-Ospedali infetti, in 500mila si ammalano in corsia- Fino al 17% dei pazienti contrae malattie. Soprattutto in terapia intensiva. Il 3% muore. E Sirchia sta a guardare Ammalarsi in ospedale. Può sembrare un paradosso ma non lo è. Sono, infatti, ben 500mila - su nove milioni e mezzo di ricoverati all'anno in Italia - i pazienti che avrebbero contratto infezioni dopo il ricovero, soprattutto nei reparti di terapia intensiva dove circolano batteri multiresistenti agli antibiotici. Tra le più diffuse, setticemie, polmoniti, infenzioni da catetere venoso centrale, infezioni urinarie e del sito chirurgico. Le percentuali oscillano tra il 5 e il 17% dei degenti mentre la mortalità raggiunge il 3%. A riferirlo - rispondendo a una interrogazione parlamentare dell'azzurro Aldo Perrotta che chiede quali iniziative il governo intenda adottare perprevenire e fronteggiare le infezioni ospedaliere - è direttamente il ministro della salute Girolamo Sirchia. «I sistemi di sorveglianza e di controllo - ammette Sirchia - sono ancora piuttosto disomogenei non solo da Paese a Paese ma anche a livello nazionale nonostante che negli ultimi anni siano stati messi a punto e implementati numerosi programmi». Nonché comitati. Come le commissione istituite nel `98 con il compito di promuovere un'azione di controllo per la lotta alle infezioni negli ospedali. Commissioni costituite da operatori sanitari, medici, igienisti e infettivologi incaricati di fotografare i singoli presidi sanitari ma attive solo al 50%, su base volontaristica e spesso esistenti solo sulla carta. Difficile andare a caccia di colpevoli. «Nessuna sanzione è prevista per le strutture ospedaliere che decidano di non istituire le commissioni - è il commento di Stefano Inglese del Tribunale dei diritti del malato - così che tutto ricade sulla sensibilità deidirettori sanitari e degli operatori. In Italia non sono poche le esperienze andate a buon fine ma tutte sono legate all'intervento di singoli operatori di buona volontà». E pare che a pregiudicare la costituzione delle comissioni non siano neanche problemi legati ad eventuali coperture finaziarie. «L'attività delle commissioni - continua Inglese - consiste soprattutto nel delineare linee guide interne e procedure di controllo nonché nell'organizzare corsi di formazione. Il problema dei soldi viene dopo. In realtà, da noi, è mancato quel salto di qualità necessario a comprendere la necessità di investire, come sistema, sulla prevenzione dei fattori di rischio e di farlo con un approccio sistemico. E tra i fattori di rischio rientrano anche le infezioni». Quanto a Sirchia - oltre che a esibire come inutile fiore all'occhiello il rapporto della Commissione tecnica sul rischio clinico da lui stesso istituita nel 2003 - resta a guardare. E dal ministro della salute arrivano, ieri,solo ridicoli consigli di buon senso: attenzione all'igiene personale e ambientale, riguardo al lavaggio delle mani e utilizzo sapiente di mascherine, camici, sovrascarpe e guanti. Il Manifesto 10-3-05 I. Va.
