta (ARPANET), ma limitata allora ad un’utenza elitaria di militari e scienziati. Da qui è assolutamente necessario esplicitare, invece, che il tipo di universo newtoniano che si è costruito dal 1945, poggia sulla convinzione indotta che il benessere coincida immediatamente con la disponibilità di beni e servizi. La stessa semantica di alcuni vocaboli strategici comunemente usati all’uopo lo evidenzia. Termini quali benessere, sviluppo, abbondanza (di cose materiali), sono stati – e sono – ampiamente usati come sinonimi, tanto sembra non ci siano dubbî che avanzamento e progresso volessero significare contemporaneamente aumento personale di danaro, e che questo volesse dire sùbito opulenza, sino ad arrivarealla falsa e disumanizzante equazione ricchezza esteriore = felicità interiore. A ciò, nell’attuale sistema di produzione, non v’è alternativa o scorciatoia, e la risultante è la “sofferenza affettiva” della persona, che si trasforma in frequentatore per salvarsi. Le analisi riferite in precedenza, e quelle che seguiranno, mostrano che la “sofferenza affettiva” di chi manifesta la scelta di spostarsi nell’universo-“lì dentro”, è in larga misura connessa al tipo di convivenza adottato dalle persone, e tale “coabitazione-là fuori” a sua volta è solamente derivante dai rapporti di classe imposti dal capitalismo. Possiamo fare un passo in avanti e affermare senza tema di smentita, che la presenza di persone che manifestano la scelta di passare a frequentatore, oltre che moltiplicarsi a livello geometrico, è un segnale che indica il perdurare di maniere di vita e convivenze coatte non idonee a soddisfare fondamentali esigenze affettive. La “sofferenza affettiva” è perciò pure una spiadi allarme che, in relazione alla sua continuità e intensità, indica il grado in cui il “là fuori” non è più confacente a soddisfare fondamentali esigenze, che trovano realizzazione umana solo in un ambiente di bit e byte che umano, almeno fisiologicamente, non lo è affatto. Il “là fuori” non può ritenere – nella consapevole fallacia dolosa dei propri burattini a fili d’oro – che unicamente l’attuazione di attitudini meno inumane degli attuali risolva il proprio processo degenerativo senza ritorno. Come abbiamo visto supra non è un problema che si può risolvere con artifici tecnici; non serve un atto istituzionale (ad. es. l’eliminazione per legge di mobbing, demansionamento, ostracizzazione, emarginazione sociale, ecc.) a rimuovere le cause di un disagio connaturato alla forma stessa dell’essere, dell’apparente persona adesso frequentatore. Una risposta adeguata sembra individuabile solo in un sistema differente di convivenza. Però la realizzazione di questo non era un affare dipoco conto: non si poteva creare per decreto. Era impossibile infatti mutare lo “stile” delle persone se non cambiava la struttura. La struttura “là fuori” per adesso non ha ceduto, però la tecnologia ha aiutato THX 1138 a fuggire. Il concetto di “malattia mentale” e gli sclerati Desidero innanzitutto premettere che per chi scrive la cosiddetta “follia” non è affatto una “malattia mentale” – che non si deve confondere con le malattie del cervello, di pertinenza della neurologia – bensì uno stato d’animo posto in un differente sistema di riferimento non accettato, in quanto non compreso scientifico-emotivamente e marchiato dalla totalità agente nell’elemento del contesto societario. Elementi rappresentati da «gli angusti limiti culturali di coloro che attribuiscono a disfunzioni del cervello tutte le scelte e tutti i comportamenti che non corrispondono ai pregiudizi sociali» (4). Il “pazzo” non è accolto, ma solo tollerato in quanto apportatore di novità non mediabili daicomportamenti umani ripetuti nel corso lineare della storia. Basti citare lo studio di Klaus Dörner (n. 1933) che pone in rilievo lo sviluppo del borgo medievale e l’espulsione dei “pazzi” dal gruppo sociale, per il carattere destabilizzante