Sanità militare, tra sprechi e inefficienze quanto costano gli ospedali per i soldati
 











Se la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale è a rischio per il futuro, come dice il presidente Monti, qual è lo stato di salute della sanità militare, finanziata dallo Stato e ad uso esclusivo delle 4 forze armate, dei dipendenti civili della Difesa e relativi familiari?.
Da pochi giorni alla Camera è passata la legge-delega, già approvata in Senato, sul riordino dello strumento militare, che pone sul tavolo, tra gli altri, alcuni elementi di riforma della sanità militare. All’art. 2 il testo si esprime su tre punti: razionalizzare le strutture della sanità militare attraverso criteri interforze e di specializzazione, promuovere convenzioni con la sanità pubblica tramite accordi con le regioni, prevedere l’attività libero professionale intra-muraria dei medici militari, così come per i medici del SSN. In che modo questa riforma potrà essere di sostengo alla sanità pubblica in difficoltà?
Prima di affrontare questi punti varrebbe lapena fare un passo indietro e chiedersi: quanto costa allo Stato mantenere una sanità militare separata dalla sanità pubblica? Quanto sono efficienti al momento le strutture ospedaliere militari?
Il costo per la sanità militare per lo Statosi aggira intorno ai 328 milioni di euro (dati 2011). Questo è quanto emerge dai dati pubblici della Ragioneria dello Stato e da quelli messi a disposizione dalla Direzione Generale del personale militare. Nel Consuntivo del ministero della Difesa per piani di gestione 2011, si possono isolare quei capitoli di spesa che hanno finalità esplicitamente sanitarie (59.8 mln euro), sommare il costo per il personale (stima prudenziale di 218.8 mln euro) e il costo di gestione e mantenimento (50 mln euro), così come suggerito da fonte interna all’amministrazione della sanità militare. Quindi due terzi si spendono per il personale (2070 ufficiali medici e circa 3000 sottufficiali medici al luglio 2012) mentre un terzo per le voci di esercizio einvestimento. Questa stima coincide con l’analisi critica del Capo di Stato Maggiore Abrate quando, nel corso dell’audizione in Commissione Difesa alla Camera il 20 novembre, lamenta l’attuale ripartizione interna al suo ministero: "il 70% del budget della Difesa è assorbito dalla spesa del personale, mentre solo il 18% alla voce esercizio e il 12% all’investimento".
Se spalmiamo la spesa sanitaria totale per il bacino di utenza assai ridotto della sanità militare, in tutto circa 318.000 unità  (forze armate, carabinieri, dipendenti civili della Difesa) e relativi familiari, vediamo che il costo pro capite non è affatto insignificante. E’ circa la metà di quanto spende il servizio sanitario nazionale per la salute di ogni cittadino, in media 1900 euro/anno (dati Istat 2010). Dal momento che tutti i cittadini sono iscritti al Servizio sanitario nazionale, la spesa sanitaria di un militare pesa due volte, una volta come cittadino e una volta come militare. E’ sostenibile nelleattuali condizioni di finanza pubblica?
Nei conti della Difesa, va detto, non c’è una voce di bilancio specifica e unica per la sanità militare. I capitoli di spesa destinati a finalità sanitarie sono attribuiti in parte alla voce Segretariato Generale della Difesa (l’area tecnico-amministrativa del ministero) e in parte ai centri di responsabilità delle diverse forze armate: esercito, marina, areonautica e carabinieri. Questa dispersione riflette una condizione storica: non c’è mai stata una sanità militare unitaria. Si è sempre trattato della somma delle singole strutture sanitarie di ciascuna forza armata, coordinate da un organismo di vertice. Ancora oggi c’è  un Corpo sanitario aeronautico, un Corpo sanitario militare marittimo, un Corpo sanitario dell’Esercito. E’ a questo che oggi si vuole rimediare con la legge-delega quando si parla di "criteri interforze" e "razionalizzazione della sanità militare". Integrare e poi suddividere compiti e ruoli a prescindere dal coloredella divisa per coordinare meglio e limitare troppe figure apicali. Basterà a contenere i costi in modo significativo?
L’altro punto in discussione nel progetto di riordino in discussione è la promozione delle convenzioni con la sanità pubblica. Da dove nasce questa esigenza? La conseguenza più evidente di avere un limitato bacino d’utenza è che i medici militari hanno pochi pazienti, per la maggior parte "giovani e sani".
Quindi per fare pratica su casi gravi hanno bisogno di pazienti civili. Come addestrarsi altrimenti nella chirurgia d’emergenza o nella traumatologia? In una struttura preclusa ai civili è impossibile, l’unica soluzione sono appunto le convenzioni con strutture pubbliche. Quindi le convenzioni permettono alla sanità militare di fare quell’indispensabile "training on job" che le permette di sopravvivere e di specializzarsi.