-La via crucis per un ricovero in ospedale- In Puglia il diritto alla salute è sceso all'ultimo posto. Ne sanno qualcosa le donne di Terlizzi, protagoniste due anni fa di una lunga lotta contro la chiusura del nosocomio. Ora per un parto sono costrette a girare mezza regione. E il loro ospedale è stato trasformato in cronicario Si erano battute perché non accadesse proprio quello che sta avvenendo in questi giorni. Casi tragici di malasanità quale quello della signora Montalbò, sette ore alla ricerca di un posto in ospedale prima di morire e la conseguente lettera del figlio: «Caro presidente, lasua riforma sanitaria ha ucciso mia madre Anna». O l'invito del direttore generale del Policlinico di Bari a «tutti i direttori delle unità chirurgiche non in urgenza a rinviare interventi per i quali sia ipotizzabile la necessità di assistenza rianimatoria post-operatoria» per mancanza di posti in rianimazione. Tutta colpa dell'epidemia di influenza, per il ministro Sirchia. Tutta colpa dei tagli di Raffaele Fitto, invece, per le donne di Terlizzi, che già due anni e mezzo fa si misero di traverso al governatore in visita all'ospedale per annunciare un «piano di riordino» tutto lacrime e sangue. Era il 19 agosto del 2002, e i cittadini fecero in modo che Fitto rimanesse bloccato in auto per un'ora abbondante prima di dover fare marcia indietro. «Il giorno dopo ha detto che a fermarlo erano stati i no global, invece c'erano donne e persone anziane», dice uno dei contestatori di allora, un uomo di mezza età. Eppure, per quella vicenda sono stati rinviati a giudizio in sei, e il processocomincerà ai primi di maggio, quando la partita elettorale avrà già dato il suo responso: la riconferma del giovane rampollo di una dinastia politica prima monarchico-fascista poi democristiana o la vittoria dell'outsider con l'orecchino Nichi Vendola. Ma si sa, Terlizzi è la tana del nemico, la roccaforte dei comunisti vendoliani, la casa di zio Francesco e zia Tonia, i genitori di Nichi, dunque cosa c'era da aspettarsi? Fosse stato solo così, Fitto non sarebbe stato contestato praticamente a ogni tappa del suo tour, e il 3 febbraio del 2003 ai direttori generali delle Ausl e al coordinatore del 118 non sarebbe arrivata un'altra lettera, in cui si chiede di «utilizzare i posti nella sanità privata» perché in quella pubblica scarseggiano, firmata dall'assessorato alla Sanità. Due anni e mezzo dopo, nella cittadina diventata l'enclave degli anti-Fitto si riuniscono i comitati di lotta contro la chiusura degli ospedali. Sono venuti da tutta la regione e c'è anche Vendola, che è dasempre uno di loro. Tanto che le donne del comitato hanno già deciso di rimettersi sul pullmino che un anno fa fece il giro della Puglia per spiegare i danni della riforma e fare campagna elettorale «dal basso» a favore di Vendola. Non si stupiscono, le donne di Terlizzi, del fatto che oggi mettersi in lista di attesa per una mammografia in un ospedale pugliese vuol dire aspettare anche due anni, un record nemmeno lontanamente eguagliabile nel resto d'Italia. E' per questo che i giudizi sono piuttosto netti. I reparti chiusi? «Ci hanno tolto la vita per darci la morte». Così commentano la sostituzione dei reparti di Ginecologia e Ostetricia con la lungodegenza. «Hanno creato un cronicario, niente di più, dove prima esisteva un ospedale efficiente», accusa Ernesto Tajani, il primario che alla fine di gennaio del 2004 fu costretto a riaprire il reparto chiuso per evitare che tre donne, in un estremo gesto di protesta, partorissero per strada. Erano giorni di grande agitazione, per duemesi i cittadini avevano tenuto un presidio fisso, giorno e notte, davanti all'ospedale per evitare che portassero via le attrezzature, tra cui una Tac nuova di zecca, e pochi giorni prima erano scese in piazza contro la chiusura ben 30 mila persone. Lo scenario disegnato da Tajani, salernitano di Pagani trapiantato da queste parti da più di vent'anni, è decisamente scuro: «La sanità in Puglia è peggiorata notevolmente dopo il riordino, c'è stato un secco taglio dei posti-letto, è diminuita l'assistenza diffusa sul territorio. Un altro grosso errore è stato quello di dividere il polo medico da quello chirurgico, facendo aumentare i "viaggi" di malati da un ospedale all'altro. Per fare un esempio, chi ha un incidente viene portato prima a Terlizzi per la Tac e poi trasferito a Corato per essere operato. Ci sono inoltre casi di anziani che non hanno trovato posto da nessuna parte. Questo prima non accadeva». Anna un anno fa era incinta ma non abbastanza per poter disobbedire come lealtre tre mamme. Quando è arrivato il momento, a maggio, la protesta era ormai terminata e il reparto definitivamente chiuso, e così è dovuta andare a partorire a Bari. Persa la