E degli ultimi giorni la polemica, tutta italiana, sui caccia F35. L’Italia ha deciso anni fa di dotarsene, acquistandoli dalla società statunitense Lockheed Martin. Non solo in molti si chiedono perché un Paese che nella propria Costituzione ripudia la guerra senta la necessità di fornirsi di aerei da combattimento – la risposta la si trova nella sempre più frequente necessità di intraprendere “operazioni umanitarie” e “contro il terrorismo” in Paesi accomodati su ingenti risorse energetiche – ma ultimamente lo fanno con più veemenza e convinzione alcuni candidati alle prossime elezioni. Rivoluzione civile di Ingroia – contenitore del cascame rifondarolo, dilibertiano e verde – ha cavalcato immediatamente la notizia secondo cui basterebbe un fulmine a far esplodere in volo questi gioielli della tecnologia militare, ma addirittura Bersani – che pochi giorni fa si è prontamente schierato al fianco di Parigi nell’intervento in Mali - ha parlato dellapossibilità di “rivedere il nostro impegno per gli F-35” una volta giunto al governo. Rivedere, non annullare, si badi bene. “Strano” che un esperto di virtuosismi semantici come il segretario di Sel Niki Vendola abbia subito esultato, complimentandosi con l’alleato, senza porsi il dubbio di cosa possa significare quel “rivedere”. Forse letteralmente dare uno sguardo, assistere al completamento di un accordo voluto proprio dal centrosinistra nel 1996, sotto la guida di Romano Prodi. Decisione confermata nel 1998 dall’allora presidente del Consiglio, Massimo D’Alema. Bersani non stava certo su un altro pianeta, già era ai vertici dell’attuale Pd. Come nel 2007, quando sempre sotto la guida di Prodi, lo stesso Partito Democratico, con la firma del suo sottosegretario alla Difesa di Lorenzo Forceri, avallò l’accordo con gli Stati Uniti per la costruzione dei caccia. Un iter lungo, che non ha mai visto passi indietro da parte del centrosinistra nazionale. Archiviate, quindi, ledichiarazioni di Bersani come banale propaganda elettorale, non ci resta che rassegnarci a sborsare, in tempi di crisi, oltre 12 miliardi di euro per 90 caccia F-35 (inizialmente erano 131 per 16 miliardi di euro) per l’Aviazione e per la Marina. Un anno fa, a febbraio del 2012, a un costo unitario di circa 80 milioni di dollari l’Italia aveva già ordinato i primi tre cacciabombardieri parte del progetto Joint Strike Force, è un piano di costruzione “congiunta” con Washington al quale partecipano, oltre all’Italia, anche Gran Bretagna, Olanda, Australia, Canada, Norvegia, Danimarca, Turchia, Israele e Giappone. In cambio dell’acquisto di questi gingilli, dalle nostre parti l’americana Lockheed Martin ha ceduto alla Alenia-Aermacchi di Cameri, vicino Novara, l’assemblaggio delle ali. Un accordo che ammonta a meno di un miliardo di euro e poche centinaia di posti di lavoro. Briciole all’occorrenza sventolate dai tifosi dell’acquisto ad ogni costo per far digerire l’esborso ai piùperplessi. La realtà è che “dobbiamo” acquistare gli F35, altrimenti la Lockheed Martin, che – per inciso - annovera tra i suoi maggiori investitori società con importanti quote in agenzie di rating come Moody’s e Standard & Poors, rischia di trovarsi in cattive acque. Tutto il progetto ha infatti incontrato fin dal principio numerosi problemi tecnici che hanno fatto lievitare i costi di produzione. Nell’agosto 2011 erano stati registrati dei problemi dopo una già lunga serie di gravi difficoltà tecniche precedenti. Già allora il programma registrava 5 anni di ritardo e un aumento dei costi del 26%. Due anni fa il prezzo unitario del velivolo si attestava su una media di 92,4 milioni di dollari contro i 50 previsti nel 2002 e l’intero programma aveva già raggiunto la cifra di 382 miliardi di dollari in 25 anni per l’acquisto di 2.457 aerei. Il budget aveva già sforato del 64% in più rispetto alle previsioni. Aumenti che avevano portato diversi Paesi acquirenti a ridimensionareordini e caratteristiche dei velivoli. Le esitazioni dei Paesi che si erano impegnati nel progetto e a comprare il nuovo cacciabombardiere avevano quindi richiesto ridimensionamenti e modifiche per poter “scendere” alla cifra di circa 80 milioni di dollari ad aereo. Ma anche queste erano cifre destinate a cambiare. Nell’ottobre del 2011 uno studio della Corte dei Conti canadese effettuato sulla commessa di Ottawa per 65 velivoli valutava che ogni aereo sarebbe costato 148 milioni di dollari, cioè il 66 per cento in più di quanto aveva annunciato il governo canadese nel 2010. Un dato confermato lo scorso ottobre in una clamorosa intervista dal generale Claudio Debertolis, segretario generale della Difesa del nostro Paese. Alle domande sul progetto Joint Strike Force rivoltegli dal giornalista esperto di questioni aeronautiche e collaboratore della rivista Analisi Difesa, Silvio Lora Lamia, il generale aveva risposto ammettendo che il costo del nuovo supercaccia non è di 80 milioni didollari, come da lui riferito nel febbraio del 2012 in Parlamento, ma supera i 127 milioni, oltre il 50% in più. Poco dopo era venuta fuori la notizia del “quasi raddoppio” del numero di F35 che sarebbero stati costruiti in Italia, grazie all’assemblaggio di velivoli destinati anche agli Stati Uniti. Una bufala: Lockheed Martin aveva smentito categoricamente, riferendo allo stesso Lora Lamia che “Tutti gli F 35 per gli Stati Uniti sono programmati per essere fabbricati a Fort Worth, Texas”. Così ci teniamo il nostro quasi miliardo di euro di accordo per Alenia in cambio dei 12 miliardi – almeno per ora - che dovremo versare nelle casse della Lockheed. E pagheremo quel che ci viene chiesto, perché la più grande azienda del mondo nel settore della difesa deve realizzare profitti record proprio grazie al progetto di costruzione del caccia multiruolo F35. Le fortune della Lockheed dipendono infatti in larga misura proprio dal progetto Joint Strike Force, e nonostante gli annunciati taglidel Pentagono, l’impegno della Difesa Usa nella realizzazione del caccia garantirà all’azienda di raggiungere nel 2013 i 9,10 dollari per azione, il valore più alto mai toccato. Il mese scorso la Lockheed ha infatti raggiunto con il Pentagono un accordo sul contratto per il quinto lotto degli aerei e prevede di siglare altri due contratti per ulteriori due lotti entro la metà dell’anno, nonché di iniziare a lavorare su un’altra commessa per la produzione di esemplari destinati al Giappone e Israele, ha riferito di recente Bruce Tanner, il responsabile finanziario dell’azienda. Questo nonostante la progettazione continui a registrare difficoltà, come dimostrato dalla recente rivelazione sul pericolo che i velivoli possono esplodere a causa di fulmini. Insomma, nonostante i grossissimi problemi tecnici e i costi completamente fuori controllo che avevano fatto pensare agli Usa di mettere in forse l’intero programma, gli F35 sono diventati la garanzia dei profitti record previsti dallaLockheed per il 2013. Noi, da parte nostra, li compreremo, come promesso. Bersani, o chiunque guiderà il Paese tra poche settimane, non si prenderà di certo la responsabilità di far calare le azioni del colosso statunitense… e, ovviamente, di lasciare che il terrorismo e le tirannie dilaghino nel mondo. Alessia Lai
|