Porcellum, delizia e dolore
 











Sulla riforma della legge elettorale non c’è accordo. L’estenuante confronto in commissione Affari protrattosi per settimane non ha dato nessun esito positivo. E così la palla passa all’aula parlamentare del Senato. I partiti di centrosinistra e di centrodestra non sono quindi riusciti a trovare la quadra, benché tutti si siano sempre espressi per la cancellazione del Porcellum. E questo nonostante le continue sollecitazioni del capo dello Stato Napolitano e dei due presidenti di Camera e Senato. Il nodo è rappresentato dalle preferenze. Mentre l’Udc, il Pdl e la Lega sono favorevoli ad un ritorno del boccino nelle mani degli elettori, il Pd è assolutamente contrario. E così il braccio di ferro si sposterà nell’aula parlamentare. Sulla riforma della legge elettorale si giocano più partite, a cominciare da quella tra gli alleati piddini e centristi. Il nervosismo tra Casini e Bersani potrebbe davvero mettere a rischio l’intesa di correre assieme perle prossime politiche. Tra collegi uninominali, preferenze e riforma dello Stato in senso presidenziale è difficile che si trovi una via d’uscita. Oltretutto senza un vero obiettivo è difficile seguire l’una e l’altra squadra. Se si propone il cambiamento del modello elettorale o del sistema istituzionale bisogna anche dire a che pro? Alcuni come il Pd, l’Idv e Sel sostengono che con il maggioritario si sa subito chi governa mentre con il proporzionale bisogna aspettare tutta una serie di consultazioni tra grandi e piccoli partiti prima di vedere la luce. Di tutta questa bagarre sul modello da scegliere non ci piace la scelta del Pd di bollare le preferenze come portatrici di corruzione. Non è così perché la corruzione è sempre un pericolo esistente sia nell’uno che nell’altro modello elettorale. Come in qualsiasi altro modello istituzionale. Non è che passando dalla repubblica parlamentare a quella presidenziale ci mettiamo al sicuro dal cancro delle corruttele.
Purtroppo è un maleendemico che accompagna la società, a prescindere dalla scelta elettorale o del modello istituzionale. Questo però non vuol dire che non la si debba combattere, anzi occorrono norme più severe e senza scappatoie. Ma per la dirigenza del Pd si continua a menare il can per l’aia sostenendo che con le preferenze la corruzione è inevitabile. E quindi si preferisce il sistema maggioritario con i collegi uninominali. Questo discorso potrebbe valere se davvero fosse così. Ma non è così. E lo dimostrano proprio questi 18 anni di maggioritario, con scandali e ruberie a ripetizione che hanno visto coinvolti quasi tutti i partiti. Si ruba nel centrodestra come nel centrosinistra. Il caso Lusi, il caso Belsito, il caso Penati, il caso Frisullo, il caso Tedesco, il caso Del Turco, il caso Fiorito, tanto per citare alcuni protagonisti del magna magna trasversale. All’interno del Pd non c’è solo la proposta del segretario (quale?) ma anche quella della cosiddetta agenda Monti. “Riprendiamo ildibattito alla Camera sul testo di riforma istituzionale -si legge nel documento della corrente pro-tecnici- e portiamo subito al Senato la riforma elettorale a doppio turno. Noi chiediamo al nostro partito, al Pd, di farsi protagonista di un’iniziativa in questo senso”. Quindi in parte danno anche ragione a Berlusconi che più volte aveva proposto la via del presidenzialismo alla francese, ritenendo i tempi possibili. Cosa che per l’antiberlusconismo militante è ovviamente inattuabile. Comunque le riforme non servono a nulla se non si ha la volontà di cambiare le cose. Se si continua a prendere ordini dalla Bce, da Bruxelles e dal Fmi è chiaro che non si va da nessuna parte. E soprattutto non si va nella direzione giusta ovvero della difesa del bene comune.michele
mendolicchio
Nuova legge elettorale ma vecchie migrazioni
Uno dei punti sui quali si fonda, da sempre, una campagna elettorale in Italia, è nel millantare promesse, nell’annunciare programmi positivi e risolutivi edi mantenerli, a differenza degli altri schieramenti.
