I dottori non dicono che....
 











Pap-test:
E’ detto dal nome del dott. Papanicolaou che per primo lo utilizzò lo diffuse. Nel 1941 il medico pubblicò uno studio che dimostrava che i cambiamenti maligni della cervice potevano essere diagnosticati esaminando le cellule della vagina.
Questo test semplice ed indolore implica il prelevamento di un piccolo campione di tessuto dal collo della vagina, che viene inviato su un vetrino a un laboratorio di analisi per vedere se ci sono delle cellule anomale. Nonostante sia stata adottata una politica governativa nazionale nel Regno Unito fino a non molto tempo fa, la maggior parte dei dottori britannici considera l’esame per il cancro alla cervice come uno dei test della buona prassi, e raccomanda che tutte le donne in età tra 20 e 65 anni ripetano il test ogni 3 o 5 anni. I dottori britannici ottengono dei bonus solo se più del 50% delle loro pazienti donne si sottopone al test, e triplicano il loro bonus se la percentuale raggiungel’80%.
Ma questo test funziona? Il problema è che non esiste nessuna prova convincente che induca a pensare che funzioni. Il Prof. James McCormick del Dipartimento di Sanità Pubblica del Trinity College di Dublino, un esperto dei test di campionatura di massa dice: "Non c’è alcuna prova concreta che questi test portino dei benefici ed effettivamente potrebbero fare più male che bene".
Il cancro alla cervice non è quel killer di massa che spesso viene dipinto. Nonostante 2000 donne circa muoiano di cancro alla cervice ogni anno nel Regno Unito, esse rappresentano meno di un sesto del numero di donne che contraggono il cancro al seno.
Un ampio studio ufficiale conferma che il Pap test non dà alcun risultato dato che i tassi di mortalità per il cancro alla cervice non sono variati in due decenni, a dispetto di un programma di prevenzione quasi universale.
Molte migliaia di donne vengono sottoposte a inutili trattamenti in seguito a risultati falsamente positivi e a volterischiano di rimanere sterili o di subire altri terribili effetti collaterali. Durante ogni campagna ad ampio raggio nell’area di Bristol, 15.000 donne sono state informate di essere a rischio cancro, e pi di 5500 sono state esaminate e sottoposte a terapie in seguito a lievi anormalità che non si sarebbero mai trasformate in cancro. Praticamente una donna su 15 risulta anormale dal punta di vista del test.
Il livello di risultati erroneamente positivi dimostra a quale livello il pap test della cervice provochi delle preoccupazioni inutili in donne sane.
Uno studio del 1988 indicò che quasi la metà delle anormalità rilevate dai pap test si convertiva poi alla normalità nel giro di due anni. Mentre uno studio canadese recente indica che la semplice infiammazione della cervice potrebbe provocare risultati anormali in un pap test.
Si può concludere che il pap test è talmente poco accurato da essere praticamente inutile. Gli autori di uno studio, ammettono percentuali di testerroneamente negativi tra il 7 e il 60%
Tratto da Ciò che i dottori non dicono: la verità sui pericoli della medicina moderna Lynne McTaggart edizioni Macro.
Amniocentesi:
E’ il test preferito per individuare la sindrome di Down e per altre anormalità genetiche. Il procedimento implica un ago che viene inserito nell’addome e nell’utero per estrarre del liquido amniotico. Le cellule estratte vengono allora coltivate per due o tre settimane e ne vengono studiati i cromosomi, il che spiega l’attesa di tre settimane tra il test e i risultati. I rischi di aborto spontaneo sono circa di 1 - 1.5 su 100, soprattutto a causa del danno provocato dall’ago introdotto o dalla possibilità di introdurre delle infezioni nel grembo. Nel 1978 il Consiglio per la Ricerca Medica (MRC) riportò una crescita del 3% di stress respiratorio neonatale e una crescita del 2.4% di dislocazioni congenite dell’anca e piede deforme.  L’alta percentuale di aborti spontanei non è dasottovalutare se si è aspettato fino ai trentacinque anni per avere un figlio e lo si desidera veramente.