del “folle” a causa dello stile di vita della costituenda città nuova, nella quale si vanno elaborando i princìpi della nascente economia borghese. Il “folle” quale incompatibile per le esigenze produttive del sistema economico in fieri e quindi per la cultura su cui questo si fonda; incompatibilità che non sussisteva con la preesistente comunità agricola feudale ove il “folle” era ammesso pur ai margini delle mura urbane (5). Michel Foucault (1926-84) pone dal declino del Medioevo la “criminilizzazione” della follia, la sua segregazione e repressione e la nascita del manicomio (6). François Laplantine (n. 1943) afferma che a decidere chi sia “pazzo” o sano non è mai la scienza, ma la cultura che ogni civiltà ha elaborato: «Dovunque, la follia èuna costruzione collettiva determinata a partire da un mito (7). Lo psichiatra che, come il malato, è un elemento di una totalità, ha l’impressione di scoprire le cause reali della malattia mentale. Non fa invece che introdurre delle classificazioni all’interno del gruppo minoritario che gli è indicato come affetto da “pazzia” dalla società in cui vive. Lo voglia o meno, egli è costretto ad accettare il verdetto dell’opinione pubblica. E poiché una cultura o un’epoca possono benissimo tollerare individui con comportamenti rigorosamente proibiti altrove o in altri tempi, i criteri del normale e del patologico non sono mai definitivamente fissati» (8). La “malattia mentale” in sé non esiste, è solo una definizione di comodo che i “normali” adottano in mancanza di medicinali o interventi chirurgici che possano riportare il “malato” a uno stato di sanità ristabilente: la confondono con un braccio rotto da ingessare, oppure con un cuore bisognoso di qualche bypass. Foucault direbbe,ironicamente, che per loro è come la sifilide seguita alla lebbra a fine XV secolo (9). Solo che i mezzi per porvi rimedio sono la lobotomizzazione o i farmaci annullanti la personalità. Nel rifiutare l’organicismo clinico-descrittivo mi avvalgo anche del pensiero di Giorgio Antonucci (n. 1933; uno dei fondatori del Telefono viola [10]), Franco Basaglia (1924-80), David Cooper (1931-86), Erving Goffman (1922-82), Ronald David Laing (1927-89), Antonio Noja (n. 1960), Thomas Stephen Szasz (n. 1920), i quali sostengono non solo il suddetto «stato d’animo posto in un differente sistema di riferimento», ma pure – e prima di loro Sigmund Freud (1856-1939) – la nozione di continuità fra normale e patologico. Tra a) normalità, b) nevrosi, e c) psicosi c’è solo una differenza di grado, di quantità, non qualitativa: le stesse forze che agiscono nella vita normale (“là fuori”) sono presenti in quella patologica, e – stando ai miei studi – consequenzialmente nella chat (“lì dentro”). Sebbenele stesse cause siano all’origine di nevrosi (frequentatori) e psicosi (sclerati), la scissione verbal-comportamentale dei secondi – all’interno della room – avviene poiché nella psicosi degli sclerati il processo è grave ed irreversibile. Faccio alcuni esempi di nick sclerati, nettamente di origine D.o.c.: i) sulla tastiera per ore e ore digitare migliaia di volte, a intervalli e righe costanti, una sola parola, perlopiù rappresentata da un’interiezione; ii) reiterare sempre la stessa frase, attraverso il copia-e-incolla, per cercare l’attenzione dei frequentatori; iii) soliloquî a nick unico o doppio, a giorni alternati al ii), per sottolineare il rifiuto dei frequentatori leggenti e quindi esaltare il proprio ego, manifestantesi nell’interesse reciproco verso un(’)altro(a) (il secondo nick-se-stesso); iv) successive triplicazioni, quadruplicazioni, pentaplicazioni, ecc., a-IP-unico in maniera lo sclerato sia tante volte quanti i nick, con l’auspicio di raccogliere più “pvt”possibili e nutrire il bisogno di misurarsi con terzi che non siano sempre se stesso o gli odiati frequentatori; v) invettive di estrema veemenza contro un frequentatore o un gruppo di questi, oppure