Il Pd silenzia Vendola: “No alla patrimoniale”
 











Bersani-Vendola

Bersani ed il Partito democratico, alla ricerca dell’appoggio futuro di ciò che resterà della “coalizione centrista” di Monti, assestano un nuovo colpo all’alleato Nichi Vendola.
Le ultime ore di campagna elettorale del centrosinistra rischiano di sconvolgere i piani del governatore pugliese. Il segretario del Pd ha, infatti, rivisto la propria posizione in merito all’aumento di tassazione per i grandi patrimoni. Un ravvedimento dettato dall’esigenza di racimolare qualche preferenza a due giorni dallo spoglio. Una certa classe imprenditoriale teme un accanimento contro i beni dei privati e delle persone giuridiche. Paure non infondate.
Da mesi, Vendola afferma quanto sia necessario ristabilire un’equità fiscale tramite l’imposizione di una tassa patrimoniale. Una misura che – da sempre – è stata considerata uno spot. Il suo gettito non basterebbe a risollevare le sorti del bilancio pubblico. Eppure, la parola “patrimoniale” continua ariecheggiare nei comizi di Sel e compare in un messaggio diffuso su alcune emittenti locali. Il partito a sinistra del Pd dovrà oggi piegarsi al patto stretto con Bersani, Tabacci e Nencini. In caso di dissidi interni, la minoranza dovrà adeguarsi al volere della maggioranza. Si potrà dialogare ma non votare in dissenso. Questo l’accordo raggiunto tra le varie sigle antiberlusconiane. Bersani ha confermato di escludere l’introduzione di una patrimoniale.
Lui non ci avrebbe mai pensato. Sarebbe colpa di Berlusconi, il Cavaliere ha infatti diffuso messaggi distorti sul programma elettorale del segretario piddino. “Io ho sempre detto - ha spiegato Bersani - che la patrimoniale già esiste e si chiama Imu. Io intendo farla più progressiva: esentare le fasce più deboli e caricare sui possessori di grandi patrimoni immobiliari. Su quello che riguarda la ricchezza mobiliare - parliamo di soldi, di azioni, di tutto quello che non è immobiliare - non intendo mettere nessuna patrimoniale, eper un motivo molto semplice: non so chi ce le ha quelle ricchezze”. ‘Ci sono 800 persone che in Italia denunciano più di 1 milione di reddito e continuare a bastonare questi qui mentre altri 80mila non so dove stanno, non ha senso. Non è possibile”. Il candidato a Palazzo Chigi ha rimarcato che “l’operazione deve essere quella che hanno fatto già gli altri Paesi europei per far emergere e rendere tracciabile la ricchezza, cosa che questo paese ha sempre rifiutato di fare. Ancora adesso dobbiamo sentire dire che c’è il grande fratello! Ma se non si permette al fisco di accertare non si arriverà mai a una fedeltà fiscale”. Il Pd conferma quindi di voler tentare di approvare una stretta sulla circolazione del denaro contante.
Una norma utile ad intercettare il favore di banche e società finanziarie. Il giro d’affari per l’emissione di carte di credito e l’incasso di interessi e commissioni subirebbe una crescita esponenziale. Bersani ha poi smentito una campagna portata avanti dal suopartito per lunghi mesi. Quella relativa alla cosiddetta “Tobin Tax”, balzello con cui si sarebbero dovute colpire le grandi transazioni finanziarie. Una norma simile è stata già introdotta dal governo di Monti. Ha finito però per danneggiare il piccolo azionista e milioni di correntisti. Tassa che grava anche sui fondi pensione delle varie categorie di lavoratori. La retromarcia di Bersani servirà a limitare gli attacchi del Pdl. Difficilmente, però, Sel sarà disposta a tollerarla. Sempre che il principale partito del centrosinistra non intenda liberarsi dalle legittime richieste di un alleato.Matteo Mascia









   
 



 
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