Un vero e proprio pellegrinaggio di un cospicuo gruppo di penitenti (48 persone) – organizzato da una antica e celebre Confraternita napoletana - sotto la guida spirituale di un simpatico e angelico Monsignore, don Salvo, parroco napoletano con incarico in Curia, un anziano volto di prete senza macchia oggi difficile a trovarsi anche nel campo specifico, sostituto del vescovo programmato all’ultimo momento impedito nella partenza. Don Salvo, ogni giorno, dopo le preghiere del mattino alla partenza in pullman, ci leggerà – nei luoghi visitati – brani del Vangelo relativi al luogo stesso. L’abitudine è stata rilevante e preziosa perché, in scenari più di una volta toccanti e suggestivi, sentire parole antiche a cui non siamo abituati ha avuto un potere spirituale e rinascimentale singolo non indifferente. Si parte, un giovedì di fine ottobre scorso, da Roma Fiumicino con arrivo diretto al Ben Gurion di Tel-Aviv. Non eccessive le procedured’ingresso nel paese. Ci si imbarca nel bus israeliano piuttosto vecchiotto e con spazi tra le file dei sedili impossibili. Poiché siamo arrivati per ultimi, è il meglio che è rimasto sulla piazza ma la promessa di cambiarlo all’indomani verrà mantenuta. Si va alla volta della Galilea ma ci si ferma nel tragitto ad una modesta stanza-chiesa nel Santuario del Monte Carmelo dentro il convento Stella Maris, luogo sopra la città di Haifa (la terza d’Israele) legato al profeta Elia ove, dal suddetto Monsignore, viene celebrata la messa quotidiana dei nostri spostamenti. Si arriva a Nazareth in Galilea dove abbiamo il piacere di trovare il primo giorno della Festa Musulmana del Sacrificio: durerà 4 giorni, sino alla domenica, ma non ci darà più fastidio. Risultato: le strade intasate di traffico, un mare di gente per strada, bancarelle, tantissimi giovani, una sorta di Piedigrotta nostrana. Il bus si impegna in diversi tentativi di cambio percorso senza molto successo. Poi un acquazzonetorrenziale – l’unica acqua del viaggio – induce i festaioli a trovare riparo, molte macchine a trovare parcheggio, gli idrofobi a tornare a casa e, come dio vuole, si arriva finalmente in albergo. La cena inizierà la lunga sequenza di pasti self-service fotocopia (eccetto il penultimo giorno), strutturati con una miriade di antipasti del tipo insalate varie con salse e senza, le immancabili creme di ceci e quella di melanzane(?), un puré incomprensibile, buone, pane azzimo (in genere piccole schiacciate bianchissime dal sapore anonimo); per secondi: pollo, pesce (in genere buono) e carni varie, immancabili patate al forno, frutta di tipo europeo di qualità modesta salvo poche eccezioni. Per chiudere una vasta gamma di dolci suddivisi in cubetti, in genere di sapore molto simile. Ottime invece, a parte il caffé, le colazioni, al solito ricche di ogni ben di dio – uova, wurstel, salumi, formaggi, dolci, ecc. -, e che da sole potrebbero bastare, se consumate a dovere, per l’interagiornata. È molto facile uscire da questi viaggi ingrassati di chiletti. Consiglio migliore la sobrietà, abbiamo la pensione completa. Alla fine, anche per merito dei saliscendi continui dal bus e dei percorsi a piedi, tornare dello stesso peso della partenza è un miracolo, o quasi (o è un primo effetto del pellegrinaggio?). L’indomani siamo intorno al lago (o mare) di Galilea (o Tiberiade, o Genezareth, o altri nomi locali dovuti alla forma ad arpa). Visitiamo a Tabga i luoghi di Pietro (il Santo Apostolo!). La Chiesa del Primato con relativa pietra (“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la Mia Chiesa”) e quella della moltiplicazione dei pani e dei pesci, in riva al lago. Ci spostiamo poi a Cafarnao, e visitiamo le rovine disseppellite della sua casa sulle quali è stata costruita una chiesa sopraelevata con al centro una grande vasca ottagonale con pareti in vetro attraverso le quali i resti si possono osservare dall’alto, oltre al poterci andare intorno anche dal