Le nazioni appartenenti all’Unione Europea sono oggi le maggiori esportatrici mondiali di armi e tecnologie militari. Nel loro complesso, le operazioni concernenti gli armamenti compiute dai 27 Stati membri, superano di gran lunga le rimesse effettuate all’estero sia dagli Stati Uniti sia dalla Russia. La fetta più consistente dei trasferimenti – oltre il 45% – prende la direzione dei Paesi dell’emisfero Sud del mondo, fra cui l’Africa che nel 2011 ha pesato in percentuale per oltre il 18%, grazie alle vendite all’Algeria. E le industrie italiane di armi giocano un ruolo preminente in questa compravendita. E le nostre banche non si lasciano di certo sfuggire le ricche transazioni riguardanti il commercio internazionale di armi, che avvengono appunto attraverso l’intermediazione degli istituti di credito. Per chiarezza accenniamo che ciò significa, per i dati di competenza della legge 185/90 sull’export di armi, l’apertura di conti correnti daparte delle aziende armiere su cui far giungere i pagamenti delle forniture, attività per le quali gli istituti bancari ottengono compensi di mediazione che si aggirano attorno al 3-5%, in base al valore e al tipo di commessa. Le autorizzazioni alle banche che intendono accaparrarsi le cospicue provvigioni, vengono concesse dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro Direzione V - Ufficio I – che ogni anno stila pure un riepilogo generale degli istituti di credito coinvolti, e in cui compaiono tutti i dati del traffico, e per ogni banca interessata vengono trascritti il numero di autorizzazioni accordate nell’arco dell’anno, gli importi totali ricevuti, e viene evidenziata pure la percentuale riscossa dal singolo istituto sul totale cumulativo del lucroso affare. Una sorta di classifica delle “banche armate”, dunque, compilata dal Ministero, che in merito redige annualmente anche una relazione su esportazione, importazione e transito dei materiali diarmamento. Nulla di illegale, quindi, gli istituti di credito intervengono in attività debitamente consentite, tuttavia, per ovvie ragioni, gradirebbero che tali graduatorie non fossero rese di comune dominio, ma le ingenti somme del fecondo affare trapelano ad opera dello Stato, il quale ogni anno è tenuto a pubblicare anche un rapporto al riguardo, a cura dell’Ufficio del Consigliere Militare della Presidenza del Consiglio dei ministri, una raccolta delle relazioni sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento nonché dell’esportazione e del transito dei prodotti ad alta tecnologia. È il cosiddetto Documento “E” elaborato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro, e riunito in voluminosi tomi che compongono la Relazione al Parlamento sull’export di armi, rapporto pubblico, quindi, ma che non viene certamente pubblicizzato adeguatamente. Dall’analisi dei dati relativiall’ultimo anno disponibile, il 2011, è agevole constatare – come viene sottolineato con soddisfazione pure dal Ministero dell’Economia nel suo Documento “E” – che si è verificato un incremento del valore complessivo autorizzato, quantificabile, rispetto al 2010, intorno al 14%. La movimentazione finanziaria totale è stata di oltre 4 miliardi di euro, dei quali 2,5 miliardi per operazioni di esportazione, e i restanti 1,5 miliardi derivanti da importazioni di materiale d’armamento. E agli istituti di credito, per il loro lavoro di mediazione dell’ultimo anno contabilizzato, sono andati circa 113 milioni di euro, mentre nel 2010 avevano percepito 95 milioni, contro gli appena 36 milioni di euro del 2009, triplicando così, con l’annualità del 2011, i propri guadagni. Ma quali sono le principali banche inserite nella spartizione? Come negli anni precedenti, si assiste a una concentrazione di transazioni su taluni soggetti ben determinati, se osserviamo le sole esportazioni definitive.Infatti, sei istituti bancari hanno movimentato l’equivalente dell’80% dei flussi. E sono le filiali italiane delle banche straniere a fare la parte del leone nell’export dei sistemi d’arma. La Deutsche Bank è al primo posto con 345 autorizzazioni su un totale di 881, attestandosi come importo a 664.433.783,94 euro. Considerando le singole banche, l’istituto tedesco è saldamente in testa alla vetta. Se però sommiamo i