La vita è fatta di vibrazioni che inseguono un ritmo. Il ritmo biologico, cardiaco, respiratorio, fanno da direttore d’orchestra al nostro fisico. Ma quando salta una corda la vibrazione genera delle note stonate e allora è tutta un’altra musica. In barba a tutte le tendenze, in questo caso si rischia anche di rimetterci il posto di lavoro. Perché in pochi hanno la pazienza di aspettare e rispettare le sue mutate vibrazioni. “Se il ritmo cambia, la melodia continua” è lo slogan della “Giornata della Malattia di Parkinson” celebrata il 24 novembre, un importante progetto di ricerca per affrontare e combattere la patologia. Strutture ospedaliere ed esperti neurologi si sono messi a disposizione per dare spiegazioni sul disturbo che, in Italia, affligge circa 300.000 persone. L’iniziativa è nata per diffondere la conoscenza sulla malattia. Parola d’ordine: informazione, perché il primo passo per affrontarla sia la consapevolezza. Il professor PaoloBarone, presidente della Associazione Italiana Disordini del Movimento - Società Italiana di Neurologia, ci parla del problema e delle prospettive sul terreno di ricerca. Cosa garantisce una terapia farmacologica? “Attualmente non disponiamo di farmaci in grado di rallentare il decorso della patologia. I farmaci che si assumono per la malattia di Parkinson sono “sintomatici”, sono estremamente efficaci nel controllare i sintomi ma, trattandosi di una malattia progressiva, dopo i primi 3 o 4 anni perdono il loro effetto”. Si è destinati solo a peggiorare? “I farmaci sintomatici danno una buona qualità di vita, ma purtroppo la malattia continua ad andare avanti”. Non esiste alcuna forma di prevenzione? “No. In futuro puntiamo su un tipo di terapia che avrà valore se somministrata su soggetti che si trovano all’esordio della patologia e su quei soggetti considerati a rischio”. Chi è ritenuto a rischio? “Per quanto ne sappiamo dalla letteratura scientifica, innanzitutto persone chefanno parte di una famiglia in cui ci sono soggetti affetti dalla malattia. Quindi concorre una componente ereditaria, genetica, familiare. Conosciamo anche dei geni che predispongono alla malattia. Si tratta di scoperte recentissime”. Come mai il Parkinson genera anche disturbi del comportamento? “Perché non si tratta di un disturbo puramente motorio. È una malattia a tutti gli effetti neuropsichiatrica e che, quindi, coinvolge i sistemi nervosi che controllano il movimento ma anche parti del cervello che controllano il comportamento. Tanti soggetti parkinsoniani dopo molti anni di malattia sviluppano la demenza”. Quali disturbi a livello mentale causa? “Il 10-15% dei soggetti parkinsoniani è a rischio di sviluppare disturbi nel controllo degli impulsi come il gioco d’azzardo, l’ipersessualità, l’iperfagia, lo shopping patologico. C’è poi un ulteriore elemento rappresentato dai disturbi dell’umore: il 40% dei pazienti, infatti, soffre nel corso della malattia di disturbi depressivi eansiosi. Anzi, la depressione può essere l’esordio della malattia stessa”. Quando si manifesta? “La malattia di Parkinson è più frequente in età avanzata, oltre i 60 anni; dopo i 75, circa il 40% dei soggetti può esserne affetto”. I malati, nella maggior parte dei casi, richiedono un’assistenza costante. Chi si prende cura delle persone sole? “Quando un paziente vive solo sorgono tutti i problemi tipici di queste malattie croniche. In tal caso può intervenire solo la società. Ci sono, in varie parti d’Italia, strutture sanitarie che garantiscono supporto psicologico o anche semplicemente l’indennità di accompagnamento. Però, in un momento di crisi come questo, il parkinsoniano rischia di essere doppiamente emarginato: perché soffre di una malattia cronica e perché, oggettivamente, la società fatica a supportare certe necessità. Le malattie neurodegenerative hanno un elevato impatto sociale, come alti sono i costi di assistenza per questi malati. Le associazioni dei pazienti offronogrande supporto. Però parliamo di vita di tutti i giorni, di persone che a casa devono avere la possibilità di muoversi da una stanza all’altra”. A che pro giornate come questa? “A mio avviso hanno un duplice scopo: innanzitutto informare. Il Parkinson, l’Alzheimer sono un po’ tabù, sono parole che fanno paura. Ma è importante che si sappia di cosa si parla, è importante sapere che si tratta di una malattia che può essere contenuta e, da un punto di vista farmacologico, parliamo di 10-15 anni, anche ben seguita. L’altro obiettivo è proporre un progetto di ricerca per avere sostegno da parte dei cittadini. In Italia ormai la ricerca di basa sul contributo volontario…”. Quali sono stati i traguardi raggiunti fino ad ora e cosa ci si aspetta nel lungo periodo? “I risultati riguardano la conoscenza dei meccanismi di progressione della malattia. Un passo in avanti è costituito dai farmaci sintomatici: 25 anni fa disponevamo solo della levodopa, che rimane ancora un presidio farmacologicosintomatico importante, ma adesso esistono altri farmaci che aiutano la levodopa a funzionare meglio. Poi ci sono progressi tecnologici legati alle tecniche chirurgiche: pazienti in fase avanzata in cui i disturbi motori prevalgono sugli altri sono soggetti in cui la levodopa funziona solo per poche ore nella giornata; in tal caso ci si avvale di una terapia chirurgica. Altro importante progresso è stato identificare i biomarcatori che ci aiutano a capire se procediamo nella giusta direzione e se stiamo trattando il paziente in modo corretto. Quando in futuro disporremo di farmaci neuroprotettivi, i biomarcatori saranno in grado di dirci se, effettivamente, stiamo arrestando la progressione della malattia”. Io mi informo. Perché la melodia continui. Al ritmo della propria vita. Rachele Grandinetti
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