battaglia, da allora ha un altro obiettivo: vincere la guerra contro Fitto. E oggi è una delle promotrici della ricostituzione della rete dei comitati in difesa della sanità pubblica. «Abbiamo ricevuto diverse segnalazioni di liste d'attesa troppo lunghe e di casi di malasanità. Questo ci ha dato la forza di ricominciare», dice. Perché ci sono i casi eclatanti che finiscono sulle prime pagine dei giornali, come quello della signora Montalbò. E quelli che non fanno notizia di chi ti racconta come «ho perso l'udito a un orecchio alla vigilia di Natale perché prima mi hanno fatto pagare il ticket e solo dopo ho scoperto che l'otorino era in ferie e nessuno poteva curarmi». «Abbiamo voluto aspettare un anno per vedere come cambiava l'ospedale», dicono, «ma da allora hanno messo solo i fiori», altro che polod'eccellenza. «Vogliamo creare un nodo tematico sulla sanità per poi produrre un programma "partecipato" da proporre a Vendola», spiega Donatella. Al primo punto, manco a dirlo, c'è il ritiro del piano di riordino ospedaliero. E Fitto? Risponde al figlio della signora Montalbò che lo tira in causa dicendo che «il piano ospedaliero non ha niente a che vedere con il decesso di sua mamma», accusa la stampa di alimentare speculazioni politiche nei suoi confronti in vista delle elezioni e intanto tappezza la Puglia di manifesti con su scritto «la salute prima di tutto». E vanta come fiori all'occhiello l'istituzione del 118 in tutta la regione, lo stesso che ha impiegato un'ora per arrivare a casa Montalbò (e altre sei per trovarle un posto in ospedale, ormai morta) e la prossima inaugurazione della quarta unità di rianimazione, per tentare di risollevare i consensi alla vigilia delle elezioni. Senza dire che il piano da lui voluto ne prevedeva dieci e che nel secondo ospedale delmeridione, a Bari, è vietato operare perché non ci sono più posti. In rianimazione, appunto. Angelo Mastrandrea
-Lo smog fa 310mila vittime ogni anno- Lo rivela uno studio dell'Ue sull'inquinamento. Sono 39mila i decessi in Italia. Peggio di noi solo la Germania, con 65 mila morti all'anno. Lo smog accorcia la vita in media di 8,7 mesi «Attenzione, pericoloso respirare». Un simile cartello potrebbe benissimo apparire all'ingresso di molte città europee, sempre più strangolate dalla morsa dell'inquinamento. E non sarebbe affatto un'esagerazione, come sa bene la Commissione europea che in un rapporto che verrà reso pubblico oggi a Bruxelles, e anticipato ieri dal quotidiano inglese Indipendent, rilancia l'allarme sulla pessima qualità dell'aria delle nostre città, resa sempre più velenosa dalla presenza di polveri sottili. La denuncia è forte: chi respira smog vive in media 8,7 mesi in meno. Nesanno qualcosa i circa 310 mila europei che ogni anno muoiono a causa dell'inquinamento atmosferico, il 90% dei quali si ammala e muore a un attacco cardiaco provocato proprio dalle polveri sottili emesse dai gas di scarico di auto e ciclomotori (in particolare diesel), ma anche dalle industrie e dagli impianti di riscaldamento domestico. Il restante 10% dei decessi è dovuto invece a malattie respiratorie causate dall'ozono. Una strage che si consuma giorno dopo giorno. Il paese dell'Unione che paga maggiormente il prezzo dell'inquinamento è la Germania, con più di 65 mila decessi l'anno, seguito al secondo posto proprio dall'Italia con 39 mila morti l'anno. Dietro coi sono la Francia e la Gran Bretagna. Il Lussemburgo, con la sua piccola popolazione, è all'ultimo posto con 282 morti. Secondo le anticipazioni dell'Indipendent, i cittadini europei più colpiti dallo smog sono i belgi, a cui l'inquinamento può ridurre la vita di 13,6 mesi, mentre i più fortunati da questo punto divista sono i finlandesi, con una media di 3,1 mesi in meno. Il rapporto preparato dalla Commissione europea è stato inviato a tutti i governo dell'unione , alle industrie e ai gruppi di pressione e rappresenta il primo tentativo di affrontare il problema dell'inquinamento a livello continentale. In Italia intanto ieri è trascorsa un'altra domenica di blocco del traffico in molti comuni del centro-nord, favorita anche dalle cattive condizioni del tempo che ha consentito una diminuzione delle polveri sottili. Da oggi la circolazione torna normale in tutta la Lombardia, ad eccezione dei veicoli non catalitici per i quali fino al 28 febbraio resta in vigore il blocco dalle 8 alle 10 e dalle 16 alle 19. Da segnalare, infine, una dichiarazione del ministro Pietro Lunardi,c he sembra aver cambiato idea sulle grandi opere. L'inquinamento è un problema che va risolto una volta per tutte, ha detto il ministro: «E' inutile fare investimenti sulle grandi opere se poi non c'è la salute». Comedargli torto? M. D. C.
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