Si cerca, così, di generare fiducia negli elettori, anche verso quelli apparentemente più sicuri ma a rischio perché influenzabili dai messaggi televisivi.
L’invito alla fiducia nel candidato è ribadito più volte e si basa su un rapporto di fedeltà che si dovrebbe instaurare, a urne chiuse e poltrone assegnate, tra il politico e l’elettore.
La fedeltà dovrebbe fondarsi non solo su un’adesione e un perseguimento degli obiettivi annunciati ma dovrebbe rispecchiare la scelta originaria di campo del candidato, premiata dall’elettore alle urne. Una scelta indiretta, nei tempi più recenti, perché non derivante da preferenze espresse, ma si tratta, comunque, di politici che hanno messo il loro viso su grandi manifesti a cui è stato collegato un determinato e unico simbolo. E’ in questa fase che il candidato ossessiona l’elettore con il proprio simbolo e sputa veleno sugli avversari; in seguito muteranno le situazioni con nuoviamici da santificare e nuovi nemici da criticare.
L’elettore deve sapere bene, tuttavia, come un 17% dei parlamentari attuali abbia effettuato almeno una variazione di “squadra”; in termini numerici è uno su 6 e ancora non è finita.
L’attuale legislatura, seppur “limitata” da un governo tecnico imposto per rimediare (pura astrazione) ai guai sopraggiunti, nata il 29 aprile 2008, continua a vivacchiare e lo farà sino alla primavera del 2013, alla naturale conclusione. Al momento, dunque, sono trascorsi circa 4 anni e mezzo ed è il lasso di tempo più opportuno per stilare bilanci: di programmi, di spese, di sprechi, di leggi, ma anche su alcune curiosità “ideologiche” (termine sconosciuto dai nostri parlamentari stando ai risultati che si possono snocciolare). Il punto di riferimento deve essere sempre quello primario: il rispetto, da parte dell’eletto, per chi ha votato la lista e ne ha premiato, fidandosi, i programmi.
L’analisi sulla composizione dei gruppi parlamentari (acui, a termine di regolamento, devono iscriversi tutti i parlamentari) mostra dei dati interessanti: alcuni partiti (e relativi gruppi) sono scomparsi, altri sono nati, altri hanno perso vistosamente terreno; il tutto per una commistione di correnti diverse, litigi, nuove alternative o mosse profittatrici.
Basti pensare che dagli 8 (più quello dei non iscritti) gruppi originari, alla Camera si è arrivati a 18 (a cui sommare quello dei non iscritti, nel frattempo più cospicuo, da 3 a 9 membri). Si sono, dunque, più che raddoppiati e agli originari di Pdl, Pd, Lega, Udc, Idv, MpA, misto e minoranze linguistiche, se ne sono aggiunti altri.
Le novità non sono state poche, né di lieve entità poiché hanno riguardato una “migrazione” elevata di parlamentari. Si è aggiunto il gruppo di Fini (quello del Fli), poi, a compensare le perdite del centrodestra, è sorto quello di Popolo e territorio; da ricordare anche quello dell’Api.
In termini numerici le squadre sono state rivoluzionatein un “calciomercato” che ha cambiato gli equilibri. Per capire, occorre ricordare i partiti maggiori: al momento il gruppo del Pdl è sceso da un originario numero di 275 deputati a 209; il Pd ha perso meno, da 217 a 205; la Lega è rimasta stabile da 60 a 59; l’Udc da 35 a 38; il misto ha raccolto tutti i delusi ed è passato da 14 a 52; Fli è nato nel 2010 con 32 iscritti e ora è a 26; Popolo e territorio è nato nel 2011, passando da 23 iniziali a 21 oggi; l’Idv da 29 a 20.