in genere vs. comunità etnica, politica o marginale, ponendolo/i in uno stato di inferiorità regionale, razziale o cerebrale (le invettive, ogni qualvolta di estrema violenza, provocano il collassamento dello stremato sclerato che alla fine esce dalla room; essi attacchi si dicono, appunto, “sclerate” [delirî]); vi) sclerate parossistiche con minacce di morte al predetto frequentatore, creato quale “nemico” senza ragione alcuna. Dopo gli estenuanti delirî finali, lo sclerato abbiamo visto che crolla, ma il giorno successivo è di nuovo al pezzo, per ripetersi all’infinito. In tali àmbiti, nello sclerato la schizofrenia è talmente ingigantita da cancellare ogni percezione obiettiva. Il loro problema è l’immane quantità di ansia da cui essi sono posseduti e che li induce a sviluppare unenorme numero di tecniche difensive. Un classico è il nick “nuovo” silente – ossia mai letto prima – per ore e ore in room, il quale si limita a leggere le frasi dei frequentatori, copiarle e riportarle su un foglio di programma di scrittura, per poi un giorno “rinfacciarle” ai frequentatori stessi, da cui poi potersi schermire, dopo esser tornato al nick “conosciuto”. Del resto Frieda Fromm-Reichmann (1889-1957) ha sempre sostenuto che lo sclerato – ella lo chiama paziente – può trovare un modo di vita accettabile, che sia per lui stesso sufficientemente ricco e significativo, indipendentemente dal fatto che l’anzidetta maniera contrasti con le regole e le aspettative convenzionali del mondo circostante (11). Al che aggiungo, lo sclerato cerca di farsi rifiutare anche dalla chat, auspicando di essere bannato (bandito) dal webmaster, proprio perché trasferisce il “là fuori” nel “lì dentro” e si trasforma in vittima del nuovo sistema – con la differenza che il “là fuori” gli èstato imposto dalla nascita mentre il “lì dentro” se l’è scelto, compreso il modo di autoemarginarsi per poi palingeneticamente assurgere a “vittima del nuovo sistema”. Si badi non ci sono limiti d’età per lo/la sclerato/a: si va dai venti ad età pensionabile e oltre. È una menzogna che la chat sia un ambiente “giovane”. Una bugia buona per rotocalchi d’accatto e settimanali molto venduti, ove il borghese non è un soggetto di studio, col pretesto che la sua data di nascita non glielo permette. Non è così. Prendiamo in esame i vari meccanismi di repressione, negazione, scissione, proiezione, introiezione, ripiegamento in se stessi e altre forme psicologicamente distruttive che sono con sistematicità poste in atto contro le persone di ogni età dalle sovrastrutture societarie (banche, governo, pubblica amministrazione, mass media, famiglia, forze armate, chiesa, casta politica, fabbriche, uffici, luoghi di lavoro, ecc.) allo scopo di produrre individui clinicamente sani eomogeneamente alienati. La vita che così si può svolgere è talmente al di sotto delle possibilità esistenziali dell’uomo, talmente inferiore alle potenzialità di esperire sentimenti autentici e genuini, che bisogna meravigliarsi che la maggior parte della gente non rechi in sé disturbi psico-reattivi nel sottomettersi a tale violenza operata dal sistema. L’adattamento tuttavia che si ottiene è pagato duramente: la persona perde la maggior parte di se stesso, ed in quest’ottica la chat viene ad essere considerata l’unica forma di manifestazione personale da parte degli sclerati che sfogano “lì dentro” il forzato e normale aspetto che hanno “là fuori” celato. La chat resta l’unica risorsa non chimica per uno sclerato, che manca di un adeguato sostegno social-affettivo e che cerca di far di tutto per restare a galla nell’anonimato di massa, in maniera da garantirsi la conservazione fisica nella forma di società esistente, stabilita dalla classe dominante. Conclusioni La “sofferenzaaffettiva” di una persona si origina nei gruppi, nelle comunità, in breve nel contesto sociale nel quale tal individuo vive in seguito alle caratteristiche che assumono