Banche italiane, una debolezza che viene da lontano
 











La vicenda dell’acquisto dell’Antonveneta da parte del Monte dei Paschi di Siena ogni giorno che passa si riveste sempre di nuovi particolari che vengono ulteriormente amplificati nella prospettiva delle imminenti elezioni politiche. Una querelle che Mario Monti non ha esitato a cavalcare imputando al Partito Democratico di Bersani, alleato di oggi e forse di domani, di essere responsabile di quanto è successo per avere avuto in mano per decenni la gestione della banca toscana. Una maniera elegante e molto british per ricordare a Bersani che il prezzo di una futura alleanza tra centristi (lui medesimo più Casini e i Montezemoliani) e centro-sinistrati (PD e Sel) non sarà indolore e che il Professore della Bocconi, dovrà svolgere, in ogni caso, per il PD al governo, il ruolo di garante presso le istituzioni finanziarie internazionali. Garante del fatto che il PD e l’esecutivo, a guida Bersani e a tutela Monti, continueranno nella politica economicapraticata dall’attuale governo all’insegna di tasse, privatizzazioni di aziende pubbliche (Eni, Enel e Finmeccanica) e liberalizzazioni.
In tale ottica, appare quanto mai singolare che Monti voglia presentarsi come interprete di una maniera più elegante e anglofona di fare banca rispetto a quella, presuntivamente, più arruffona e casareccia che da anni avrebbe preso il sopravvento, creando una situazione gravata da debiti enormi. Singolare perché Monti è stato consulente, e non ci stancheremo mai di ricordarlo, di una banca come Goldman Sachs che venne salvata dal fallimento, al quale era giustamente condannata a causa dei propri debiti e delle proprie speculazioni, da un Barack Obama che tramite il Tesoro Usa le prestò ben 9,5 miliardi di dollari.
La tirata di Monti sembra quindi finalizzata ad un riequilibrio interno dei poteri nella banca toscana con il ridimensionamento della presenza della Fondazione bancaria omonima che la controlla e che ne nomina i vertici e dal prevaleredi personaggi più legati agli ambienti della finanza classica, posizionata nei Salotti Buoni della Padania.
Nel caso specifico, si tratta di una fondazione che non può non risentire del fatto che la città e il Comune sono tradizionalmente governati dal PD, già PCI, PDS e DS. In Italia è sempre stato così. Si approfitta e si prende occasione da una vicenda che ha interessato un alleato o un avversario per ridurne il peso e il potere a proprio vantaggio e dei gruppi di interesse amici. Non è un caso infatti che l’attenzione sia stata puntata sui vertici della banca, di emanazione PD, che non potevano non sapere, che avrebbero dovuto sapere, che avrebbero dovuto controllare e via dicendo. Ma pochi dei giornali padani, posizionati sull’asse Milano-Torino, hanno posto l’attenzione sul fatto che se controlli sono mancati sono stati anche quelli della Banca d’Italia che istituzionalmente dovrebbe proprio svolgere tale compito. Ci si deve domandare, ma la risposta noi già la abbiamo, setale aspetto non sia stato sufficientemente sottolineato perché colui che avrebbe dovuto controllare era l’allora Governatore, il sempre eterno Mario Draghi, anche lui un ex Goldman Sachs, che ora siede alla presidenza della Banca centrale europea? Un Draghi che alle banche italiane ha prestato quasi un quarto dei complessivi 1.000 miliardi di euro versati nell’Eurozona alla modico tasso di interesse dell’1% annuale per tre anni? Certi favori, si sa, devono essere ricambiati…
Ci sono peraltro due aspetti che non sono stati sufficientemente sottolineati e che riguardano la trasformazione del settore creditizio italiano da sistema sotto proprietà e controllo pubblico ad uno sotto controllo a prevalenza privato che prese a delinearsi nei primi anni novanta dopo la modifica della legge bancaria voluta da Mussolini. Forse una delle poche cose buone fatte dal Fascismo, come incautamente ha detto Berlusconi?
Il primo aspetto riguarda il passaggio del controllo economico e gestionale dalTesoro alle Fondazioni, quindi dal centro alla periferia, dal governo ad una realtà locale che non poteva non risentire dei rapporti di forza e di poteri locali. Il passaggio da una realtà dove, bene o male, veniva perseguito un interesse pubblico, ad una dove potevano prevalere interessi di tipo diverso, all’interno dei quali era il fattore umano, personale e politico a dire l’ultima e decisiva parola.
Il secondo aspetto è dato dalla fine della separazione nelle banche tra l’attività di raccolta e di concessione del credito e l’attività di investimento. Un divieto introdotto dalla Legge Bancaria del 1936 con la quale si era voluto dire basta alle commistioni tra aziende e banche commerciali. Negli anni venti, aziende come la Fiat e l’Ansaldo dei Perrone avevano infatti cercato, comprandone le azioni in Borsa, di divenire padrone rispettivamente del Credito Italiano e della Banca Commerciale che vantavano enormi crediti nei loro confronti in conseguenza dei prestiti concessi perfinanziare l’attività bellica prima e la riconversione produttiva poi. A loro volta le suddette banche avevano comprato azioni di Fiat e Ansaldo per condizionarne l’attività. Si era creato così un sistema di incroci azionari e di debiti-crediti che risaltava per la propria instabilità e che gli effetti della crisi del 1929 avrebbero dimostrato quanto fosse devastante. La Legge Bancaria del 1936 aveva quindi stabilito che le banche commerciali potevano usare i soldi dei correntisti (prestiti a breve termine) soltanto per fare prestiti alle aziende e non per comprarne le azioni (investimenti a lungo termine). Per fare questa seconda attività avrebbero dovuto creare sezioni speciali con un patrimonio separato da quello della casa madre. Una realtà che alla fine degli ani quaranta portò alla nascita di Mediobanca, controllata dal Credito Italiana, dalla Banca Commerciale e dal Banco di Roma. Il sistema funzionò finché resse la Prima Repubblica poi con la fine di quel sistema, imposta dallafinanza internazionale di matrice anglofona, anche in Italia venne fatto passare il principio della banca mista, la banca omnibus che può fare tutto con i soldi che riesce a raccogliere. Una banca di tipo “tedesco” che in un Paese come l’Italia non aveva funzionato 80 anni fa e non poteva funzionare oggi. Una impostazione alla quale si è aggiunta una gestione di tipo anglo-americano rivolta più all’azzardo e alla speculazione vera e propria che al finanziamento dell’attività produttiva. Una deriva della quale stiamo pagando pesantemente il prezzo e che ha condizionato l’intero sistema bancario nazionale nel quale il soggetto privato ha dimostrato di non essere all’altezza di quello pubblico che aveva sostenuto la ricostruzione nei secondi anni quaranta e negli anni cinquanta e il successivo boom economico. Non si tratta di essere passatisti ma certo resta l’amarezza e la rabbia per la realtà di un Paese come il nostro che, privo ormai di un sistema bancario solido, rischia di offrire asoggetti esteri una occasione d’oro per trasformarci in colonia. Più di quanto già siamo oggi.Andrea Angelini