Dato lo spettro di un aborto a tardo termine in caso di amniocentesi positiva, le donne optano per un’amniocentesi all’inizio della gravidanza. Tuttavia le ultime ricerche riportano che un’amniocentesi dopo poche settimane aumenta il rischio di aborto spontaneo. E’ inoltre più probabile che provochi la deformazione del piede rispetto al CVC (Campionamento del Villo Corionico), secondo la ricerca svolta dalla Scuola Medica del King’s College di Londra.
L’amniocentesi condotta all’inizio della gravidanza si è rivelata così pericolosa che i ricercatori olandesi probabilmente abbandoneranno i loro esperimenti perché non ne considerano eticamente giustificato il proseguimento.
Mentre scrivo, otto donne hanno avuto un aborto spontaneo dopo aver subito un’amniocentesi all’inizio della gravidanza, lo stesso è capitato in un altro gruppo di 120 donne a cui era stato fatto il test,da quando gli olandesi hanno iniziato la loro ricerca.
Il Dott. F. Vandenbusche e i suoi colleghi del Leiden University Hospital hanno comunicato ai loro colleghi che "pare che non si sia alcuna giustificazione per continuare l’amniocentesi all’inizio della gravidanza sulla base di credenze e di osservazioni non verificate". Un altro studio ha indicato che i bambini le cui madri si sottopongono ad amniocentesi, riportano livelli "significativamente maggiori" di malattie emolitiche.
Vi sono poi molti casi in cui gli esami risultano erroneamente positivi, anche questo tipo di test che viene considerato molto accurato (c’erano più risultati errati nell’amniocentesi che nel test CVC nello studio condotto dall’MRC).
Tratto da Ciò che i dottori non dicono: la verità sui pericoli della medicina moderna Lynne McTaggart edizioni Macro.
CVC Campionamento del Villo Corionico
Il CVC pareva essere la risposta alla preghiera di ogni madre avanti con gli anni.Nonostante l’amniocentesi sia un test ben noto per scoprire la sindrome di Down, per poterlo fare bisogna aspettare fino alla 16 settimana di gravidanza, poi attendere ancora due o tre settimane prima che i risultati siano disponibili. Se il test indica un’anormalità e voi non volete continuare la gravidanza, dovete sottoporvi a un aborto nel secondo trimestre, che implica effettivamente di dare alla luce un feto morto di 20 settimane, con tutte le conseguenze fisiche e psicologiche del caso.
Agli inizi degli anni ’70 alcuni dottori svedesi e dell’estremo oriente capirono che si poteva prelevare un piccolo campione dei "villi" con un ago inserito attraverso l’addome o la vagina. I villi sono le proiezioni simili ai capelli del corione (il sacco che contiene l’embrione nell’utero, che diventa placenta) tra la 9 e la 12 settimana di gravidanza e che ci avrebbero permesso di individuare il tipo genetico del feto.
sarebbe stato possibile quindi scoprire nel feto la Sindrome di Down,l’anemia a cellule falciformi, la distrofia muscolare e anormalità di tipo sessuale.
Ultimamente, studi compiuti su larga scala, hanno finalmente confermato alcune preoccupazioni concernenti il campionamento del villo. L’ultimo di questi studi, condotto dal Consiglio per la Ricerca Medica, ha esaminato più di 3000 risultati di gravidanze di donne che si erano sottoposte a questo test, confrontandoli con quelli di donne che avevano fatto l’amniocentesi.
Rispetto alle donne che avevano subito l’amniocentesi, quelle sottoposte al CVC avevano più probabilità di perdere il bambino. Solo l’86% delle donne nel gruppo CVC avevano avuto una gravidanza normale, rispetto al 91% del gruppo dell’amniocentesi. Questo era dovuto a un numero maggiore di morti fetali prima delle 28 settimane, un numero maggiore di terminazioni di anormalità supposte, e un numero di morti neonatali dovute soprattutto a un alto numero di bambini prematuri nati prima di 32 settimane.
Il CVC, secondo l’UniversitàErasmus di Bilthoven in Olanda, può causare una perdita massiccia di sangue nel grembo, che può portare alla morte del feto. "I risultati di questa prova suggeriscono che la politica del campionamento del villo corionico nel primo trimestre riduce del 4,6% le possibilità di portare a termine una gravidanza con successo" ha concluso il rapporto dell’MRC.