basso,camminando sotto il piano della Chiesa. Originale opera architettonica che in maniera adeguata nobilita l’insieme. Vicine si vedono le rovine di una sinagoga ed una recente chiesa ortodossa. Salpiamo, poi, in gita sul lago su un battello di legno che riproduce quelli in uso al tempo del Salvatore. Al largo sostiamo, nell’assoluto silenzio circostante, ascoltando passi evangelici. Mi guardo intorno speranzoso ma non si vede alcuno camminare sulle acque. Certo non sono all’altezza per una simile visione ma è pur vero che i tempi sono molto cambiati! Verso est si vedono le rinomate alture del Golan. Nel pomeriggio visitiamo la Fontana della Vergine Maria, di cui non possiamo vedere la fonte perché nella Chiesa contigua è in corso la Messa. Poi il Monte delle Beatitudini, la collina da cui Gesù declamò il celeberrimo “Discorso della Montagna”, riportato nel Vangelo di Matteo: “Beati i poveri di spirito, perché di loro è il regno dei cieli...”. Dopo il discorso, Gesù scelse i dodiciapostoli sulle rive del lago. La bella Chiesa delle Beatitudini, ultimata negli anni 30 del secolo scorso, sorge sulla spianata alla sommità del monte omonimo. È a pianta ottagonale, circondata interamente da un portico ad arcate e sormontata da una alta cupola nera. All’interno sulle pareti sono rappresentate le otto beatitudini del discorso. A seguire, primo luogo molto importante e mirabile, l’imponente Basilica dell’Annunciazione - del 1968, costruita sulle rovine di 3 chiese più antiche - con la grotta (cioè quel poco che ne rimane in una piccola parte della parete della cappella principale), dove l’Angelo del Signore si presenta alla Fanciulla Maria con l’Ave Maria: HIC VERBUM CARO FACTUM EST! ricorda la lapide sull’altare. Affianco la Chiesa rovine di antiche abitazioni e un piccolo museo che illustra in dettaglio taluni resti ritrovati con iscrizioni coeve, tra le quali anche Ave Maria. Qui prendiamo conoscenza del fatto che – cosa comune con tutti gli altri più importantiluoghi sacri della Cristianità! – nei dintorni vicini (molto vicini, qualche decina di metri!) è sempre presente un minareto (con annesso luogo santo musulmano) dal quale, con tutta la potenza di moderni sistemi acustici di prima qualità, si diffonde la voce del muezzin che, attraverso la solita litania ripetuta innumerevoli volte: Allah è grande e Maometto è il suo profeta, o analoghe, chiama i propri fedeli alla preghiera, con notevole rottura di timpani ed altro da parte dei poveri visitatori cristiani. Passiamo poi nella Chiesa di San Giuseppe ove viene celebrata la Messa. Il sabato migriamo in Giordania: più di tre ore per superare la frontiera! Al ritorno poco di meno. Cambiamo anche il bus perché nei due paesi circolano solo bus autoctoni. Passando per le strade vedo, dopo la perfezione israeliana, tracce di rifiuti d’ogni tipo sparsi copiosi fuori dalla carreggiata, per cui sembra di esser tornati anzitempo nelle nostre fiorenti oasi napoletane. Grande problema del paese èla siccità e la scarsità d’acqua con il Giordano ridotto ad un fiumiciattolo ed il Mar Morto destinato a scomparire, fermo restando le cose, nel corso di qualche decennio nella migliore delle ipotesi. In Giordania ci aspettano due perle: una conosciutissima, l’altra per me (e non credo solo) del tutto ignota, Gerasa, importante snodo sulle vie commerciali del tempo (dal I secolo d.C.). Visitata dopo il pranzo all’interno del complesso, si tratta di una città di grande estensione del periodo dell’occupazione di Roma, ancora in larga parte sepolta. Stupefacente il Foro, di forma ellittica per ampliamenti successivi rispetto alla forma circolare originaria, il più grande dell’impero romano. Anche il Circo Massimo ed il teatro sono notevoli per ampiezza. Da ammirare le tantissime colonne del complesso, molto ben conservate in molte strutture e nei capitelli. Rovine grandiose che lasciano impressionati per la vastità dell’insieme e per la