Si è aperto nel tribunale civile dell’Aja, in Olanda, un processo contro la Shell, chiamata in causa da quattro contadini nigeriani che accusano la multinazionale anglo-olandese di aver provocato danni ambientali nell’Ogoniland, a sud della Nigeria. Secondo l’accusa, una fuoriuscita di petrolio avvenuta nel giugno del 2005 ha distrutto l’ambiente circostante ai villaggi di Goi, Oruma e Ikot Ada Udo, nel Delta del Niger, inquinando le zone di pesca, i terreni coltivabili e le falde acquifere. I contadini locali sostengono che la Shell impiegò 12 giorni per riparare l’oleodotto, guastato dalla corruzione di un tubo sotterraneo, e chiedono che l’azienda petrolifera ripulisca i terreni contaminati dalla fuoriuscita del greggio. Secondo la Shell, gran parte delle perdite sono state causate da sabotaggi e furti da parte della popolazione locale. Per questo, si sente giustificata a non “ripulire” ciò che ha sporcato. La multinazionale inoltresostiene che il caso debba essere gestito da un tribunale nigeriano. È la prima volta infatti che una multinazionale olandese viene citata in un tribunale civile in patria per danni causati all’estero. Ma non è l’unico processo in cui la multinazionale deve rispondere delle sue attività in Nigeria. Nel 2010, la comunità di Bodo si è rivolta per lo stesso motivo al tribunale di Londra. Il processo contro la Shell è tuttora in corso. Nell’agosto del 2008, una falla dell’oleodotto Trans-Niger ha provocato una grande fuoriuscita di greggio nella zona di Bodo, che è durata per quattro settimane. Si calcola che venne dispersi nell’ambiente circa quattromila barili al giorno. Un mese dopo ci fu una seconda perdita, sempre a causa delle cattive condizioni dell’oleodotto, che la Shell fermò dopo 10 settimane. Da allora non c’è stata alcuna bonifica, nonostante l’azienda anglo-olandese abbia riconosciuto la propria responsabilità. Non si tratta dunque di casi isolati. Le perdite daglioleodotti, i guasti nelle condutture, gli scarichi di rifiuti e la pratica illegale del “gas flaring” (con cui il gas che fuoriesce dai giacimenti di petrolio viene bruciato dalle compagnie a cielo aperto) sono all’ordine del giorno. La Shell, come le altre multinazionali petrolifere, non si preoccupano di riparare con tempestività i guasti e per giorni, se non per mesi, il versamento di petrolio continua a inquinare i fiumi e i terreni. I danni ambientali sono devastanti: l’aria è irrespirabile, l’acqua è inquinata ma la popolazione locale è costretta ad usarla per bere, cucinare, lavarsi. Il tasso dei tumori ai polmoni e alla pelle è altissimo. Nel Delta del Niger petrolio significa morte. L’anno scorso, nell’agosto del 2001, un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) ha rilevato la portata e l’impatto dell’inquinamento da petrolio nell’Ogoniland, nel cuore del Delta, denunciando le nefandezze della Shell e chiedendo alla compagnia un maxi risarcimento. “Ilcontrollo e la manutenzione di impianti petroliferi in Ogoniland resta inadeguata: le procedure specifiche della Shell Petroleum Development non sono state rispettate, portando a problemi di salute pubblica e di sicurezza” si legge nel rapporto dell’agenzia dell’Onu, in cui si sollecitò la più “grande” e “lunga” bonifica di tutti i tempi “per riportare l’acqua potabile, la terra le foci e importanti ecosistemi contaminati”. Si parla di “25-30 anni” per risanare il Delta del Niger. Dalla pubblicazione del rapporto ad oggi, nulla si è fatto. Colpa della giustizia nigeriana corrotta, della negligenza della classe politica di Abuja e del menefreghismo delle multinazionali che pensano solo a fare soldi senza rispettare le regole ambientali e i diritti elementari dell’uomo.F.D.
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