Come dice chiaramente il testo dell’Accordo Quadro di febbraio 2012 tra Stato maggiore e Regione Lazio:"lo Stato maggiore della Difesaha interesse che gli organismi della Sanità militare mantengano elevati standard qualitativi, attraverso un ampliamento del bacino d’utenza". E la finalità è chiara: "facilitare il sostegno a quelle realtà specialistiche (quali chirurgia) che richiedono un più ampio bacino sanitario per tenere il passo con l’evoluzione medica del settore" (lettera del 9 agosto 2012 del Ministro Di Paola indirizzata al Capo di SMD Abrate).
E’ lecito chiedersi se ha senso per lo Stato mantenere in vita una struttura sanitaria che duplichi l’offerta del SSN, non sia autosufficiente, non sia ancora specializzata, e dipenda dalla sanità pubblica per sopravvivere.
Ma si potrebbe leggere tutto questo anche in un’altra luce. In che modo le convenzioni potrebbero essere un vantaggio, oltre che per i militari, anche per i cittadini?
In passato questi accordi hanno incontrato degli ostacoli strutturali che ne hanno penalizzato l’efficacia dal punto di vista del contributo alla sanità pubblica.
Uno diquesti limiti è rappresentato dall’orario di servizio 8:00-14:00 di infermerie, centri diagnostici e ambulatoriali fino al Policlinico militare Celio. Sei ore limitano non poco l’integrazione con il SSN: impensabile il soccorso in emergenza, difficile l’intervento in day hospital per chi ha bisogno di assistenza post operatoria, complicata la prestazione di terapie, quali l’iperbarica, che talvolta necessitano di orari lunghi a intervalli cadenzati. E non è solo un problema che riguarda le convenzioni: l’orario ridotto penalizza anche l’assistenza ai militari stessi. Cosa succede se un militare ha un incidente fuori dall’orario di servizio? Si chiama il 118. Che cosa succede se ha un incidente grave? Si chiama il 118. E’ lecito chiedersi che tipo di assistenza può fornire un servizio attivo solo 6 ore al giorno, sopratutto se prendiamo a confronto il testo del recente decreto Balduzzi che prevede di "garantire l’attività assistenziale per l’intero arco della giornata e per tutti igiorni della settimana" da parte dei medici di base.
Stesso discorso vale per la diagnostica: strumentazioni d’eccellenza come le TAC (solo al Policlinico Celio ce ne sono due), risonanza magnetica, camera iperbarica, rimangono inutilizzate ogni giorno per quasi metà giornata.
Un punto poi che meriterebbe un’attenzione particolare è il riferimento, nel testo delle convenzioni, al fatto che le prestazioni richieste saranno fornite "compatibilmente con le proprie attività istituzionali". Cosa significa questa limitazione? Il compito istituzionale del servizio sanitario nazionale è quello di curare il paziente, sempre. Come può essere diverso il compito della sanità militare quando collabora con quella civile? Il discorso non è capzioso, ma di sostanza. L’assistenza è garantita sempre oppure limitatamente? Un medico militare, ricorda il Capo Generale della Sanità Militare Federico Marmo, è prima di tutto un militare e "la sanità militare è la sanità militare e non si può assimilarea quella civile".
Con queste premesse, c’è da chiedersi se l’integrazione tramite convenzioni possa essere vantaggiosa per i cittadini tanto quanto lo è per i militari, e se i limiti strutturali che hanno penalizzato in passato le convenzioni, potranno essere superati nel passaggio alla nuova fase attuativa.
Ospedali militari, più medici che posti letto e l’ospedale pubblico fa i conti con i tagli
QUAndo si parla di integrazione e sinergia tra i due sistemi (quello militare e quello civile), si fa riferimento principalmente alla convenzione tra Policlinico Celio e la Regione Lazio, un modello e "una cornice giuridica" per le future convenzioni. Ma non è la sola ragione. La convenzione con la sanità regionale può servire anche ad un’altra trasformazione: "occorrerà finalizzare quanto prima le convenzioni del Celio (...) al fine di far conseguire al Policlinico i requisiti necessari per trasformarlo in IRCSS", dice il Gen. Abrate, Capo di Stato maggiore Difesa, il 24 ottobrescorso. Cosa significa trasformare un ospedale in un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico? Significa essere riconosciuti come strutture in grado di fare assistenza e ricerca, e come tali poter accedere a risorse diverse, tra le quali i fondi per la ricerca del Ministero della Sanità. Ma perché un ospedale possa essere riconosciuto dallo Stato come IRCSS deve dimostrare una provata eccellenza. Tra gli istituti IRCSS più noti c’è l’istituto Oncologico di Milano e il Bambin Gesù di Roma. Istituti specializzati con grandi volumi di attività e con alti livelli qualitativi.