   
 



 
26-10-2015 - Italicum, 15 ricorsi in Corte d’appello su premio di maggioranza e ballottaggio. Due quesiti referendum in Cassazione
22-09-2015 - Perché l’Italia può e deve uscire dall’euro
10-09-2015 - La rottamazione del Mezzogiorno
09-08-2015 - I punti principali della riforma Costituzionale
07-07-2015 - Emiliano: Nomina la nuova Giunta
27-02-2015 - Milleproroghe, il dl è legge
26-02-2015 - Assunzioni irregolari a Firenze, Renzi assolto perché “non addetto ai lavori”
23-02-2015 - Milleproroghe: i partiti incassano senza trasparenza. Renzi proroga donazioni e rendiconti
16-02-2015 - La Repubblica extra-parlamentare
12-02-2015 - Seduta fiume su riforma Senato, passa il federalismo fiscale ma trattativa Pd-M5s fallisce
11-02-2015 - Riforma del Senato, intesa dopo la bagarre: ampliati di un terzo i tempi per la discussione
02-02-2015 - Mattarella, e la sua ”schiena dritta”
13-01-2015 - La Pa dà l’addio alla carta: in un anno e mezzo si passerà al digitale
11-01-2015 - La Salva Silvio salva anche i banchieri. E Renzi perde consenso
09-01-2015 - Renzi frena il toto-Colle e bacchetta la minoranza dem: "Serve un presidente per le riforme"

Privacy e Cookies