totali conseguiti da banche facenti capo allo stesso gruppo, è l’alleanza BNP Paribas e BNL (Banca Nazionale del Lavoro) a salire in cima alla classifica. La succursale italiana della banca francese, difatti, ha totalizzato 491.388.309,46 euro, mentre la controllata BNL ha incassato 222.975.288,96 euro. Se prendiamo in esame i colossi bancari di casa nostra, emergono elementi abbastanza divergenti. UniCredit Banca è il primo istituto italiano attivo nelle transazioni e, sommando il suo totale con la divisione UniCredit Corporate Banking, raggiunge un importo di circa180 milioni di euro. È bene precisare che UniCredit è in costante e progressivo aumento in questo settore da quattro anni a questa parte, e tale dato è del resto in linea con la modifica delle direttive del gruppo, passato da un disimpegno annunciato una decina di anni fa a un rinnovato interessamento, nella consapevolezza che: “alcuni tipi di armamenti sono necessari al perseguimento di obiettivi legittimi, accettati dalla comunità internazionale, quali le missioni di pace e la difesa nazionale”. Va anche detto che, con la sua rete internazionale, distribuita in circa 50 mercati, UniCredit dovrebbe pubblicare una più trasparente rendicontazione degli atti svolti in altri Paesi, specialmente quelli nell’Est europeo, dalla Bulgaria alla Russia. Riportare sul proprio sito Internet solo il riepilogo dei valori delle operazioni assunte per le esportazioni di materiale bellico italiano – già noti dalle relazioni governative – suscita più di un interrogativo sul comportamento di UniCreditin altre nazioni, che tra l’altro non offrono, a differenza dell’Italia, informazioni dettagliate sull’export di armi. E poi, UniCredit è pure al primo posto in classifica fra le banche italiane per quanto riguarda i “programmi intergovernativi”, ovvero i progetti internazionali di riarmo, a partire dai cacciabombardieri “Eurofighter”, utilizzati per bombardare la Libia di Gheddafi, la quale fra l’altro deteneva, e conserva tuttora con i nuovi governanti, notevoli partecipazioni nella stessa UniCredit. In controtendenza, invece, l’altro colosso bancario italiano, Intesa-SanPaolo, il quale durante il 2011 ha movimentato soltanto 4.059,00 euro, posizionandosi all’ultimo posto. Nel caso in questione è doveroso rilevare che, in seguito all’adozione di nuove e più stringenti disposizioni, i vertici del gruppo bancario, fin dai tempi della fusione, hanno deciso di rinunciare gradualmente ai lauti introiti prodotti da questo commercio. Al gruppo, però, appartiene la Cassa di Risparmiodella Spezia S.p.A., che nel 2011 ha incassato ben 51.979.437,91 euro – occupando la quarta posizione in classifica – per conto della fabbrica d’armi spezzina Oto Melara e, quale banca di riferimento, da altre industrie militari locali. Chi non desiste dall’intermediazione sulla vendita di armi, e dai buoni profitti che ne scaturiscono, è il gruppo UBI Banca. Il Banco di Brescia, incluso nel gruppo bancario, nel 2011 ha totalizzato 119.866.736,93 euro, contro 1 miliardo e 228 milioni di euro del 2009. Inevitabile flessione, se si considera la contrazione degli ordinativi da parte dei Paesi occidentali ai quali, sostanzialmente, il gruppo UBI Banca circoscrive la propria operatività nell’export armiero. Comunque il Banco di Brescia, nel cui Consiglio di Sorveglianza siede, non a caso, Pietro Gussalli Beretta, vice presidente di Beretta Holding S.p.A., la maggiore azienda italiana produttrice di armi leggere, e una delle prime al mondo, con il suo risultato del 2011 è il secondo inclassifica fra gli istituti di credito italiani. Del gruppo UBI fanno anche parte la Banca Popolare Commercio e Industria, con un movimento di 43.473.615,48 euro, che occupa il quinto posto fra le banche nostrane, e il Banco di San Giorgio con 8.508.080,65 euro, piazzato all’ottavo posto, e che conferma così la funzione sempre più marcata degli istituti di esigue dimensioni, legati al territorio dove operano aziende armiere. E questi, in attesa della relazione del 2012, sono i rilevanti importi, poco conosciuti, del traffico internazionale di armi italiano del 2011, gestiti da quel mondo finanziario che non conosce crisi.Gianfranco La Vizzera
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