buona conservazione. Al termine partiamo per Amman,dove arriviamo in serata. Domenica facciamo un brevissimo giro in bus per la capitale senza fermarci, praticamente non vedendo nulla. La città però è pulita. Dopo una sosta intermedia per la Messa, arriviamo a Petra (roccia in greco) e mangiamo il solito in un bel ristorante panoramico nella parte alta della città. Affrontiamo poi la visita del celebre complesso, antica capitale nabatea (VI secolo d.C.) di cui si festeggia quest’anno il secondo centenario dalla scoperta ad opera dello svizzero Burckhardt, degna senz’altro di una visita dedicata. La sorpresa per me sarà che non è più possibile entrare all’interno della Chiesa la cui facciata, scolpita nell’arenaria costitutiva di tutta la zona, è in milioni di immagini, a causa del logorio provocato dai troppi turisti. La via d’accesso è molto lunga, ma la si può percorrere a cavallo, su dromedario o in carrozzella, a parte qualche asinello. L’inconveniente è che, nella parte iniziale, la via pedonale corre parallela alla pista,molto polverosa, per cui persone, abiti e cose portano via dal luogo reperti personali notevoli. Più in basso le due strade confluiscono ma, per fortuna, il suolo diventa duro, in parte lastricato. Non sapevo che dopo lo slargo antistante l’illustre facciata c’è ancora, a seguire, un lungo percorso con tombe a più livelli scavate nelle caverne dei due profili montagnosi che delimitano la lunga gola e, quando questa si slarga di nuovo, si vede anche il Monastero di El Deir in alto sulla parete destra, luccicante sotto il sole, cui si può accedere attraverso un gran numero di gradini. In Giordania e Palestina saremo sempre perseguitati da ragazzini, e non solo, che vogliono venderci ad ogni costo foto, cartoline, souvenir vari. Molto cortesemente ci forniscono il prezzo in euro per ogni cosa offerta. D’altronde con la nostra valuta, o i dollari, non abbiamo problemi in tutto il viaggio. Dormiamo in un bello e silenzioso albergo di Petra, con la mia stanza che affaccia direttamente sulpiano della grande piscina e che, alla ricerca iniziale, risulta difficile ad individuare. Il lunedì muoviamo verso Madaba, famosa per i mosaici, visitando la Chiesa ortodossa di San Giorgio dove è conservato il mosaico risalente al VI secolo d.C. raffigurante la Palestina, molto sfruttato dagli archeologi. Procediamo poi verso il Monte Nebo, indicato nella Bibbia come il punto dal quale il Signore mostrò a Mosè la Terra Promessa, anche se poi non gli fu concesso di arrivarci. La tomba di Mosè è tutt’oggi oggetto di grandi ricerche ma nulla finora è stato trovato. Da qui si gode un’ampia panoramica sul Giordano fino a Gerusalemme. Si prosegue poi per Betania - importante luogo di culto della fede cristiana, in cui visse e predicò San Giovanni Battista -, visitando il luogo dove egli battezzò Gesù in riva al Giordano, ombra di quello di allora. Grande mole di pellegrini che, dall’altro lato, si immergono nelle acque del fiume per il battesimo. Noi ci limitiamo a fare, conquest’acqua, il segno della croce. Si pernotta nella capitale Gerusalemme, città santa per le tre religioni monoteistiche: Ebraismo, Islamismo e Cristianesimo. Nello Stato d’Israele, nato nel 1948 con la fine del protettorato britannico sulla Palestina, Gerusalemme fu destinata ad essere città libera essendo sacra per le tre religioni ma, nell’immediata guerra successiva, gli ebrei conquistarono Gerusalemme Ovest, mentre i luoghi santi della parte est rimasero sotto il controllo arabo. Con la guerra poi dei sei giorni (1967), Israele conquistò anche la parte Est della città e, dal 1980, la dichiarò unilateralmente città indivisibile e capitale dello Stato Ebraico. Martedì volgiamo all’Orto degli Ulivi dove Cristo fu arrestato e dove dimorano olivi millenari. Unita all’orto di Getsemani è la Basilica dell’Agonia con la pietra dove Cristo sostò tentato dal demonio. Poi la Chiesa sulla grotta di