le modalità di rapporto intrapersonale. Essa si manifesta come inadeguatezza a partecipare all’agire sociale, a motivo della volontà di non rispettarne le regole (frequentatori), e disturbo delle capacità di relazione, in quanto non in grado psichicamente di sopportarne le imposizioni (sclerati). L’indagine sulle cause della “sofferenza affettiva” non si esaurisce nella constatazione e nella comprensione delle modalità abnormi di funzionamento della psiche degli sclerati ma, a sua volta, di questa abnormità è necessario rendere conto e – come abbiamo fatto supra – individuare i motivi. La “sofferenza affettiva” di una persona, pertanto, non è più pensabile come un evento che riguardi solo lui/lei. Essa è indubbiamente la manifestazione di un’alterazione psichica dello sclerato, e tale disagio è l’esitodell’impatto che un individuo ha con/in un specifico contesto sociale, in seguito alla non idoneità – da intendersi come impossibilità oggettiva – di risolvere i problemi di rapporto intrapersonale che quella specifica situazione pone. Molte sono le modalità e le circostanze in cui può verificarsi questo impatto doloroso, il cui esito per l’individuo è un’intollerabile pena psicologica nonché accantonamento dal tessuto sociale. Rifacendomi alle tesi di Giuseppe Ferroni (12) ne rammento tre, commentandole con la mia esperienza di osservatore del fenomeno chattistico. 1) Un conflitto irrimediabile, nel caso dello sclerato maschio, tra alcune esigenze psicologiche irriducibili (istanze personali) e le richieste ineludibili della società, ovvero le imposizioni della cultura di appartenenza. Nel caso della sclerata femmina, le forme di isterismo, già osservate da Jean-Martin Charcot (1825-93) e Freud, conseguenti alla negazione delle pulsioni sessuali da parte dei modelli e dellenorme culturali vigenti nell’attuale società esteriormente emancipata. 2) L’interiorizzazione di modelli cognitivi, valutativi e operativi contraddittori. È il caso di intere generazioni di ragazzi di 20-40 anni fa, nel corso della cui vita lo sviluppo tecnologico, e i valori e le norme sociali, hanno subìto una forte accelerazione e quindi un radicale mutamento e, di conseguenza, tutto ciò diventa inconciliabile con i parametri interiorizzati nel corso dell’età evolutiva. Ad esempio: l’apparizione del computer rifiutato dal “vecchio” sino all’altro ieri e poi assimilato in fretta e senza mediazione né etica né tecnica; basti vedere cosa sono i “maturi” nell’ambiente chattistico per poter meglio comprendere cosa si voglia affermare. 3) Situazioni altamente conflittuali che si verificano durante l’età evolutiva nei ragazzi di oggi, in nuclei familiari fortemente disturbati da insopportabilità reciproca dei genitori o separazioni, divorzi, ecc. Tipico di chi ha vissuto un’infanziain famiglie destabilizzate a causa della forte ambivalenza affettiva di uno dei genitori, il quale sollecita modelli di comportamento contraddittori, ponendo per giunta quale premio di tal adeguamento la concessione o il rifiuto del proprio affetto. È il caso di ragazzi che vivono in famiglie nelle quali sono presenti insanabili contrasti fra i genitori, ciascuno dei quali richiede e sollecita comportamenti e atteggiamenti a se stesso favorevoli e ostili all’altro, spesso utilizzando il figlio come pedina di scambio di una continua e tragica partita a dama. Provate a recarvi in una room “materna” e ve ne renderete conto; qui le forme di regressione del giovane all’infanzia sono tanto più evidenti quanto la pressione sociale chiede al soggetto la trasformazione verso un comportamento adulto e responsabile. Al contempo la regressione è rinforzata dall’atteggiamento dei genitori, in specie la madre, che inconsapevolmente vivono come angoscianti e pericolosi l’incipiente distacco eautonomia del “cucciolo”, presi come sono dal mito del figlio unico, prodotto dello sfaldarsi della famiglia agrario-patriarcale intorno