Per capire lo standard di una struttura ospedaliera militare (prendiamo ad esempio il Policlinico militare Celio di Roma e l’ospedale della Marina di Taranto), può essere utile metterla a confronto con un piccolo ospedale pubblico dell’area urbana di Roma di dimensioni simili. I dati, richiesti in via ufficiale nel luglio 2012, in parte hanno ricevuto un riscontro dalle autorità competenti, in parte no.Dopo un tempo ragionevolmente lungo di attesa, abbiamo deciso di rendere comunque pubblici anche i dati ufficiosi (relativamente a: posti letto, medici civili a contratto, personale amministrativo del Policlinico Celio), consapevoli di possibili ed eventuali rettifiche.
La prima cosa che si nota guardando la tabella è che i medici nell’ospedale civile romano sono meno dei posti letto, mentre nel Policlinico militare e presso l’ospedale Militare di Taranto ci sono più medici che posti letto, addirittura al Celio i medici sono poco meno del doppio dei posti letto. E’ vero che nell’organico del policlinico militare sono compresi anche parte dei medici destinati alle missione all’estero, ma la cifra complessiva di queste equipe mediche nei teatri operativi, stando alle notizie del Giornale di medicina militare, non supera le 39 unità.
Esiste un canone, un rapporto ideale tra numero dei medici e numero dei ricoveri? Secondo i dati 2008 del Ministero della Sanità non solo esiste ma èauspicabile e prevede 1000 ricoveri ogni 14 medici e 30 infermieri. Con il numero dei ricoveri in un anno (dati forniti da SMD) al Celio dovrebbero lavorare 90 medici non 318.
Luigi Macchitella, ex direttore sanitario dell’Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma e oggi direttore dell’I. C. O. T. di Latina, offre un altro criterio per misurare l’efficienza: "un ospedale efficiente ha circa due dipendenti per ogni posto letto, e per dipendenti s’intendono tutti, amministrativi compresi". Bene, il Celio attualmente ha circa 178 posti letto (dati ufficiosi) per circa 700 dipendenti, mentre un rapporto virtuoso dovrebbe prevederne la metà. E’ vero che ogni ospedale ha la propria vocazione unica e distinta dalle altre, ma è altrettanto vero che, in ogni relazione, c’è sempre una media. Tra i 6100 ricoveri del Policlinico con 318 medici a disposizione e i 13000 ricoveri dell’ospedale romano con un terzo dei medici a disposizione c’è una differenza difficile da spiegare in termini diefficienza. Senza contare i 30.000 accessi in Pronto Soccorso del piccolo ospedale di Roma che il Celio  -  per diversi motivi  -  non ha.
Fare i confronti è sempre utile: l’ospedale Valdese di Torino, specializzato per il cancro alla mammella, con un numero più alto di interventi e di ricoveri rispetto al Celio (600 interventi per cancro alla mammella in un anno, 7000 interventi chirurgici) proprio in questi giorni rischia la chiusura.
Ora, se ogni ospedale fa storia a se, è lecito chiedersi se ci sono parametri che rendano le strutture ospedaliere paragonabili. Luigi Macchitella riporta un dato interessante:"un’azienda sanitaria virtuosa, sia pubblica che privata, ha un costo del personale che pesa sul bilancio complessivo per circa il 35-40% sul costo totale. Le strutture meno virtuose hanno un costo del personale che si aggira intorno al 50-55%".
Se i dati avuti da SMD e che non è stato possibile verificare ulteriormente con la direzione dell’ospedalemilitare del Celio per mancanza di riscontro, sono esatti, il costo del personale pesa all’incirca per il 64% sul costo totale. A questo calcolo si può arrivare mettendo in rapporto il costo del personale in base al grado e l’esercizio finanziario del 2011 di 17.5mln di euro.
Da tutto questo si può concludere che se per il singolo militare il costo della prestazione presso l’ospedale militare è lo stesso che avrebbe in un qualunque ospedale civile, per lo Stato e quindi per i cittadini italiani, quelle prestazioni costano molto di più perché la struttura è poco efficiente. A parità di servizi, i costi sono molto più alti.
Basteranno convenzioni e razionalizzazzione interforze a rendere le strutture ospedaliere militari più efficienti?
In Inghilterra, in seguito alla Spending Review del 2009, il Parlamento ha deciso che il rapporto costi/benefici della sanità militare inglese, data l’esiguità del suo bacino d’utenza, non giustificava più l’esigenza di ospedali militari inpatria. Altrove, cioè in Francia e in Germania, hanno scelto di aprire completamente a tutti 24h su 24h il servizio di sanità militare. Da noi c’è da chiedersi se ha senso che lo Stato paghi per una sanità militare troppo costosa in rapporto ai benefici che eroga a un numero limitato di persone. Se queste premesse rimangono inalterate, come emerge dall’attuale progetto di riordino, è difficile prevedere un sensibile vantaggio per l’assistenza sanitaria pubblica dalle future convenzioni. Uski Emilia Audino-repubblica

 

 









   
 



 
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