Getsemani dove fu tradito da Giuda. Visitiamo ancora la Chiesa sul luogo dove si svolsel’Ultima Cena. Ci attende, a seguire, la visita al Patriarcato Latino di Gerusalemme ove abbiamo un incontro con il vice-Patriarca (essendo questi assente), un prete francese che parla un ottimo italiano. Dopo il suo discorso di benvenuto si svolge la nomina dei nuovi Cavalieri dell’Ordine Gerolosimitano del S. Sepolcro (OESSG, risalente alla Prima Crociata, cui associati sono presenti nel gruppo). Ci vengono poi offerti vermut e cioccolatini. Muoviamo alla Basilica della Dormizione di Maria, creduta morta dai conviventi per breve tempo ma poi subito ascesa in cielo anima e corpo. Arriviamo ancora alla tomba (fittizia) del Re David, con la statua antistante, sacra per gli ebrei. Seguono la Porta di S. Stefano ed i resti della Piscina Probatica, il cui nome deriva dall’usanza di lavarvi gli agnelli. Alle sue acque una credenza giudaica attribuiva virtù guaritrici. Siamo nel quartiere di Betesda e qui Gesù guarì un paralitico, come racconta l’evangelista Giovanni. Contigua è la Chiesa diS. Anna, dove la tradizione vuole sorgesse la casa d’infanzia della Vergine Maria, cioè la casa dei santi Gioacchino ed Anna, suoi genitori. A seguire la Casa della Madonna. In tutti i luoghi sacri è stata edificata una chiesa, quando non più d’una sovrapposte in epoche successive, e le tracce di due millenni fa restano assai modeste. Con le varie distruzioni e ricostruzioni che ha avuto Gerusalemme (la prima ad opera dell’imperatore Tito nel 70 d.C., a seguito di una sommossa locale), c’è da chiedersi della attendibilità generale di molte collocazioni. Visitiamo la Chiesa copta di S. Elena, santa della quale parliamo più avanti, ricevendone una croce in legno per effettuare la Via Crucis. Seguiamo poi – nell’attesa del momento clou di questo pellegrinaggio, cioè la visita al S. Sepolcro – il percorso del Cristo verso il Calvario, passando nella folla per i vicoli del mercato locale che salgono verso la montagna. La croce leggera affidataci nella Chiesa verrà portata a turno dacoppie di componenti del gruppo lungo le successive stazioni e lasciata una volta arrivati sul Golgota. Giungiamo, quindi, sulla sommità e ci predisponiamo all’ingresso nella Chiesa del SS. Sepolcro, riportato nella foto. In esso, essendo noi in compagnia di Cavalieri e Ufficiali dell’Ordine relativo, abbiamo diritto ad un Ingresso d’Onore molto formale. Dal 1342 fu affidata dal papa Clemente VI la custodia di tutti i Luoghi Santi all’Ordine Francescano. Dunque i custodi del Sepolcro per la Chiesa Cattolica fanno sgombrare dai pellegrini la sala di accesso, e poi ci salutano con un salmo cantato mentre siamo proprio all’ingresso della grotta. L’abate, al termine del canto, ci saluta uno per uno. L’antro vero e proprio è piccolo, dentro due francescani lo sorvegliano. In esso si entra a 4 per volta e ci si inginocchia ponendo le mani sulla lastra di marmo del Sepolcro di Cristo, cioè dove è stato deposto il Suo corpo. Ma molti affermano che tale lastra sia di epoca molto più recente.Nella Chiesa, fuori dal Sepolcro, c’è un’altra lastra di marmo paglierino, offerta alla venerazione dei fedeli, dove è stato deposto il Cristo morto per prepararlo alla sepoltura. Passiamo poi in una specie di sacrestia in cui si conservano cimeli delle Crociate, ed in particolare la spada e altro di Goffredo di Buglione, condottiero della I crociata (1099), nominato, dopo averla strappata ai musulmani, Re di Gerusalemme e Difensore del Santo Sepolcro e qui sepolto. Scendiamo nell’ampia grotta – Cripta di S. Elena - scavata sotto la sommità del Calvario dove c’è la statua della Santa, madre dell’imperatore Costantino, che, secondo la leggenda, recuperò la croce di Cristo con i chiodi relativi, gettata via insieme ad innumerevoli altre. La Santa utilizzò un paralitico che faceva distendere sulle diverse croci fin quando, sdraiato su una di queste, subito