agli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso Le tre esemplificazioni non sono esaustive dei modelli patogenetici. Riferendomi alle tre suddette si può rilevare una caratteristica comune: esse attivano lo stesso processo: richiedono all’individuo l’impossibile. Ossia di atteggiarsi, valutare e agire nel contempo in modi che si escludono a vicenda essendo contraddittorî, come ad esempio di fare e non fare la medesima cosa. Tutte solidificano la “sofferenza affettiva” dello sclerato. Per la persona che si trova presa in tal morsa, e che è tanto maggiormente vulnerabile, più la sua personalità è impositiva aprioristicamente (ma priva di potere cogente) o troppo debole (in condizioni di forte carenza affettiva e sociale dall’ambiente circostante), ogni scelta possibile è sbagliata, ogni alternativa comporta danno e dolore. In tali condizioni, quando larealtà diventa talmente penosa da risultare soggettivamente insopportabile, si attiva il meccanismo psicologico di negazione dell’universo newtoniano. Egli/ella ricerca la “vera” esistenza nella chat, ove si può, invece, fare e non fare contemporaneamente la stessa cosa. Voglio porgere gratitudine all’Antico – Prof. jamaica – e agli Anziani – Prof. GiNo e Prof. NeverMind – le cui competenze, conoscenze e lunghissima amicizia, hanno consentito e confortato la mia permanenza ultra quattordicennale in chat e lo studio puntuale di ogni valore e fenomeno connaturati ad essa attraverso i tempi. Per finire profonda riconoscenza a mia figlia A., il cui sprone e aiuto mi hanno indotto ad andare avanti in un argomento non facile ad analizzare. A., unica erede del mio Spirito, delle mie Conoscenze, del mio Sangue. Dr. Hannibal Lecter Note (1) Per la precisione il mio nome era scritto Lecktor. (2) Pongo le virgolette a “trasgressori”, poiché il concetto stesso ditrasgressione esclude la civiltà del contratto sociale e vìola un ordine condiviso e perciò pure l’altra parte, realizzando una violenza. Nel predetto caso, invece, si erge ad una risibile amenità da club privé alla Fantozzi, e denota miserabile conoscenza dell’esegesi. (3) Cfr. il semplice e, al contempo, geniale intervento di Giuliano Corà ne “la Repubblica delle Donne”, N. 127, 24-30 novembre 1998, p. 274. (4) Giorgio Antonucci, Il pregiudizio psichiatrico, Elèuthera, Milano 1998, p. 22. (5) Klaus Dörner, I borghese e il folle, Laterza, Roma-Bari 1975. (6) Cfr. Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano 1963. (7) “Il termine greco mythos sembra avere la stessa radice del latino mutus; indica un racconto che non soltanto ‘parla’, ma nello stesso tempo tace, con un’alchimia di dicibile e indicibile che rinvia all’articolazione di entrambi e con il detto che campeggia sullo sfondo tacito del non detto, dell’ineffabile, di ciò che non siamo ingrado di esprimere compiutamente: e non perché non si può dire, ma perché non si finirebbe mai di dire. Da qui la ricchezza, il fascino e la plasticità dei miti, ma anche la loro relativa sterilità e il loro carattere fuorviante, qualora vengano usati come argomenti. Lasciano certo emergere e dipanare quanto d’implicito è contenuto nella nostra mente e nei nostri affetti, i quali – diversamente dai teoremi – non sono suscettibili di dimostrazione. Se non si lasciano confutare, essi non sono, tuttavia, neppure suscettibili di conferma” (Remo Bodei, Ma i miti sono solo tappabuchi? “Il Sole-24 Ore”, Domenicale del 1° maggio 2005). (8) François Laplantine, L’etnopsichiatria, Tattilo, Roma 1974, p. (9) Foucault, cit., p. 17. (10) Il servizio si pone essenzialmente come forma di tutela da qualsiasi tipo di abuso o cattivo uso della pratica psichiatrica. (11) Frieda Fromm-Reichmann, Principles of Intensive Psychotherapy, Chicago, University Of Chicago Press 1960. (12) GiuseppeFerroni, Una lettura dell’agire psichiatrico, I § de La funzione sociale della psichiatria nella parte terza: Società e follia. Problemi di