Lo studio non era in grado di dire con certezza quanti dei test CVC fossero falsamente positivi perché non tutti i feti abortiti sono stati testati. Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto tre falsi positivi, uno nel campione CVC e due nel gruppo amniocentesi.
 falsi positivi e negativi sono potenzialmente comuni perché il materiale genetico che si trova nel villo corionico potrebbe non essere identico a quello del feto. Nello studio del MRC e in altri campioni del villo corionico contenevano cromosomi anormali, mentre i bambini nati erano normali.
Dai dati è emerso che il rischio di deformità si verificava nelle madrisottoposte a CVC in un qualsiasi momento della gravidanza in un caso su 200, rispetto a un rischio ordinario di uno su 3100 nella popolazione in generale.
Lontano dall’essere meno invasivo, questo test, prima viene fatto, più gravi sono le anormalità che provoca.
Data l’accuratezza dubbia del CVC ci si potrebbe trovare a fare un’amniocentesi per confermare i risultati, sottoponendo il bambino a due grandi pericoli e moltiplicando il rischio di aborto spontaneo. Il rischio di perdere il bambino con il CVC è di circa del 5%. Quando si aggiunge l’amniocentesi, il rischio di aborto spontaneo è piuttosto alto e si aggira attorno a un caso su sei.
Tratto da Ciò che i dottori non dicono: la verità sui pericoli della medicina moderna Lynne McTaggart edizioni Macro.
Cancro alla prostata:
- Nuova Medicina: cause conflittuali del cancro..
- Screening prostatico:
La forma più diffusa di cancro per gli uomini sopra i 40 anni riguarda la prostata, laghiandola che si trova sotto la base della vescica e produce una parte del fluido seminale. Dato che si trova così vicina alla vescica e all’uretra, i problemi in quest’aerea provocano invariabilmente dei problemi di urinazione. Nonostante l’incidenza del cancro alla prostata non sia aumentata, quella dei trattamenti aggressivi come la radioterapia e la chirurgia è aumentata del 36%.
Nove registri dei casi di cancro in tutta l’America, più i dati compilati dal Centro Nazionale per le Statistiche Sanitarie, hanno dimostrato una crescita modesta nel cancro alla prostata tra il 1983 e il 1989 (dovuto soprattutto a sempre maggiori tentativi di scoprire le malattie in uno stadio precoce). Non c’è stato aumento nei tipi di cancro che si diffonde e può essere fatale. Tuttavia, i tassi di prostatectomia (rimozione chirurgica della ghiandola prostatica) sono aumentati circa del 35% all’anno, e sono variati ampiamente da zona a zona. Però tutti questi tagli aggressivi non paiono fare labenché minima differenza sui tassi di sopravvivenza. Ci sono prove evidenti che il trattamento conservativo del cancro alla prostata scoperto presto, cioè mantenendo un atteggiamento attento, del tipo aspettiamo e vediamo, e usando altre forme di terapia come il trattamento ormonale piuttosto che lanciarsi sulla chirurgia, potrebbe essere la decisione migliore, in particolare per gli uomini di una certa età. In particolare gli uomini con più di 70 anni, hanno più probabilità di morire con ila cancro alla prostata che per causa di esso.
Nella maggior parte dei casi il cancro alla prostata non si diffonde. In due studi, durati un decennio di osservazioni, i tumori erano cresciuti solo localmente e non si erano diffusi ad altri organi nei due terzi dei pazienti per i quali il trattamento ormonale aveva generalmente successo. Tra gli uomini sopra i 70 anni, la prostatectomia non solo non è migliore dell’attesa con monitoraggio, ma può essere addirittura dannosa. Trenta giorni dopol’operazione, quasi il 2% degli uomini sopra i 75 anni muoiono. I tassi di sopravvivenza possono essere più alti nei gruppi per i quali non viene fatto niente, rispetto ai gruppi che si sottopongono alla chirurgia. Molti pazienti che si sottopongono alla chirurgia muoiono di malattie collegate a complicazioni cardiache nel giro di un mese dopo l’intervento.
