Doveva essere il fiore all’occhiello dell’azione del governo contro la casta, gli sprechi della politica e la burocrazia di stato E, invece, la travagliata riforma delle province si è rivelata un disastro tecnico ed economico per l’esecutivo Monti, pari forse a quanto accaduto con la vicenda esodati. In pochi mesi si è così passati dall’abolizione totale, alla riduzione del numero e infine al nulla di fatto. "E’ una riforma nata male, non troppo diversa da quanto aveva già previsto Tremonti", spiega Andrea Giuricin, professore della Bicocca e ricercatore per l’Istituto Bruno Leoni, "Un vero risparmio, senza creare confusione sulle funzioni, si sarebbe ottenuto con l’abolizione completa delle province e il governo aveva tutto il tempo di avviare una procedura di riforma Costituzionale per farla. Preferendo invece l’accorpamento, ha creato una norma facilmente attaccabile in Parlamento". I costi e i (mancati) risparmi. Secondo uno studiorealizzato proprio da Giuricin per il Bruno Leoni, l’abolizione completa delle province avrebbe portato a un risparmio di circa 2 miliardi di euro l’anno, prevedendo un trasferimento delle loro funzioni alle Regioni. Oggi le province spendono in totale circa 11,5 miliardi e la cancellazione del loro "livello", garantendo però il mantenimento dei posti di lavoro, avrebbe permesso enormi economie sul lato di amministrazione e controllo. "L’abolizione delle province avrebbe permetto di risparmiare 869 milioni in amministrazione, 140 milioni di costi politici e circa un miliardo grazie alle economie di scala", continua Giuricin nel suo studio, "Parliamo quindi di un valore quasi quintuplo rispetto a quanto previsto dalla riforma del governo". L’esecutivo infatti, dopo aver prima annunciato l’intenzione di abolire le province, ha preferito seguire la via dell’accorpamento con la riduzione del numero complessivo di enti e delle loro funzioni. Un piano che nelle previsioni (piuttostofumose) del ministero della Funzione Pubblica avrebbe permesso risparmi tra i 370 e i 530 milioni di euro, ma assai contestato sia da chi chiedeva l’eliminazione totale delle province sia da chi voleva mantenerle. "Il governo ha commesso un grave errore. Il ministro ha dichiarato di voler mantenere le province ma con funzioni ridotte: è un ragionamento profondamente sbagliato", spiega Luigi Oliveri, dirigente della provincia di Verona, ed esperto di diritto degli enti locali per LaVoce e LeggiOggi, "Come si può pensare di realizzare economie di scala se si fa spezzatino delle funzioni affidate? Frastagliando i compiti tra venti regioni e ottomila comuni non è possibile un vero risparmio e non mancano altri gravi errori. Ad esempio, hanno tolto alle province la responsabilità su formazione e lavoro, lasciando però la scuola secondaria, come se i due ambiti non fossero collegati tra loro". Il danno e la beffa. Dal punto di vista dei costi il fallimento governativo è quindi doppio:nonostante abbia optato per una riforma dai risparmi inferiori, l’esecutivo Monti non è riuscito a portarla a termine, finendo bloccato in Parlamento tra dubbi di costituzionalità e prevedibili resistenze da parte dei potentati locali. Di più, ai mancati risparmi si sostituiscano adesso i costi aggiuntivi tutti da definire. "Tra le conseguenze [del mancato rinnovo del ddl ndr], oltre ai mancati risparmi che si sarebbero ottenuti con la riduzione delle Province, ci sarebbe una lievitazione dei costi a carico dei Comuni e soprattutto delle Regioni" spiega un allarmato comunicato del ministero della Funzione Pubblica. Non bastassero i guai economici, il flop sulla riforma delle province investe ancora di più l’aspetto funzionale. Tre diversi atti normativi (il salva-Italia, la Spending Review e il ddl sul riordino) hanno spostato competenze tra province, regioni e comuni, ma la decisione del Senato di non convertire in legge il ddl sul riordino impedisce di completare l’opera e adessoserve capire quale ente dovrà fare cosa. E soprattutto: con quali soldi? In un primo momento, con il Salva-Italia (articolo 23, comma 14), il governo aveva tolto ogni potere alle Province a cui restavano "esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze". Con la spending review era stato fatto un passo indietro, restituendo alle province alcune delle funzioni principali, in particolare trasporto e strade locali, manutenzione scuole e pianificazione territoriale. Per entrare in vigore queste modifiche serviva però la conversione in legge del ddl sul riordino, la cui bocciatura riporta indietro le lancette fino al Salva-Italia e alle province solo coordinatrici, lasciando irrisolto il punto di chi si deve adesso occupare di scuole e strade. Una situazione di "caos istituzionale", per citare il ministero della Funzione Pubblica, che secondo alcuniosservatori non sarebbe però tale. "In realtà Patroni Griffi ha alimentato una confusione eccessiva", spiega Oliveri, "Non è vero che alle province spetta adesso solo una funzione di coordinamento, perché mancano ancora le leggi che stabiliscono a chi passano le funzioni". E adesso chi paga? Il punto più delicato risulta in realtà quello economico. Il governo ha infatti previsto dal 2012 il quasi completo azzeramento dei trasferimenti di risorse verso le province, dal valore di un miliardo annuo, proseguendo nella tendenza di progressive riduzioni avviata già da anni. L’Unione delle Province ha di recente lanciato l’allarme, chiedendo al governo di ripensarci e minacciando la sospensione dei servizi (tra cui manutenzione stradale e scolastica) già da gennaio (leggi). "Dal 2008 al 2010 le province hanno ridotto le spese di quasi l’8%, ma mentre gli investimenti sono stati decurtati del 24%, non hanno agito sulle spese correnti (stipendi, utenze ecc) che infatti sono persinoaumentate", spiega Giuricin. I tagli si sono quindi tradotti in una riduzione dei servizi e non in costi minori, ma non solo. "Tra il 2009 e il 2010 le entrate per i trasferimenti alle province si sono ridotte del 2,6% e questi enti hanno trovato le risorse mancanti aumentando del 4,1% le loro entrate tributarie dirette". In poche parole, le province si sono rifatte rincarando la Rc auto e gli altri balzelli di propria competenza. Il governo ha tagliato e il cittadino ha pagato: e adesso che le amministrazioni sono a un passo dal dissesto, è quasi certo che il conto lo salderanno di nuovo i contribuenti. Mauro Munafò,l’espresso
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