oggi, in Giovanni Del Poggetto, Giuseppe Ferroni, Flora La Selva, Alessandro Puccetti, La follia: immagini e significati. Interpretazioni materiali e esperienza per una nuova pratica psichiatrica, Nuova Guaraldi Editrice, Lucca 1980, pp. 111-113. DIZIONARIO ESSENZIALE Autismo: La perdita del contatto con la realtà e la corrispondente costruzione di una vita interiore propria, che alla realtà viene anteposta; frquente nella schizofrenia Catatonia: Sindrome caratterizzata dal persistere di un atteggiamento corporeo qualsiasi, assunto spontaneamente o per imposizione Cretinismo: Deficienza di sviluppo mentale e fisico per insufficienza della funzione tiroidea Demenza: Sindrome caratterizzata da indebolimento o perdita delle facoltà intellettuali in seguito a lesioni della corteccia celebrale D.o.c. (Disturboossessivo-compulsivo): Tale disturbo consiste in un disordine psichiatrico che si manifesta in una gran varietà di forme, ma è principalmente caratterizzato dall’anancasmo, una sintomatologia costituita da pensieri ossessivi associati a compulsioni (azioni particolari o rituali da eseguire) che tentano di neutralizzare l’ossessione. Ebetismo: Manifesta ed insanabile ottusità di mente; annebbiamento cronico delle facoltà intellettive Eziologia: Parte di una scienza che studia le cause di un fenomeno; in med., il complesso sistematico delle cause delle malattie Isterismo: Psicosi in cui possono comparire, da soli o variamente associati, molti sintomi che possono simulare le più varie malattie Neurologia: Parte della medicina che studia l’anatomia, la fisiologia e la patologia del sistema nervoso Nevrastenia: Stato di debolezza irritabile che si manifesta con na serie di sintomi che vanno dalla cefalea prevalentemente nucale al cardiopalmo ed allaipereccitabilità Nevrosi: Affezione legata a una sofferenza del sistema nervoso, non provocata da lesioni anatomiche e non collegata a fenomeni psicopatologici (ad. es.: n. cardiaca, intestinale) Oligofrenia (o frenastenia, idiozia): Deficienza mentale congenita o acquisita nella propria infanzia, provocata da lesioni del germe, disturbi delle ghiandole endocrine, meningiti, encefaliti, emorragie e contusioni del cervello Organicismo: In psichiatria, corrente di studi che riconduce e postula alla base delle malattie mentali una lesione anatomica e biochimica del cervello, o una malattia o eziologia ignota Paranoia: Psicosi caratterizzata dallo sviluppo di un delirio cronico (di grandezza, gelosia, persecuzione, ecc.), sistematizzato, coerente, che evolve lentamente, lasciando integre le restanti funzioni psichiche Psichiatria: Branca della medicina che ha per oggetto la diagnosi, la terapia e la prevenzione delle cosiddette malattie mentali Psicoanalisi: Disciplinafondata da Freud sia come psicologia generale dell’attività mentale, sia come forma di psicoterapia volta soprattutto a interpretrare i processi inconsci attraverso l’analisi delle libere associazioni prodotte dal paziente e dal rapporto di transfert Psicologia: Scienza che studia i fenomeni della vita affettiva e mentale dell’uomo (istinti, emozioni, sentimenti, percezioni, memoria, volontà, intelligenza) e il comportamento degli animali Psicopatia: Anomalia patologica della personalità, in quanto motivo di pericolo per il soggetto o la società Psicosi: La malattia mentale, in quanto si manifesta e si definisce con una serie di anomalie psichiche di ordine specialmente qualitativo Schizofrenia: Grave stato caratterizzato da dissociazione tra le varie attività psichiche fondamentali Transfert: Processo per cui un desiderio o un conflitto inconscio viene trasferito su una persona diversa da quella cui originariamente legato; nella relazione psicoanalitica, la proiezionesull’analista delle pulsioni, positive o negative, che il paziente provava in precedenza per altri Dr. Hannibal Lecter (Baltimora – md (Usa)
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