guarì. Da tale croce poi vennero fatte innumerevoli reliquie sparse in tutto il mondo, vere e fasulle. Mercoledì effettuiamo lavisita alla Spianata del Tempio e al Muro del Pianto, luogo più sacro dell’Ebraismo, passando il confine tra Palestina ed Israele con i soliti controlli accurati. Ricordiamo che Gerusalemme è la prima ed unica città santa per ebrei e cristiani e la terza per i musulmani, dopo Mecca e Medina. Osserviamo da fuori la grandiosa Moschea di Omar con l’imponente Cupola della Roccia (690 d.C.), terzo luogo sacro e il più antico dell’Islam, tempio ottagonale che domina la città e racchiude il blocco di pietra nera dove Abramo compì il gesto di sacrificare il figlio, già sede del Tempio di Salomone e luogo dove Maometto si elevò verso il cielo dopo il volo notturno compiuto dalla Mecca. L’edificio venne costruito sottraendo il luogo alla venerazione ebraica. La cupola fu eretta con l’intenzione che fosse di maggiore imponenza rispetto a quella del Santo Sepolcro ed è rivestita di lamine d’oro donate dal re di Giordania. La piazza antistante venne spianata da Erode il Grande e contigua è lamoschea di El Aqsa. Impressionante la gran mole di fedeli in preghiera vicino al muro – parte residua del secondo tempio di Gerusalemme del VI secolo a.C.; il primo, il Tempio di Salomone, risaliva al X secolo a.C. - e nel tunnel che prosegue all’interno della galleria sulla sinistra. Vediamo poi le rovine di una chiesa bizantina dei primi secoli del Cristianesimo. A pranzo andiamo a Betlemme alla Casa dei Francescani, vicino alla Chiesa della Natività, ed abbiamo il dono di un ottimo pranzo italiano con fettuccine al ragù, spezzatino, patate fritte, crostata, vino, il tutto in abbondanza, già prodromo del rientro in patria. Visitiamo quindi la Chiesa, piuttosto carente per manutenzione con un modesto ingresso, ma il fascino del luogo resta invariato e possiamo inginocchiarci singolarmente sopra la stella che, sul pavimento marmoreo, segna il luogo della nascita del Salvatore. Visitiamo anche la vicina Chiesa di S. Caterina con il bel bassorilievo, donato di recente da Benedetto XVIper la chiesa natale ma sistemato qui per maggior agio, che riassume le vicende salienti della vita di Cristo con un albero genealogico della Sua stirpe. Saliamo, infine, sul Monte degli Ulivi, lungo le cui pendici c’è un plurimillenario cimitero ebraico. Dal belvedere si osserva dall’alto la bella Chiesa russa di Santa Maria Maddalena, a sette guglie dorate a forma di cipolla, voluta dallo zar Alessandro III (1883) per onorare la Santa peccatrice, protettrice della famiglia imperiale. Da esso molti scendono a piedi per sostare al Dominus flevit, dove Gesù pianse sulla sorte futura di Gerusalemme (“di te non rimarrà pietra su pietra”), e alla Chiesa del Paternoster, trovata chiusa, da dove Gesù ascese al cielo dinanzi ai discepoli riuniti. L’indomani si rientra in Italia e, nonostante le tante raccomandazioni fatte sull’”inquisizione” israeliana in uscita, essa si rivela conciliante. Una bella poliziotta mostra a ciascuno di noi un foglio dove sono stampate domande in italiano sueventuali frequentazioni improprie o doni dubbi ricevuti nel viaggio e, al pronto diniego di ciascuno, appone un adesivo sulla copertina del passaporto ed un segno sul bagaglio. Eccetto qualche apertura casuale di esso nel gruppo, non abbiamo intoppi e possiamo imbarcarci, stanchi ma soddisfatti. Una parola sulle guide, tutte e tre giovani, di buon livello, ed in crescendo dalla prima all’ultima. La seconda, Omar, giovane spiritoso e sagace, ci ha assistito in Giordania. L’ultimo, al rientro in Israele, è stato un seminarista di Grenada (Spagna) studente anche a Roma, che spiegava analiticamente con semplici parole ogni cosa da vedere. Il primo israeliano, Jacques, ci ha lasciato per la malattia della moglie, cedendo il posto allo spagnolo.Luigi Alviggi
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