Oltre a non migliorare i tassi di sopravvivenza, qualsiasi tipo di trattamento medico, sia con farmaci che con operazioni chirurgiche, influenza negativamente la qualità della vita. I pazienti ai quali vengono somministrati farmaci o che si sottopongono ad operazioni pare che poi stiano molto peggio in termini di funzioni sessuali, urinarie e intestinali rispetto alle persone i cui progressi vengono semplicemente monitorati con attenzione. Ma il punto importante è che la chirurgia radiale è indicata solo in un numero molto limitato di casi: quelli con un cancro scoperto molto presto (al primo stadio), confinato alla ghiandolastessa e non alla capsula che la contiene o a qualsiasi linfonodo. E’ inoltre efficace solo se i margini attorno alla ghiandola non sono stati attaccati dal cancro.
Se una persona ha 70 anni e il cancro viene scoperto in tempo, la decisione è semplice: attendere mantenendosi controllati. Tuttavia se si è più giovani, molto dipende dallo stadio del cancro e se ci sono le condizioni per affrontare un’operazione.
tuttavia la maggior parte delle prove nuove dimostrano che un trattamento conservativo potrebbe essere una scelta ragionevole per gli uomini di tutte le età con una malattia al primo e/o secondo stadio.
Oltre la fatto che la chirurgia alla prostata non pare migliorare la sopravvivenza, l’intervento radiale e lo screening potrebbero semplicemente portare alla luce molti casi di cancro che rimarrebbero altrimenti dormienti e innocui se non scoperti.
Tratto da Ciò che i dottori non dicono: la verità sui pericoli della medicina moderna Lynne McTaggart ed.Macro.
Screening mammografico? No, grazie!
La mammografia senza ombra di dubbio rappresenta l’esame medico-preventivo più diffuso nel mondo occidentale tra le donne oltre i cinquant’anni!
Per i pochi (beati loro!) che ignorano il significato di tale esame, la mammografia prende il nome proprio dall’oggetto della visita: le mammelle, e  consiste in una radiografia con lo scopo di individuare tumori maligni all’inizio della loro formazione. Assieme alle radiazioni ionizzanti per completare il quadro fisiologico e biochimico si possono associare anche esami quali: palpazione, biopsia, ecografia, ecc. 
Come è potuto accadere che questi delicatissimi organi ispiratori di sogni proibiti sia nel poppante che nell’adulto, si trovano nel mirino degli esperti della salute da almeno trent’anni?
Il motivo è che il cancro alla mammella ha un triste primato, quello di collocarsi tra i primi posti in ordine di incidenza e mortalità tra la popolazionefemminile nei paesi industrializzati[1]: per essere più precisi la neoplasia colpisce circa 200 mila donne ogni anno in Europa e circa 31 mila in Italia, provocando in quest’ultima 11 mila vittime.[2] 
Queste cifre spaventose vengono usate come cavallo da battaglia dalla scienza medica per portare avanti ricerche e programmi preventivi di massa. Programmi di protezione universalmente noti come screening, il cui obiettivo come dicevamo prima è di prevenire le malattie cancerose o se già iniziate di scoprirle in tempo per poter intervenire.
Il primo studio sullo screening mammografico è stato l’Health Insurance Plan (HIP) iniziato a New York nel 1963 e da allora in successione, chi prima e chi dopo, ha attuato il piano di controllo nazionale imperniato nella sensibilizzazione del mondo femminile al gravoso problema. Campagne informative spingono anche oggi tutte le donne sopra una certa età considerata a rischio, quaranta o cinquant’anni a seconda dello Stato, a fare unaradiografia al seno anche se non presentano alcun disturbo e/o sintomo fisico e senza neppure la prescrizione medica.
Nonostante tutti questi enormi sforzi di prevenzione e gli altrettanti fondi messi a disposizione per la ricerca negli ultimi trent’anni il trend di crescita del tumore al seno invece di calare è aumentato.
Com’è che cinque anni fa i casi ufficiali erano 27 mila e oggi sono 31 mila[3]? E perché gli studi condotti finora non hanno rilevato alcuna riduzione della mortalità generale associata allo screening mammografico[4]?
