Senza credito, le imprese si fermano
 











La riduzione del credito da parte delle banche alle imprese rappresenta un fatto innegabile.
Una realtà che peggiora la situazione dell’economia nazionale, già provate da una recessione i cui effetti drammatici sono sotto gli occhi di tutti.
Si tratta di quel fenomeno indicato come “credit crunch” e che teoricamente non dovrebbe sussistere perché le banche italiane, tra novembre e marzo scorsi, hanno ricevuto dalla Banca centrale europea una bella fetta (quasi il 25%) dei 1.000 miliardi di euro in presiti triennali (al tasso dell’1%) versati proprio per finanziare imprese e cittadini, sostenere la domanda interna e rilanciare la crescita economica. Soldi che finora non si sono visti, considerato che troppe banche italiane le hanno utilizzate per ricapitalizzarsi. Per rifarsi quindi delle perdite subite a causa di investimenti andati a male e a volte anche di semplici speculazioni.
Siamo tornati a finanziare l’economia, si sono difesi idirigenti dei principali istituti di credito del Paese. Peccato che le imprese italiane non la pensino così visto che vivono sulla propria pelle una deriva che sembra inarrestabile. Se non ci fanno credito, è l’ovvia replica, si riducono in misura significativa le potenzialità di crescita del Paese.
Il rapporto dei Giovani Imprenditori di Confcommercio su “Credito e burocrazia” svolge un’analisi impietosa di quanto sta accadendo e che accomuna i problemi dell’intero settore a quelli dell’industria. Nel terzo trimestre del 2012 è peggiorata infatti la capacità delle imprese di fare fronte al proprio fabbisogno finanziario.
Soltanto il 30,8% delle imprese dei servizi, commercio e turismo non ha registrato alcun problema, contro un 19,3% che non vi è riuscito ed un 49,9% che vi è riuscito ma con difficoltà. Una percentuale che peggiora di molto se si scende al Sud.
In linea generale si registra un irrigidimento delle banche nel rinegoziare con le imprese le condizioni vigenti dicredito tanto che è divenuta la norma la richiesta di alzare il tetto degli scoperti. Insomma, lamentano le imprese, questa è una fase nella quale avremmo bisogno di una boccata d’aria per superare difficoltà che sono comuni un po’ a tutti e per investire in maniera da cogliere subito i primi segnali di una ripresa che, per forza di cose, non potrà che arrivare. Ma se le banche non fanno credito l’economia non potrà che rallentare ulteriormente perché verranno compromesse tutte le potenzialità di crescita del Paese.
Confcommercio rimarca poi che nelle banche, dall’inizio di ottobre, ci sia stato il ritorno, sotto altre vesti, della vecchia ”commissione di massimo scoperto”. Una novità che in particolare al Sud penalizza le imprese che sono costrette ad utilizzare gli affidamenti per finanziare scorte, stipendi dei dipendenti o altre operazioni, in alternativa a prodotti di credito più funzionali e meno onerosi, ai quali non si riesce ad accedere. Le banche insomma cimarciano.
Un altro fronte di scontro è dato dalla gestione delle carte di credito e di debito il cui utilizzo, accusa Confcommercio, viene gravato da commissioni con costi elevati a beneficio delle banche e dei gestori dei circuiti, mentre penalizza sia chi compra che chi vende. Una tendenza che da 2014 non potrà che peggiorare. Da quell’anno sarà infatti introdotta definitivamente la norma che obbliga ad effettuare i pagamenti per importi superiori a 50 euro con assegni o con carte di credito. E le banche stanno già pregustando i guadagni che realizzeranno. Andrea Angelini









   
 



 
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