Anche al Senato ci sono stati dei cambiamenti sostanziali con perdite per tutti i partiti e i gruppi maggiori: Pdl da 146 a 127; Pd da 119 a 104; Lega da 26 a 22; Idv da 14 a 12. A beneficiarne sono stati i gruppi minori: il misto (da 6 a 13) e quello unito fra Api e Fli, attestato a 14.
Un quadro parlamentare, dunque, completamente stravolto rispetto all’insediamento, una situazione che nessun elettore avrebbe immaginato. E meritato.
Altro che nuova legge elettorale e speranza di scegliere il propriorappresentante! Sbandierare, come panacea dei mali la novità della legge elettorale, in cui includere le preferenze, dopo gli steccati del Porcellum, è mossa meschina e minimale. E’ un mezzuccio per distrarre l’attenzione ma le piazze e le vie cominciano a riempirsi e a fornire spunti di vera rivolta. Chi ha perso o sta perdendo il lavoro non ha molto interesse a conoscere le peculiarità della nuova bozza elettorale. Si vuol far credere, forse, che con la scelta della preferenza in cabina, il trasferimento di massa dei parlamentari possa diminuire o cessare? Non è così, lo dimostrano le legislature del passato, quando la legge di Calderoli non era neanche in programma.
Scegliere il proprio nominativo, in cabina elettorale, può dare un’iniziale ed effimera sensazione di benessere, gonfi del proprio dovere e del proprio diritto. Un’esaltazione suggellata, poi, in caso di elezione del tizio a cui si è dato il voto.
Come una droga, l’entusiasmo iniziale comincia a scemare, a diveniredepressione o rassegnazione quando si è traditi dal parlamentare non più fedele che cambia gruppo; questi, in genere, giustifica il proprio atto con una sacrificale presa di coscienza per un ingrato partito in cui non si riconosce più.
Oltre 150, tra deputati e senatori, hanno cambiato, almeno una volta, la casacca di appartenenza originaria.
Non esiste “calciomercato” nella politica (nonostante le accuse piovute a Berlusconi da parte di Di Pietro), non c’è un contratto firmato con una società privata e da stracciare per un’offerta migliore che soddisfi l’interessato, la squadra/partito e il procuratore intermediario. Non c’è neanche una valutazione di fine stagione, dinanzi alla quale il valore del singolo potrebbe essere penalizzato per nefandezze o aumentato per meriti. La condotta della classe politica, capace di condurre il Paese in tale situazione disperata, è fuori dalla valutazione.
Il contratto virtuale, quello firmato con gli elettori, si straccia senza tema e senzala responsabilità di rispettare scadenze particolari.
E’ bene ricordare che, nelle stradine limitrofe a Montecitorio e a Palazzo Madama, si aggirano nuovi personaggi ingombranti e mediaticamente temibili, come Grillo, Vendola e Montezemolo, che bramano per entrare in scena e rimescolare, ancora una volta, le carte con la precedente legislatura. Anche loro promettono un “contratto” e un accordo con gli elettori. I mesi che precederanno l’estate prossima, saranno i primi banchi di prova per questi nuovi partiti e per questi nuovi volti, molti giunti dal web.
La storia insegna che la tendenza è sempre viva e non conosce mutazioni, c’è da vedere se i nuovi, unti dal sacro olio della “preferenza”, saranno più fedeli al programma, alle idee, alle ideologie, al partito per il quale espongono il proprio viso. In caso contrario, potrebbe essere introdotta una nuova normativa per la campagna elettorale: su manifesti, “santini” e similari, il candidato pone in primo piano il partito o lacoalizione per la quale si schiera; in basso inserisce due o tre partiti di riserva (dovrebbero bastare) nei quali può finire in caso di “variazioni programmatiche”. Non cambia invece l’unica alternativa programmatica per l’elettore: divenire un ex votante, disertare le urne o, nell’ipotesi meno “cruenta”, lasciare scheda bianca o nulla.Marco Managò









   
 



 
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