Le dichiarazioni ufficiali tendono a dimostrare che le mammografie di massa salvano ogni anno migliaia di donne - e nessuno mette in discussione questo - i dati oggettivi però sono che nel XXI secolo il cancro al seno rimane uno dei tumori che causa più morti.
Se è vero come è vero allora che tale neoplasia cavalca la stessa onda dei programmi preventivi, perché a nessuno viene il dubbio che forse questi screening non hannoquell’affidabilità che gli viene tanto accreditata? O al contrario, un eccesso di esami non potrebbe mettere in serio pericolo la stabilità emotiva della donna provocando ansia e preoccupazioni gratuite?
Qualche giorno fa, precisamente il 20 ottobre, Richard Horton, il direttore di una delle più prestigiose riviste mediche del mondo: The Lancet, ha pubblicamente dichiarato: “…non ci sono in letteratura prove affidabili a favore dei programmi di screening mammografico”[5].
Una voce autorevole fuori dal coro che dimostra come anche nel mondo scientifico esistono ricercatori seri e consapevoli che non si lasciano abbagliare da falsi miti e che, dati alla mano, non esitano a mettere in discussione ricerche mediche le cui aspettative alle volte vengono sopravalutate.
La sentenza lapidaria di Horton dovrebbe far riflettere le autorità sanitarie sulla facilità con cui i medici prescrivono determinati esami, ma soprattutto le donne che spesso e volentieri (e la storia ne è testimone)sono cavie inconsapevoli di un sistema freddo e distaccato; un sistema dove alle volte conta più una statistica all’interno di una tabella che la salute di un essere umano.
Nessuno ha la presunzione, non è questa la sede, di affermare ciò che è bene e ciò che è male, quello che va fatto e quello che non va fatto; il punto fondamentale è che ogni anno migliaia di donne muoiono lasciando un vuoto incolmabile nelle famiglie che abbandonano e nella vera ricerca della salute e della sua salvaguardia.
Nessuno punta il dito contro lo screening mammografico, sarebbe troppo facile e non porterebbe alcun risultato utile; il dito semmai dovrebbe essere puntato contro quella ricerca investigativa e massificata, dove la lente di Sherlock Holmes viene sostituta dai raggi X, che non va a scavare solo nel seno di una donna, ma per ovvie conseguenze emotive, va molto più in profondità: nell’animo e nella psiche.
Ricordiamo che in qualsiasi test scientifico di laboratorio e non, a causa dellatrasduzione e interpretazione dei dati, alle volte i risultati possono essere involontariamente falsati o errati, infatti anche la mammografia presenta spesso falsi positivi, cioè dalle analisi sembra un tumore e invece non lo è. “Per oltre mille donne tra i 40 e i 50 anni che potrebbero fare il controllo periodico, salveremmo una vita, ma circa 400 verrebbero invitate per un ulteriore accertamento, col risultato di provocare ansia e paura”[6]
Naturalmente una singola vita salvata non ha prezzo, però nessuno pensa a quelle donne costrette a convivere per anni e anni con l’ansia e la paura di sviluppare il tremendo male del secolo? Ogni piccolo dolore o gonfiore del seno farebbe scattare immediatamente il piano ics: lotta per la sopravvivenza e/o paura di morire.
Le conseguenze di tutto ciò? Be’, certamente vivere in continuo “allarme rosso” non fa bene all’organismo; come anche pensare continuamente ad un problema senza riuscire a risolverlo: oltre a disperdere inutilmenteenergia vitale il cervello potrebbe anche decidere di materializzarlo veramente (la psiconeuroimmunoendocrinologia insegna).
Le donne hanno il diritto di decidere il meglio per la propria salute e conoscere effettivamente il rapporto rischio/beneficio di una terapia preventiva.
Pretendere informazioni e spiegazioni dettagliate, non limitarsi ad accettare per buono e legittimo tutto quello che ci viene detto, perché salute è informazione!
Quando si ha l’informazione corretta e la libertà di scelta terapeutica allora e solo allora saremo i veri padroni e artefici della nostra salute e del nostro destino. Marcello Pamio










   
 



 
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